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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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15/04/2017
( 5075 letture )
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Rock mischiato alla musica medievale, alla classica, al jazz, ma anche al pop, e a tanto altro: questa l’idea vaga, ma positivamente piena di sfumature, su cui si ergono i Gentle Giant, i meno immediati tra i giganti (un obbligo utilizzare questo parola) inglesi del filone progressivo. Un sound complesso, arduo anche per chi mastica il genere, tanto che non sono pochi gli appassionati che dichiarano di non capirli o anche solo di non apprezzarli quanto i King Crimson, i Pink Floyd, i Genesis o gli Yes. Un sound per palati fini, colto e raffinato, ma per certi aspetti anche popolare; unico nel vero senso del termine, perché ancora oggi risulta veramente difficile trovare qualche artista che abbia anche solo provato a fare ciò che questo gruppo ha fatto, nel modo in cui lo ha fatto -tranne (ovviamente) gli Haken, e qualche altra band prog metal dei nostri giorni che ha citato esplicitamente questo sound follemente barocco. Ma tolti questi, è quasi impossibile accomunare la band dei fratelli Shulman a qualunque altra nella storia della musica.
Nel luglio del ’72, soltanto due mesi e mezzo dopo il rilascio del primo album autoprodotto, Three Friends, i Gentle Giant tornano in studio per incidere quello che è solitamente considerato come il loro capolavoro massimo: Octopus -un titolo che descrive il disco stesso, composto da otto tracce e proposto, secondo quanto si dice, dalla moglie di Phil Shulman. Ha prima luogo un importante cambio di formazione, che darà nuova linfa al gruppo: il batterista Malcolm Mortimore viene infatti sostituito dall’esuberante John Weathers, un musicista dalla personalità molto più forte che influenzerà profondamente le composizioni del sestetto inglese. Ma non è questo l’unico nuovo ingresso degno di nota. Non è difficile, infatti, riconoscere nella copertina dell’album lo stile di colui che ha curato la maggior parte degli artwork dei già citati Yes: Roger Dean. Il suo uso dell’acquerello è inconfondibile nel dare forma allo scherzoso gioco di parole “octo opus”: in mezzo alle acque, quasi inconfondibili dal cielo, vaga una stupefacente piovra gigante, emergendo dalla macchia di colore che le fa da contorno e da sfondo. Un’opera splendida fin dal primo approccio, ovvero quello visivo.
Ma concentriamoci su ciò che sta dietro all’iconico lavoro dell’artista britannico: la musica. The Advent of Panurge apre le danze; un inizio perfetto, tra accenti spostati, saliscendi continui, suoni di tastiera in continuo mutamento e le tre voci principali del gruppo che si alternano e mischiano nel cantare l’incontro tra Pantagruel e Panurge. Con la canzone successiva, ci spostiamo ancora più indietro nel tempo; Raconteur, Troubadour narra la condizione del cantastorie medievale, con ogni strumento del caso -tromba, violino, violoncello, utilizzati per ricreare il più possibile l’atmosfera dell’età di mezzo. Si torna al rock puro in un attimo: segue infatti A Cry for Everyone, composizione geniale di Ray Shulman dove tra cambi di tempo, contrappunti esaltanti e suoni maestosi (l’uso del Minimoog in questo pezzo non si dimentica facilmente), spicca il nuovo batterista, che mette in mostra tutto il suo estro nel dare ulteriore forza a un pezzo già di per sé grandioso. Chiude il lato A uno dei pezzi più famosi della band: Knots è una folle reinterpretazione del madrigale (loro lo definiscono un puzzle musicale), che tentare di razionalizzare è inutile se non se ne riesce a comprendere la bellezza semplicemente ascoltandola. Ed infatti anche scriverne la renderebbe banale: va sentita, vissuta sulla pelle, perché non le si può fare giustizia a parole. Il lato B regala subito un altro frutto della penna del più giovane dei fratelli Shulman: The Boys in the Band, una traccia strumentale atta a rappresentare il gruppo stesso, che difatti racchiude quasi tutte le peculiarità già evidenziate fino ad ora, ma se possibile le evolve ulteriormente, lasciando a bocca aperta per la freschezza che ancora emana dopo più di quarant’anni. Dog’s Life, ironico ritratto dei roadie della band, riporta il sound al folk medievale, con l’uso prepotente di uno strumento quanto mai inusuale: il regale, un organo molto popolare ai tempi del Rinascimento, che i Gentle Giant fanno rinascere (ripetizione dovuta e voluta) in questa meraviglia d’altri tempi. E gli orizzonti non cessano mai di ampliarsi, aprendosi anche alla ballata vagamente pop (quello vero) in maniera coerente e stupefacente. Think of Me with Kindness è un pezzo splendido, che per quasi due minuti viaggia su accordi semplici, per poi stordirci per trenta secondi buoni con una variazione totale dell’armonia; ma poi, con clemenza, riprende la melodia originale cullandoci di nuovo. Un pezzo intimo, cantato interamente da Kerry Minnear e impreziosito dal mellofono di Phil Shulman, tocco fondamentale per dare la giusta drammaticità al pezzo. In chiusura è posta la traccia più lunga del disco, ed anche la prima ad accogliere un assolo di chitarra (nonostante Gary Green sia un musicista capace di farsi notare in ogni occasione); River, che pur essendo forse il pezzo meno ispirato del lotto, porta con sé una classe rara, e dimostra ancora una volta l’assoluta grandezza di questa creatura multiforme, camaleontica, ma sempre immediatamente riconoscibile.
Octopus è la dimostrazione di come non serva scrivere pezzi rigorosamente sopra i 7-8 minuti per essere progressive; ad ogni idea viene dato il giusto spazio, il giusto rilievo, non c’è mai qualcosa di troppo fugace o, al contrario, qualcosa di troppo reiterato nei 35 minuti che compongono il disco. E nonostante la tanta teoria musicale che si cela dietro alle composizioni (tempi dispari, obbligati, accenti, contrappunti), non le si potranno mai definire fredde, né tantomeno pretenziose, o pompose. L’arte dei Gentle Giant è sincera, genuina, spesso portata all’essenza e mai altezzosa, pur nel suo dichiarato intento di espandere le barriere della musica.
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11
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Tanta tanta roba!!! 6 musicisti straordinari, a livello compositivo hanno tirato fuori alcune tra le cose più complesse in ambito prog rock, trovando allo stesso tempo uno stile unico e riconoscibilissimo. Quest'estrema cerebralità me li fa preferire meno rispetto ad altri colleghi di quel periodo, ma comunque sia... giù il cappello !!! |
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10
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capolavoro del prog rock come tutta la loro discografia. 95/100 |
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9
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Raffinatissimo, come tutta la loro iniziale discografia. Effettivamente faccio fatica a trovarne uno che sia migliore degli altri. Forse il primo è stato più "spiazzante" per la novità di sentire questa musica. In effetti, non hanno avuto la visibilità degli altri, appunto, "giganti" del Prog Inglese dei primi settanta ma bisogna ascoltare e riascoltare il lavoro di cesello che sta dietro ai brani. Grande capacità compositiva e strumentisti eccelsi. Un altro loro capolavoro. Va benissimo un vino da meditazione. Au revoir. |
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8
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riuscivano a condensare in meno di 10 minuti di tutto e di più,mai una suite lunga,sempre troppo originali ,anche quando si sono "abbassati " a sonorità più commerciali ( se proprio cosi' le vogliamo chiamre) nell'ultimo periodo di carriera lo hanno sempre fatto in modo originale,sarà per questo che vengono ancora ben ricordati e presi da esempio da certe band |
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7
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Concordo parola per parola con il recensore e concordo con molti aspetti dei commenti precedenti. Questo e The Power And The Glory per me rimangono i migliori album prog rock dei '70. |
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6
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Il primo paragrafo della recensione coglie benissimo la memoria e il trattamento che ha avuto questa immensa band (in tutti i sensi). Proprio per colpa (merito) della loro complessità sono sempre stati posti un gradino sotto le band più famose (ELP, Genesis e Yes), ma sarebbe una bestemmia definirli meno valorosi delle band più citate. Disco enorme! |
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5
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I primi 5 dei Gentle Giant sono pura goduria. Grandissima band, grandissimo disco. |
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4
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band stratosferica e inarrivabile,gli stessi tull ebbero paura ad averli in tour come spalla perchè in certe cose i gg gli erano superiori .tutti polistrumentisti e cantanti , si scambiavano spesso di ruolo,c'è un gran bel live registrato per la tv tedesca ,se poi pensiamo che derek s come scopritore di talent ha portato al succeso bonjovi e i dream theater, pure gli spock's beard li omaggiarono ripetutamente cosi' come gli echolyn,grazie per la recensione |
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3
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Gran bell'album e grande band,una delle mie preferite in ambito prog insieme a King Crimson e Emerson Lake & Palmer.Faccio molta più fatica a digerire i Genesis. |
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2
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Raconteur, Troubadour pardon |
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1
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Non il mio preferito della discografia dei Gentle Giant (l'ho sempre trovato più "freddo" rispetto ai dischi successivi), ma sicuramente è uno dei loro capolavori assoluti. Knots poi è meravigliosa, così come Racounter, Trobadour. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Advent of Panurge 2. Raconteur, Troubadour 3. A Cry for Everyone 4. Knots 5. The Boys in the Band 6. Dog’s Life 7. Think of Me with Kindness 8. River
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Line Up
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Derek Shulman (Voce, Sassofono contralto) Philip Shulman (Sassofono, Tromba, Mellofono, Voce) Gary Green (Chitarra, Percussioni) Kerry Minnear (Tastiere, Vibrafono, Percussioni, Violoncello, Moog, Voce) Raymond Shulman (Basso, Violino, Chitarra acustica, Percussioni, Cori) John Weathers (Batteria, Conga, Percussioni)
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RECENSIONI |
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