|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
Cult of Luna - The Beyond
|
( 3430 letture )
|
Scostamenti, deviazioni, allontanamento dai canoni. Pochi altri generi come il metal possono vantare un dna che esalti la sperimentazione come valore, spingendola ad esiti che, trasfigurando completamente le basi di partenza, portino all’esplorazione di nuovi territori. Anche la semplice elencazione di “radici e contaminazioni” dei singoli sottogeneri, magari con lo scopo di tracciare una mappa del movimento, rischierebbe di provocare feroci emicranie anche all’enciclopedista più certosino, e allora vale forse la pena affidarsi alle sensazioni piuttosto che all’ansia di catalogazione, rinviando a momenti successivi l’esatta definizione di ciò che si è colto in un ascolto. Un caso di scuola in questo campo è indubbiamente quello dei Cult of Luna, approdati alle scene con l’omonimo debut nel 2001 e subito in grado di riscuotere discreti consensi soprattutto in ambito hardcore e sludge, data la potenza abrasiva scatenata nell’ora di ascolto di quell’album. Eppure a un orecchio attento non poteva sfuggire una sottile ma pungente vena “eretica” che emergeva qua e là a incrinare la monoliticità delle strutture e il ricorso alle dissonanze a profusione come classico marchio di fabbrica di quei due generi. Le spire lentamente fumanti che si innalzano all’improvviso nel corpo di un brano come Hollow, infatti, lasciavano intuire sviluppi potenzialmente sorprendenti e devastanti, nel caso in cui i ragazzi di Umea avessero scelto di andare oltre la logica del “cammeo” che spesso accompagna queste divagazioni. Del resto, peraltro, già l’attitudine a dilatare il minutaggio dei brani lasciava intravedere una predisposizione innata per sperimentazione e ricerca.
La risposta, in effetti, arriva con questo The Beyond, prima gemma di una tetralogia foriera di gran lustro per quella Earache Records che li aveva appena arruolati in scuderia, subentrando alla Rage of Achilles degli esordi. Il primo tratto che emerge è intanto una discreta riduzione delle spigolosità del debut a favore di un accento posto soprattutto sulle atmosfere dei pezzi, con gli elementi hardcore sempre più fagocitati e trasfigurati in un flusso narrativo che trasuda fango e densità da ogni anfratto. Di pari passo crescono esponenzialmente anche le iniezioni di psichedelia nel corpo dei brani, laddove per psichedelia non si intende il canonico impasto lisergico (secondo la classica lezione stoner, per intenderci) ma piuttosto uno stato di allucinazione permanente, quasi che una batteria di luci stroboscopiche illuminasse perversamente la scena rendendola indistinta. Un elemento di continuità rispetto al passato, invece, è il cantato di Klas Rydberg, sempre rigorosamente in scream e, a dispetto dell’apparente “monocordità”, perfettamente funzionale allo spirito dei brani, sia quando si aggira tra i passaggi più acidi, sia quando accompagna i rallentamenti delle sei e quattro corde. Il passato, peraltro, riemerge ancora prepotentemente nei pezzi più ruvidi del lotto (Receiver e la quasi hardcore-death oriented Leash), ma l’impressione di fondo è che la band sia molto più impegnata (e con maggior successo) nella ricerca di nuovi orizzonti e approdi. Ecco allora il magniloquente incalzare di pezzi come Genesis o Arrival, che regalano aperture quasi epiche su un tessuto ripetitivamente circolare, o la sorprendente Circle, dove i Nostri si cimentano in un lungo intro dalle atmosfere rarefatte popolate addirittura di suggestioni floydiane. Detto che in un’ora abbondante di runtime complessivo c’è quasi fisiologicamente spazio per un brano dall’esito qualitativamente incerto (funzione qui svolta dall’insipida Deliverance), il vertice dell’album va probabilmente rintracciato nella tormentata The Watchtower, che provoca e contemporaneamente solca angosce e chiaroscuri puntando su una prova strepitosa di Andreas Johansson al basso. Ma non appena si ha la sensazione di aver afferrato lo spirito del crescendo quasi marziale del pezzo, ecco che piomba sulla scena un violoncello struggente ad aggiungere colori sfumati alla tavolozza, prima che il ritmo riprenda il sopravvento sulle atmosfere dissolvendo nebbie e malinconie. Qui, tra evidenti suggestioni Neurosis, nasce di fatto il post metal nella declinazione Cult of Luna, tra l’altro in straordinaria contemporaneità col percorso di quegli Isis che, reduci dalla prova di Oceanic, stavano componendo la pietra miliare del movimento che risponde al nome di Panopticon. C’è però ancora spazio per un’ultima sorpresa, affidata alla dilatatissima Further, che dimostra una volta di più la versatilità di casa a Umea. Stavolta tocca al doom affacciarsi sulla scena, regalando un avvio e una chiusura dove gli stilemi classici del genere danno il meglio di sè, quasi cristallizzando ogni movimento in fissità eteree fino alle soglie dell’immobilità. In mezzo, però, si apre all’improvviso una sterminata “radura” melodica segnata addirittura da tratti space rock, testimonianza definitiva di quanto ormai il viaggio dei Cult of Luna li abbia portati lontano dalle basi hardcore.
Meno potente ma molto più oscuro del debut, devastante quando alterna abrasività e delicatezza, in grado di aprire prospettive sconfinate pur scontando qua e là ancora qualche difetto di amalgama degli elementi che lo compongono, The Beyond è molto più di una tappa di passaggio in un percorso di formazione, è già un album coi tratti dell’immancabilità nella discografia dei frequentatori delle nere lande pentagrammatiche.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
4
|
controcorrente anche io: album di una forza espressiva straordinaria. il loro primo vero capolavoro, se non l\'unico! devastante psicologicamente! voto 99 |
|
|
|
|
|
|
3
|
Vado controcorrente, per me The Beyond rappresenta l'apice compositivo dei Cult of Luna. Disco totale, ammaliante, coinvolgente, emozionante. Il finale di "Deliverance" è la perfetta colonna sonora per uno sbarco alieno. Voto 98 |
|
|
|
|
|
|
2
|
Dalla Svezia alla Finlandia il passo è breve! Rievoco i Callisto, in particolare Noir (2006). |
|
|
|
|
|
|
1
|
Leggermente inferiore rispetto all'esordio che era più diretto e tagliente, qui già si avvertono i primi vagheggi introspettivi che diventeranno poi immancabili negli album successivi. Se devo trovargli un difetto dico l'eccessiva lunghezza, alcuni brani si perdono un pò senza incidere a dovere, comunque resta un ottimo album. Voto 77 |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Inside Fort Meade 2. Receiver 3. Genesis 4. The Watchtower 5. Circle 6. Arrival 7. Leash 8. Clones 9. Deliverance 10. Further
|
|
Line Up
|
Klas Rydberg (Voce) Johannes Persson (Chitarre) Erik Olofsson (Chitarre) Magnus Lindberg (Percussioni, Chitarre) Andreas Johansson (Basso) Marko Hilden (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|