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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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High Hopes - Sights and Sounds
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17/03/2016
( 1993 letture )
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It’s far from over The darkness will only stay till dawn
Chiedo con grande umiltà se questa frase vi risulta familiare, già sentita. Penserete che vi stia prendendo in giro, perché non avete mai sentito niente di più banale. Ecco, bravi. Ciò che questo disco vi lascerà dentro può essere ben riassunto dallo stato d’animo generato da lyrics come queste, intrise di genericità e luoghi comuni. Gli High Hopes sono un gruppo inglese di recentissima formazione, che si ripresenta sulle scene con questo album dopo l’esordio del 2013. Il genere suonato da questi ragazzi britannici ha caratteristiche e connotati ben precisi, scalfiti nella pietra poco malleabile del metalcore di stampo moderno. L’inventiva si è persa, tranne rarissime eccezioni e si punta su un’emotività banale e di facile presa. Non ho niente in contrario al fattore soggettivamente emozionale di un brano, a quella melodia di chitarra accompagnata dalla batteria martellante che ti trascina verso un flusso di pensieri tristi e nostalgici, ma non basta. Ci può -e deve- essere ben altro. La tecnica e la composizione sono il corpo, tanto quanto il sentimento è l’anima, della musica. The Callout apre il disco con la giusta carica, con quella rabbia giovanile da headbanging nudo e crudo. Le linee di chitarra contrastano con il cantato sporco, come voci armoniose incastonate in un cantato brutale. L’effetto di questo contrasto è quello tipico di molti gruppi ben più famosi, tra cui gli Of Mice and Men, oppure band più underground come gli Heart in Hand. Altro elemento tipico della tradizione più recente è il breakdown, granitico e solido come dev’essere. Revelation delude, per il testo infantile e per la ripetitività dei riff. Quello che sorprende maggiormente è quanto la voce sia piatta e priva di sfumature, in un genere che spesso vede al microfono cantanti poliedrici e dal coinvolgimento quasi attoriale. In sostanza, si salva solamente il drumming preciso e pulito. Spezzo invece una lancia a favore di Manipulator, che presenta un ritmo aggressivo e che accelera e decelera più volte, rendendo l’andamento variegato e fluido. Persino la voce ha sfaccettature diverse, che arricchiscono il cantato e trasmettono maggiormente l’emotività delle lyrics (basate sulla rabbia che genera in noi il comportamento scorretto di qualcuno che amiamo).
Mortified at what you have become How don't you see what I do? When will you stop playing the victim? Your conscience is so cold.
Certo che, a ben vedere, il testo è ancora il tallone d'Achille del brano; per quanto ne abbia riconosciuto il valore dal punto di vista tecnico-strumentale, leggere versi di questo tipo lascia sempre l’amaro in bocca e il senso di delusione per l’occasione mancata di sfornare un brano completo da ogni punto di vista. MLK ci trasmette una carica ed un’energia confortanti, da sollevatore di pesi in canotta che cerca il brano adatto ai suoi sforzi. La batteria martellante accompagna melodie piuttosto varie ed un riff poco originale ma solido prima del refrain. Il senso di scarsa varietà permane, si fa fatica ad arrivare alla fine senza chiedersi se il brano non sia troppo simile agli altri, ma la breve durata e l’impatto granitico con l’orecchio garantiscono un ascolto tutto sommato piacevole. Da citare la collaborazione con Garret Rapp dei Color Morale, che mi aveva incuriosito ma che si è tradotta in un niente di fatto, tolta la piacevole decisione di puntare abbastanza a lungo sulle clean vocal dell’ospite nel brano in cui è impiegato, The Greater Plan.
Sostanzialmente, non mi sento di consigliarvi questo disco e lo avrete già capito dal resto della recensione. Ci sono spunti interessanti e l’energia non manca, aiutata dalla giovane età e dalla voglia di farsi un nome; in fase live i nostri potrebbero essere una band spalla di grande intrattenimento. Purtroppo però, essere ragazzi determinati non basta, se non si hanno idee a sufficienza. In un genere saturo di gruppi emergenti e per certi versi modaiolo, l’apporto di trovate innovative è fondamentale, il carisma può essere un’ottima cornice, ma serve una tela adatta e gli High Hopes devono ancora capire come impugnare al meglio il pennello.
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la copertina di "somelwhere else" dei marillion |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Pale Blue Dot 2. The Callout 3. Revelation 4. Vanguard 5. MLK 6. Nostalgic Thoughts 7. Manipulator 8. Defender 9. The Greater Plan 10. Sights and Sounds
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Line Up
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Nick Brooks (Voce) Krishan Pujara (Chitarra) Nathan Pryor (Chitarra) Shaun Flanagan (Basso) Daryl Pryor (Batteria)
Musicisti Ospiti: Garret Rapp (Voce nella traccia 9)
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RECENSIONI |
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