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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 2946 letture )
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Pantheist e Serpentcult.... dovrebbero bastare questi due nomi per far scorrere in tutte le schiene doom un brivido di piacere e curiosità davanti al debutto dei Landskap. Se poi approfondiamo la conoscenza dando una scorsa alla line-up, alla lettura dei nomi di Frederic Caure e Kostas Panagiotou la curiosità evolve nella certezza di trovarci di fronte a una band dalle potenzialità fuori dal comune, per quanto alle prese con un’opera prima. Dunque non ingannino i richiami al grande Nord offerti dal nome e dalla cover, nelle vene del quintetto scorre in realtà sangue belga e greco (anche il chitarrista George Pan è ateniese), arricchito peraltro da innesti di musicisti anglosassoni di tutto rispetto, a partire dal vocalist Jake Harding, che coi suoi Dead Existence ha lasciato più di qualche traccia nella scena sludge londinese. Il risultato di questo connubio è un album che si colloca a metà strada tra l’EP e il full length coi suoi poco meno di 33 minuti complessivi, articolati peraltro su solo quattro brani, di cui però uno, My Cabin in the Woods, inferiore ai tre minuti. Nella restante mezz’ora si viene scaraventati da un’ipotetica macchina del tempo in pieno territorio anni ’70, a cominciare dalla concezione “strutturale” dei pezzi che, per ammissione dello stesso Caure, sono una sorta di cristallizzazione delle diverse forme assunte da uno stesso brano continuamente modificato e integrato nel corso di innumerevoli jam session. Impossibile elencare dettagliatamente i numi tutelari della storia del rock a cui rimanda l’ascolto di questo I, ma basta citare in ordine sparso Black Sabbath, Primordial o Saint Vitus per rendersi conto che ci troviamo di fronte a un lavoro di grande respiro in cui è prima di tutto la qualità dei musicisti a essere in grado di fare la differenza. Dovendo utilizzare una classificazione più o meno “contemporanea” potremmo dire dunque doom declinato in chiave stoner, innanzitutto, ma impreziosito da quel rock psichedelico che è stato il marchio di fabbrica più caratteristico degli anni 70 e con diversi sconfinamenti in territorio prog. Ecco allora l’opening A Nameless Fool a disegnare traiettorie ipnotiche in cui i riff dilatati di chitarra sono protagonisti assoluti, alternati a un cantato cantilenante che colpisce perfettamente nel segno regalando una patina vintage di grande effetto. Ovviamente la prova di Harding è rigorosamente in clean, scelta artistica in linea, del resto, con la collocazione temporale dell’ispirazione. Architettonicamente favolosa la terza traccia, Fallen so Far, dove voce e strumenti fanno a gara a giganteggiare in un’ispiratissima cavalcata, con il basso protagonista nei rallentamenti a disegnare atmosfere sinistre e le chitarre perfettamente amalgamate col lavoro di Panagiotou alle tastiere nel portare il brano a vette assolute di ritmo. L’assolo finale del pezzo è un distillato delle potenzialità della band, in cui davvero si perde la cognizione del tempo e ci si dimentica che per riascoltarlo non si deve più (ahinoi ?) alzare il braccio di una puntina o premere il tasto “rew”. Chiude l’album la strumentale To Harvest the Storm, aperta da un lungo intro in cui sembrano rivivere i passaggi più lisergici di Ray Manzarek alla corte di sua maestà Jim Morrison e chiusa magnificamente da un’esplosione hard rock che regala a piene mani sprazzi di scuola Deep Purple.
In definitiva, un album assolutamente da ascoltare, perfetto per i nostalgici delle sonorità di un passato avvolto dai sacri fumi del mito ma anche per coloro che si sono accostati al doom in anni recenti, magari chiedendosi dove sia iniziato quel Long Distance Trip così magnificamente celebrato dai Samsara Blues Experiment. Resta peraltro il rammarico per la durata troppo contenuta di questo I, a cui si accompagna l’auspicio che Caure e compagni non trattino la nuova creatura come semplice rifugio dopolavoristico dagli impegni nelle rispettive band, perchè con queste premesse il nome Landskap merita senz’altro ulteriori cimenti.
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Molto bello e consigliatissimo agli amanti dello psyche-doom. Io ho un'altra cover, con un panorama (Landskap, appunto) |
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INFORMAZIONI |
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Iron Bonehead Productions
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Tracklist
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1. A Nameless Fool 2. My Cabin in the Woods 3. Fallen so Far 4. To Harvest the Storm
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Line Up
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Jake Harding (Voce) George Pan (Chitarre) Frederic Caure (Chitarre, Basso) Kostas Panagiotou (Tastiere) Paul Westwood (Batteria)
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RECENSIONI |
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