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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 1065 letture )
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A volte le cose nascono e crescono esattamente nel modo in cui si pensava che dovessero essere. Capita. In realtà, specialmente con i supergruppi questa è una eventualità rara, dato che generalmente la musica che nasce dall’incontro tra diverse personalità “ingombranti”, difficilmente sarà davvero amalgamata come dovrebbe per risultare appetibile e capita fin troppo spesso di sentire un po’ di questo e un po’ di quello emergere in maniera scoordinata in un puzzle di brani di dubbia qualità, che si reggono il più delle volte sulla gigioneria dei singoli e sulla benevolenza dell’ascoltatore, più che sulla qualità o sulla reale ispirazione. Con i Supershine le cose sono andate invece esattamente come dovevano, almeno a livello musicale. L’incontro tra Bruce Franklin e Doug Pinnick non poteva risultare più fresco e convincente e il risultato finale delle loro due ispirazioni più amalgamato e piacevole. Franklin porta con sé il bagaglio di riff e soluzioni melodiche elaborato in oltre vent’anni di carriera con i Trouble, padri ispiratori mai abbastanza tributati del doom metal, mentre Pinnick ci regala la sua splendida voce soul, il gusto per cori armonici ed estremamente memorizzabili e un ottimo lavoro al basso, come già nei meravigliosi King's X. Non serve nient’altro che ispirazione a volte e, nel caso di Supershine, decisamente i due hanno lavorato alla grande. Sarà perché non c’erano pressioni su un progetto evidentemente nato per il puro amore della musica e non certo per rincorrere improbabili successi di vendita, sarà perché per una volta le personalità si sono combinate come dovevano, sarà perché il tutto suona così confortevole e sereno da risultare irresistibile, ma è davvero difficile negare che pur non essendo questo un capolavoro, l’ascolto sia dannatamente piacevole e alla fine resti comunque la voglia di ricominciare da zero, premendo ancora e ancora il tasto “play”.
Nato in sordina sul finire degli anni Novanta, in un momento in cui i Trouble erano sostanzialmente fermi dopo il primo split con il cantante Eric Wagner seguito al flop commerciale di Plastic Green Head, il progetto Supershine è evidentemente figlio in primis di Bruce Franklin, il quale è il vero motore compositivo dell’album. In quel momento, infatti, pur continuando ad andare in tour con Kyle Thomas alla voce, la band del chitarrista non ha la voglia e forse la forza e la convinzione per tornare in studio senza il frontman originale e questo lascia tempo e modo a Franklin per buttare giù alcuni brani e proporli a Pinnick, da sempre il cantante preferito del baffuto chitarrista. Fortunatamente, anche per Pinnick c’è qualche spazio di manovra e l’idea della collaborazione lo attira quanto basta per dare un sostanziale contributo in termini di linee melodiche e testi. I due trovano l’aiuto di Jeff Olson (ex-Trouble) e di Jerry Gaskill (compagno di Pinnick nei King’s X), che si occupano delle parti di batteria. Pinnick coinvolge anche l’altro amico/partner dei King’s X, Ty Tabor, che curerà mixaggio e masterizzazione dell’album e, in pochi mesi, il disco prende vita. Come detto, l’ispirazione principale va ricercata indubbiamente nella musica dei Trouble e in particolare negli album che a partire dall’omonimo Trouble del 1990, caratterizzeranno la proposta del gruppo. Riff pesanti e magnetici, alternati ad arpeggi e accelerazioni heavy, con il consueto appeal malinconico ed oscuro di derivazione doom a scandire un approccio settantiano che conserva molto dell’hard rock statunitense di quella decade, in particolare nello splendido solismo di Franklin. Questi, pur “orfano” del gemello di ascia dei Trouble, Rick Wartell, tira fuori tutto il meglio del proprio repertorio cementando una prova ottima tanto in fase ritmica che in fase solista. Le canzoni sono essenziali, riff oriented, tutte basate su giri potenti e ben calibrati e su ritmiche sornione, mai troppo ossessive e al contempo mai orientate verso l’easy listening. Pinnick dimostra la propria versatilità rimanendo semplicemente fedele a se stesso, con il consueto approccio melodico e la stupenda capacità di interprete che lo rende una delle voci più belle, calde e interessanti emerse nel calderone heavy rock. E’ indubbiamente il suo spessore interpretativo e la sua vocalità ricca di fascino soul, blues e funk a dare una marcia in più alle composizioni di Franklin e a donare al progetto una sua identità, staccata da quella dei Trouble a cui pure si avvicinerebbe, non fosse per la sua personalità. Il disco si mantiene nella sua durata sempre su ottimi livelli, senza cali di tensione e anzi confermando la validità di un approccio tutto sommato molto semplice, tutto riff e melodia, solismi ispirati e ottima coralità. Sin dal trittico iniziale si capisce quale sarà l’andazzo dell’album e il livello dei brani è tale che pur in assenza di sostanziali variazioni, l’attenzione resta alta. A spezzare l’andamento del disco ci pensa la potente e veloce resa del classico Shinin’ On dei Grand Funk Railroad, che risulta perfettamente calata nel contesto espressivo del disco. Chi ha amato i Trouble non potrà che gioire dei riff contenuti nel disco, in particolare citeremo Kingdom Come, One Night, I Can’t Help You e lo splendido intro In Mourning per la conclusiva Shadows/Light, un gospel in salsa rock che richiama in maniera evidente la Breathe… contenuta in Manic Frustration, album del 1992 e vero capolavoro del secondo corso dei Trouble. Si tratta comunque di un brano da pelle d’oca dall’inizio alla fine, compreso il bellissimo assolo di Franklin. Allo stesso modo, chi segue e conosce quanto fatto da Pinnick con i King’s X non potrà non riconoscerne la mano nelle scelte melodiche e in brani come Won’t Drag Me Down, Candy Andy Jane, Automatic, Love e in generale nelle scelte corali.
Certe volte, le cose riescono esattamente come dovrebbero. Nel caso dei Supershine diremo per fortuna, visto il risultato finale. L'album riesce infatti a combinare in maniera esemplare il background dei due musicisti, aggiungendo una dimensione tutto sommato nuova alla musica di entrambi e dimostrando una capacità di compenetrazione encomiabile tra due ispirazioni apparentemente del tutto distanti. Al disco manca una vera e propria highlight, il brano destinato a rimanere scolpito nel tempo e l’approccio tutto sommato semplice e spontaneo mantenuto lungo tutto il corso dell’album, ne costituisce in conclusione la cifra artistica migliore. Si tratta comunque di una mancanza di cui non si avverte il peso, se non ad ascolto finito, come se a conclusione di un ottimo pasto ci sentissimo sazi e soddisfatti, ma alzandoci da tavola, ci rendessimo conto di non aver avuto il dolce. Poco male e d’altra parte sarebbe stato forse anche in più, ma la sensazione di mancanza resta. Il progetto non ebbe un seguito, anche se i due avevano comunque manifestato entusiasmo per il risultato finale, ripromettendosi una nuova collaborazione in futuro. Probabilmente, gli impegni reciproci e il sostanziale silenzio che accolse il disco in un mercato che al solito guardava da un’altra parte –una costante per l’intera carriera dei Trouble- non hanno permesso un ritorno ai Supershine. D'altra parte, l'incontro tra due delle band più classicamente sottovalutate nei rispettivi settori d'appartenenza dell'infinito spettro dell'heavy metal, non poteva che essere a sua volta sottovalutato e sostanzialmente dimenticato. Questa unica testimonianza resta comunque assolutamente inattaccabile dal tempo, conservando in tutto la propria dimensione classica e slegata da mode e stress da vendita. Semplicemente grandi. Chissà che a qualcuno non venga voglia di riscoprirli.
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Nessun voto prima del mio. Si vede che li conosciamo solo io ed il recensore. Beh, come si dice: "meglio soli che mal accompagnati". |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Take Me Away 2. Kingdom Come 3. One Night 4. I Can’t Help You 5. Shinin’ On 6. Won’t Drag Me Down 7. Automatic 8. Candy Andy Jane 9. Love 10. Going Down 11. In Mourning 12. Shadows/Light
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Line Up
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Doug Pinnick (Basso, Voce) Bruce Frankin (Chitarra, Cori)
Musicisti Ospiti Jeff Olson (Batteria) Jerry Gaskill (Batteria) Wally Farkas (Organo Hammond) Heather Crow (Cori su traccia 12)
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RECENSIONI |
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