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Mindcrime - Checkmate the King
( 2304 letture )
Il monicker che una band sceglie è una sorta di dichiarazione d’intenti, una manifestazione dell’essenza ultima, della ragione d’essere, della propria identità. Non è un caso infatti che spesso sia un omaggio alle proprie radici, a ciò che sta dietro la decisione di intraprendere la strada musicale e dare vita ad un progetto di più largo respiro. Non sorprende perciò che dietro ad un monicker come Mindcrime si celino un percorso ben preciso e una storia che è bene rimarcare: la storia di una band che nasce come tribute ai Queensryche, la quale trova poi una dimensione e un affiatamento tali da scegliere di fare un passo ulteriore, iniziando a scrivere e registrare musica propria. Nati nel 2009, i Mindcrime già nel 2011 danno la sterzata verso la composizione di musica originale, cercando progressivamente di trovare una personalità specifica che andasse al di là di quello che era l’inevitabile imprinting dato dall’iniziale ruolo di tribute band.

La musica proposta in Checkmate the King mantiene in parte le caratteristiche iniziali, sostanziandosi in uno scattante heavy metal classico, che richiama gli anni caratterizzati dai Queensryche di Rage for Order ed Operation:Mindcrime, come dai Fates Warning e da numerose altre formazioni che, prima dell’avvento dei Dream Theater e dei loro emuli, tentarono nuove strade evolutive per il metal. Da questo punto di vista, di prog vero e proprio non si può parlare, dato che nella musica dei Mindcrime l’impronta resta più nettamente sbilanciata verso il metal ottantiano, eppure è evidente che le qualità tecniche del gruppo e la sua passione per un certo tipo di sonorità contribuiscano a dare ai brani una impronta particolare e ricercata. In effetti, si potrebbe dire che il successo dei Dream Theater e il progressivo spostarsi dei Queensryche verso sonorità ancora diverse, abbiano lasciato qualche margine di sviluppo a quel particolare modo di intendere il prog metal. Una proposta come quella del gruppo capitolino, pur ancorata ad un immaginario che ancora potremmo definire datato, potrebbe quindi ottenere un certo riscontro tra gli amanti di quel periodo, che difficilmente hanno trovato in altre band un valido sostituto o prosecutore di quella linea evolutiva. I Mindcrime non disdegnano peraltro anche altre influenze, che vanno dall’hard rock all’AOR e contribuiscono a diversificare i brani, donandogli se non proprio una identità netta e riconoscibile, una varietà notevole e perfino eccessiva. Tecnicamente parlando il gruppo è molto valido e non potrebbe essere diversamente e la voce di Bruno Baudo, capace di una ottima estensione e dotato di una timbrica calda e piena, rappresenta senza dubbio un valore aggiunto, seppure nel suo caso qualche limite tecnico e di intonazione emerga con una certa frequenza. Le idee in ballo sono tante e il gruppo sceglie giustamente di non puntare sull’impatto fine a se stesso, riducendo le velocità medie ed inserendo spesso delle parti arpeggiate e delle mai invadenti parti di tastiera e synth, le quali donano un’atmosfera più elegante e ricercata al loro metal, che pure non manca di grinta e impatto. Principalmente orientati verso mid tempos di buona fruibilità e dagli arrangiamenti attenti, i nostri non rinunciano comunque a qualche brano più arrembante come Flying in the Wind e Life on the Run, dai titoli più che espliciti in tal senso. Non mancano anche refrain memorizzabili e melodicamente spinti, come quelli dell’opener Stormchild, sicuramente uno degli episodi più coinvolgenti dell’album, né ottime parti solistiche, sempre amalgamate nel contesto dei brani eppure capaci di prendere il proscenio in più di una occasione. Insomma, il gruppo avrebbe sulla carta tutte le caratteristiche per colpire gli appassionati di metal classico fatto con passione ed eleganza, senza per questo rinunciare ad un riffing potente e fiero. Purtroppo, a tante qualità positive fanno da contraltare alcune evidenti lacune, che vanno alla fine a pesare in maniera decisiva sul risultato complessivo. Prima di tutto, il livello dei brani, decisamente diseguale, con alcune canzoni non all’altezza della situazione. In secondo luogo, le melodie vocali non sempre piacevoli e riuscite e con qualche problema di resa tecnica. In terzo luogo, la qualità della registrazione, in particolare delle chitarre in clean e delle armonizzazioni vocali, che in qualche caso mostra decisamente il fianco e non riesce a valorizzare una proposta che necessiterebbe di un budget e di una produzione di livello. Infine, una eterogeneità fin troppo marcata della proposta, che oscilla tra metal classico, prog e AOR senza riuscire a trovare una continuità se non quando torna sui binari impostati dalle influenze primarie.

Dopo l’iniziale e riuscita Stormchild, dotata come detto di un chorus di pronta presa e la successiva Betrayed Him Again, interessante e meno immediata, piano piano il livello si abbassa progressivamente. Il trittico costituito da Flying on the Wind e, soprattutto, dalle successive Until the Twilight Comes (involuta e con un refrain decisamente non riuscito) e dalla scontata ballad semiacustica Once Upon a Day, tendente all’AOR, nella quale sono peraltro evidenti i problemi di intonazione già riscontrati altrove, abbassa pesantemente il livello dell’album. Life on the Run che presenta in apertura tutti i cliché metal messi assieme, con le campane e i tuoni che si uniscono al rombo di una moto, rialza le quotazioni del disco, seppure col suo carattere di puro e crudo heavy classico alla Judas Priest finisca per risultare fuori contesto. Con Spell You’re Under si torna al saliscendi: il brano presenta infatti un riffing stoppato moderno intervallato da valide sezioni soliste, ma anche in questo caso il refrain finisce per suonare forzato e non particolarmente piacevole. La successiva War in the Name of Peace mostra segnali di ripresa evidenti, ancora una volta grazie ad un ottimo lavoro delle chitarre, mentre il pur meritevole Baudo non riesce ancora a trovare la quadratura, con una interpretazione fin troppo carica e una melodia migliorabile. La svolta dell’album arriva così con la riuscita ballad Paths Paved with Gold, forte di alcune soluzioni melodiche e ritmiche pregevoli e, finalmente, di un refrain degno di questo nome; purtroppo, in questo caso sono le chitarre in clean a risultare quasi fastidiose a causa di una registrazione e di un mixaggio davvero infelici. Con We Were Dreaming, riconducibile ai Queensryche (e vocalmente ai Dream Theater), la band centra infine il bersaglio pieno, offrendo la migliore canzone del lotto, sotto ogni punto di vista. Altra bella composizione è la conclusiva You Always Believed in Me, anch’essa con più di un rinvio alla band di Seattle e che, tolti i soliti problemi di intonazione, conferma che la band ha molti numeri da giocare.

L’evoluzione che i Mindcrime stanno seguendo ha delle ottime potenzialità e senza dubbio se la band saprà mettere a frutto quanto fatto in questo primo album, nel bene quanto in ciò che è ancora migliorabile, le prospettive future non potranno che essere molto positive. Le individualità cominciano già ad emergere, in un quadro di qualità tecniche davvero meritevole. Le difficoltà nascono proprio dall’altissimo livello richiesto proponendo un genere come questo, nel quale non ci si può nascondere dietro alla distorsione e i brani devono essere per forza di cose perfetti, da un punto di vista tecnico, quanto dell’arrangiamento e della produzione, oltre che melodicamente riusciti. Non esiste un’altra via in questo senso e, purtroppo, su Checkmate the King alcune ingenuità si fanno sentire in maniera evidente, come è anche ovvio in un’opera prima. Pesa non attribuire a una band tutto sommato coraggiosa e dalle potenzialità evidenti un voto pienamente positivo, ma convinti che le qualità avranno presto ragione delle attuali mancanze, resta che Checkmate the King paga nel complesso alcune ingenuità evidenti e alcuni limiti tecnici interni ed esterni alla band. Il meglio arriverà presto, non ci sono dubbi a riguardo.



VOTO RECENSORE
56
VOTO LETTORI
65 su 1 voti [ VOTA]
Andrew Lloyd
Lunedì 3 Novembre 2014, 17.03.04
1
Leggendo il monicker della band, ancora prima di aprire la review, mi chiedevo che razza di genere potessero mai fare...
INFORMAZIONI
2014
Red Cat Records
Heavy/Prog
Tracklist
1. Stormchild
2. Betrayed Him Again
3. Flying in the Wind
4. Until the Twilight Comes
5. Once Upon a Day
6. Life on the Run
7. Spell You’re Under
8. War in the Name of Peace
9. Paths Paved with Gold
10. We Were Dreaming
11. You Always Believed in Me
Line Up
Bruno Baudo (Voce)
Maurizio Taccioli (Chitarra, Synth)
Michele Serra (Chitarra)
Adriano Cilenti (Basso)
Dario Calì (Batteria)
 
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