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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 2024 letture )
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Dopo aver debuttato con l’album The Great Architect, che non impressionò particolarmente la critica ma riscosse comunque un discreto consenso (tanto che la band è arrivata a condividere il palco con band del calibro di Parkway Drive e Texas in July), gli HateTyler ritornano alla ribalta con Vidia, pubblicato con la casa discografica SG Records. La band, rimescolando le carte con l’arrivo di Stefano Oliva alla voce e Erik Gentile dietro alle pelli, è in grado di sintetizzare in modo armonico e sistematico le diverse influenze del metal moderno, partendo in primis dal metalcore e dal djent, che in questi anni stanno spopolando, per arrivare poi a sonorità prog e, in certi frangenti, persino power metal.
Fin da subito le intenzioni della band sono chiare: gli HateTyler hanno intenzione di rompere gli schemi del metalcore, arrivato a un punto di non ritorno, fossilizzato com'è sui medesimi preconcetti da troppo tempo, con poche stelle che davvero brillano ancora nel proprio universo. Con questo album la band si è voluta mettere alla prova cercando di sfruttare tutte le potenzialità del genere, senza stravolgerne i principi o portare all’esasperazione elementi eccessivamente estranei. In poche parole, il metalcore per gli HateTyler è solo lo scheletro delle singole canzoni e tutto il resto è derivante da una creatività che non devia mai da un sentiero ben delineato. La band ha voluto fare scelte coraggiose per riscattarsi da un esordio non proprio esaltante, e c’è subito da sottolineare che questo cammino inizia con il piede giusto: la title track apre le danze con un introduzione elettronica, con tanto di drum machine e drop riconducibili alla dubstep, che sfocia poi in un pezzo composto da riff rapidi e taglienti, con intermezzi dal groove più compatto e deciso, un growl mastodontico e, nel finale, la voce pulita che chiude il pezzo ed introduce quello successivo. Analizzando proprio quest'ultimo aspetto, Gli HateTyler hanno deciso di puntare sul dualismo tra queste due vocalità, adoperandole in modo equilibrato e proporzionato senza che l’una prevarichi l’altra. Il growl è cupo e oscuro, ma rimane costantemente in un territorio preciso, mentre la voce pulita riesce a dare quella valenza in più che arricchisce l’intero lavoro degli HateTyler, essendo cristallina, versatile e in grado di regalare importanti acuti epici. Scendendo in profondità, si riesce subito a capire dai primi ascolti che Vidia nella parte centrale riesce ad esprimere al meglio le proprie potenzialità. In primis troviamo Photograph, una canzone connotata da riff di chitarra che si esaltano in velocità quando a prendere la scena è il growl, ma allo stesso tempo in grado di invigorire il cuore dell’ascoltatore quando la melodia arriva in pompa magna durante il ritornello, in cui la voce pulita appare a tratti sovrastante. Di seguito, invece, arriviamo alla canzone più bella dell’album, Listen to my Tragedy, che è un pezzo ricco di sfumature: il riff delle strofe fa l’occhiolino soprattutto al melodic metal scandinavo, mentre il ritornello è micidiale perché in grado di entrare subito in testa e nelle orecchie dell’ascoltatore con la sua avvolgente drammaticità. Le sorprese non sono di certo finite qui: un bel breakdown sostenuto introduce un assolo freddo, cinico e chirurgico nella migliore tradizione technical death metal. Il finale, infine, appare leggermente fuori luogo rispetto al filo conduttore della canzone, in quanto dotato di quella acidità che c’è nello stile groove/southern. Anche il basso è evidenziato con un bell'assolo che porta alla conclusione il pezzo, sicuramente sorprendente ed in grado di lasciare sbigottito l’ascoltatore per la sua evoluzione in appena cinque minuti di esecuzione. Si possono citare ancora altre peculiarità: si pensi ad esempio alle orchestrazioni in Awaking the End, che conferiscono quella atmosfera da “kolossal” alla canzone, oppure l’intermezzo rappato extrabeat in D.D, trovata sì originale ma piuttosto fuori contesto. Un’ultima menzione la merita Make me Stronger, una rock ballad in stile Alter Bridge o Nickelback in cui la band dimostra di saper masticare bene anche un genere completamente estraneo all’album; forse poteva essere sfruttata meglio con una collocazione diversa, ad esempio a metà della tracklist, per poter offrire un bel momento di stacco dal mood generale.
Come detto, diversi sono i pezzi che meritano più di un ascolto approfondito per comprendere quali sono le diverse sfumature che le sonorità dei nostri possono toccare. Gli HateTyler, grazie soprattutto ai nuovi innesti nella line-up, sono riusciti a riprendersi in modo sorprendente da un esordio un po' balbuziente, portando alla luce un lavoro che scrive una pagina importante della storia recente del metalcore italiano: Vida è una lampante dimostrazione di come, stravolgendo razionalmente gli schemi di un genere musicale, ne possa uscire qualcosa di estremamente elaborato ma allo stesso tempo piacevole e di invidiabile fattura.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Vidia 2. Avoid your Sin 3. Photograph 4. Listen to my Tragedy 5. Synapsis 6. Awaking the End 7. Lifenynph 8. Swallows & Crows 9. Make me Stronger 10. D.D
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Line Up
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Stefano Oliva (Voce) Marco Pastorino (Voce, Chitarra) Federico Maraucci (Chitarra) Luca Negro (Basso) Erik Gentile (Batteria)
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RECENSIONI |
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