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Motus Tenebrae - Deathrising
17/03/2016
( 1435 letture )
Longevità e metal tricolore. Un rapporto da sempre tormentato, per non dire conflittuale, stante le sterminate difficoltà che devono affrontare le nostre band per sopravvivere su una scena che sembra fare di tutto per scoraggiare le migliori intenzioni di chi intenda disertare le rotte melodiche che la tradizione assegna all’italico pentagramma. Non si possono dunque che levare lodi di ringraziamento ogniqualvolta un gruppo della penisola riesca a superare il traguardo dei dieci anni di attività, immaginando la litania di ostacoli e trappole disseminate lungo il cammino.
L’eroica impresa, in questo caso, riesce ai pisani Motus Tenebrae, che, partiti per il loro viaggio nel lontano 2003 con l’EP Beyond, hanno saputo via via confermarsi e migliorare ad ogni uscita fino a quel Double Black che poco più di tre anni fa ha fatto quasi gridare al miracolo per l’impressionante livello di maturità raggiunto. Avevamo lodato, in quell’occasione, l’equilibrio sfoggiato grazie all’intreccio tra la componente vocale, quella ritmica e le incursioni soliste della sei corde, il tutto impreziosito dal lavoro di Anton Inserillo (già Death SS) alle pelli. Più di tutto, però, aveva stupito la prova al microfono di Valerio Voliani, splendido interprete di atmosfere dalla chiara impronta Paradise Lost e Type O Negative, mediate però da un timbro personalissimo venato da striature prog, ad aggiungere riflessi multicolori a un impasto forse non originalissimo ma di sicuro effetto.

Ora, a tre anni di distanza, il ritorno dei Nostri è affidato a questo Deathrising, che si presenta subito ai nastri di partenza con alcune novità sostanziali sul fronte della line-up, complice l’ingresso in pianta stabile di Omar Harvey alle tastiere e la sostituzione di Inserillo con Andrea Falaschi alla batteria ma, soprattutto, in virtù del rientro di uno dei membri fondatori, Luis McFadden, al posto di Voliani. A fronte dei cambiamenti strutturali, però, poco sembra essere mutato in termini di ispirazione e anche in questo caso ci troviamo di fronte a un lavoro che pesca a piene mani dalla lezione gothic/doom più ortodossa, senza disdegnare peraltro qualche rapida incursione in territorio death.
Il problema è che, stavolta, i Motus Tenebrae sembrano aver dimenticato una delle lezioni che la mitologia ha impresso nella memoria collettiva grazie al mito di quell’Icaro che, avvicinandosi troppo all’astro dispensatore di luce e calore, finisce per bruciarsi le ali travolto dall’ebbrezza del volo. Certo, a scagionare i pisani da un’eventuale “accusa di superbia” provvede fin da subito l’osservazione che il timbro vocale di McFadden ricorda in maniera impressionante le evoluzioni di Nick Holmes e che dunque gli elementi di contatto sgorgano pressoché inevitabilmente e quasi involontariamente, ma è altrettanto innegabile che lo spettro dei Paradise Lost occupi ora il campo con troppa prepotenza, minacciando di mandare in frantumi l’equilibrio raggiunto in Double Black. Intendiamoci, non che la caccia all’originalità a tutti i costi (magari fine a se stessa) debba essere un elemento imprescindibile nella valutazione dell’esito qualitativo di un’opera, ma, del pari, esiste una soglia di più o meno variabile collocazione oltre cui il tasso di derivatività rischia di generare stanchezza e voglia di abbeverarsi all’originale e, purtroppo, l’impressione è che in Deathrising quella soglia sia pericolosamente avvicinata, se non varcata. Sull’altro piatto della bilancia, peraltro, va posto il fatto che, nel seguire le orme del quintetto di Halifax, i Motus Tenebrae fanno davvero tutto molto bene, dosando sapientemente gli ingredienti più armonici e quelli più muscolari della scuola anglosassone, per un approdo non troppo lontano dalla definizione di “classicità” del genere. Anche sul versante delle atmosfere non ci sono particolari scostamenti dal modello, con un ruolo di primo piano costantemente riservato a riflessi malinconici innestati su una certa “decadenza” dell’insieme, il problema qui è piuttosto che mancano le grandi aperture che, in casa Paradise Lost, vengono dispensate a piene mani da sua maestà Gregor Mackintosh, aprendo squarci di inquietudine sulla trama e arricchendo così una tavolozza che altrimenti rischierebbe di sfociare in una sorta di melassa indistinta. Priva di un controcanto di adeguato livello, così, anche la prova di McFadden finisce per risentirne, risultando sulle lunghe distanze dell’ascolto un po’ troppo monocorde e a rischio saturazione.
In sostanza, il limite maggiore dell’album è quello di costringerci in una sorta di interminabile rollio sulla pista in attesa di un decollo che alla fine non arriva mai e, dopo le discrete premesse della coppia di apertura Our Weakness/Black Sun, arriva puntuale la doppietta di For A Change (sorretta da un’anonima cavalcata melodic death) e Light That We Are (che cerca senza grande successo un approccio alle lande di certo doom oscuramente marziale) a riportare il viaggiatore al punto di partenza. Qualcosa sembra davvero provvidenzialmente intorbidarsi nell’intro della successiva Faded che, dopo aver sviluppato una trama in buon crescendo narrativo ed essersi attardata in un corpo centrale un po’ anonimo a rischio di disperdere il carburante accumulato, regala nel finale le migliori divagazioni della sei corde di Daniel Cyranna, candidandosi alla palma di pezzo migliore dell’intero lotto. Detto di una titletrack se non altro coraggiosa nell’alternare registri muscolari e improvvise rarefazioni melodiche, la seconda metà di Deathrising sembra mettere in ulteriore evidenza la deriva “manieristica” della band, che attiva un comodo pilota automatico in pezzi come Haunt Me e Grace e non spinge dovutamente a fondo gli accenni di “uscita dai canoni” embrionalmente presenti in Cold World (dove almeno sorprende l’escursione vocale in territorio scream). A lasciare il segno su questa seconda metà, allora, contribuisce piuttosto l’aliena Cherish My Pain, sbilanciatissima sul crinale death ma che, nel complesso di un’offerta divenuta polverosamente ripetitiva, sembra quasi spalancare le finestre lasciando entrare un’aria salutare. Anche la chiusura, affidata a Desolation, non riesce davvero a scalfire quella sensazione di uniformità complessiva che alla fine sembra sigillare a mo’ di involucro i cinquanta minuti, scorrendo via con indubbia “pulizia” e un notevole lavoro di cesello sullo sfondo ma senza coinvolgere più di tanto sul piano emozionale.

Una gemma fredda, un monumento gothic così perfetto da risultare in troppi passaggi quasi inerte, illuminato dalla luce accecante dei sacri totem del genere che finiscono per comprimerlo in una dimensione di quasi sola rielaborazione, Deathrising è un album che si colloca nel classico limbo dove convivono spunti indubbiamente interessanti ed esiti che spesso contraddicono le intenzioni. Peccato, perché se c’è una qualità di cui i Motus Tenebrae non sono sprovvisti è la classe, avranno senz’altro tempo in questo secondo decennio di carriera di dimostrarlo con prove più consistenti.



VOTO RECENSORE
60
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2016
My Kingdom Music
Gothic
Tracklist
1. Our Weakness
2. Black Sun
3. For a Change
4. Light That We Are
5. Faded
6. Deathrising
7. Haunt Me
8. Grace
9. Cold World
10. Cherish My Pain
11. Desolation
Line Up
Luis McFadden (Voce, Chitarre)
Daniel Cyranna (Chitarre)
Omar Harvey (Tastiere)
Andreas Das Cox (Basso)
Andrea Falaschi (Batteria)
 
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