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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 2534 letture )
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Improvvisare e scegliere senza certezze assolute è un atto di coraggio. Probabilmente lo stesso coraggio che finisce per farti affidare la tua sbronza pomeridiana all'Ode all'Io di un gruppetto svedese di inizio decennio; proprio come te, le tue poche convinzioni -minate dall'ebbrezza momentanea- hanno bisogno di infrangersi e collassare: quale terapia (d'urto, certo) migliore di un'ora scarsa di sabbia e deserto, riff e momenti psichedelici da perdita di coscienza controllata?
Parte la prima traccia e l'intro è maledettamente sporca e pachidermica: ti ritrovi improvvisamente a casa; senti la testa pulsare intensamente, non sai se per il troppo alcool in corpo o per quel basso così in evidenza nel mix, ma ti va bene così. Ormai sei perso, il viaggio è iniziato, lo scettro è tuo: la celebrazione del Sé, un canto esecrabile all'Io degli sconfitti - da qui non si torna indietro, è bene saperlo. Con lo scorrere della tracklist e l'aumentare del volume, il mondo conosciuto perde di significato fino ad assumerne uno totalmente antitetico, composto da cattedrali di assoli lavici e nubi di chitarre accerchiate da fill di basso da brividi sulla schiena. Sei nudo dinnanzi alle progressioni di Flat Earth, all'agrodolce Sun Devil, alla bordata stoner di Anchor; ti ritrovi beato e battuto al cospetto di inni desertici come Dust Settlin', mini-suite psichedeliche come Texas (pt. I&II), trip strumentali come la mesmerizzante titletrack. Lowrider dunque, come quelle grandi Chevrolet statunitensi con sospensioni modificate; Lowrider quindi, come quattro imberbi sciamani delle dune sabbiose a ridosso della fine del mondo, ritratti sulla sfocata copertina di questo gioiello underground. Quattro nordici stonati che vanno a regalare una perla dimenticata, sicuramente sconosciuta ai più e meritevole quindi di essere riscoperta: in quest'album uscito a ridosso del secondo millennio per Meteor City -etichetta statunitense madre di tante formazioni psych, stoner e doom- incontriamo infatti alcune delle migliori composizioni di tutta la scena del genere più bello del mondo. Peter Bergstrand e soci sono fra i pochi a poter rivaleggiare con i capostipiti Kyuss, in quanto a impatto, coesione e influenza postuma sulle formazioni a loro successive. Tutto questo, incredibilmente, in un solo disco: la band svedese si scioglierà purtroppo in seguito a Ode to Io, costituendo la propria eredità artistica solo con il suddetto lavoro e con un EP, splendido anch’esso, con i statunitensi Nebula.
Alla fine di tutto, l'unica certezza è -come sempre- l'Arte: immune allo scorrere del tempo (a differenza della sbronza, ormai in fase calante), perfetta, sincera, bella di una bellezza destabilizzante che aumenta ed aumenta ogni volta si scelga di goderne. La vita è breve, il tempo è troppo poco per potersi permettere di passarlo ad ascoltare brutta musica: il tuffarsi prolungato e "nel giusto mood" in LP come questo è sicuramente una scelta che premierà più parti del vostro essere, garantito!
As far as I am concerned, Art is just short for “Arthur” (KR.)
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4
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Ottimo consiglio per l'ascolto..adoro lo stoner ma loro non li avevo mai sentiti |
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3
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la band ha un bel suono (un fuzz acidissimo è sempre ben gradito) e in generale ci sa fare, ma le canzoni davvero belle per me sono giusto 3-4.. per me è da 65 massimo 70 |
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1
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Non li conoscevo. L'album mi è piaciuto molto. Grazie per la recensione! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Caravan 2. Flat Earth 3. Convoy V 4. Dust Settlin' 5. Sun Devil 6. Anchor 7. Texas (pt. I&II) 8. Riding Shogun 9. Saguaro 10. Ode to Io
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Line Up
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Ola Hellquist (Voce, Chitarra solista) Peder Bergstrand (Voce, Basso) Niclas Stalfors (Chitarra) Andreas Eriksson (Batteria)
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RECENSIONI |
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