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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Unearth - III: In The Eyes of Fire
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12/05/2018
( 1365 letture )
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Rullata veloce di Mike Justian e riprendiamo laddove ci eravamo piacevolmente interrotti con il mitico The Oncoming Storm, due anni prima. Gli Unearth, come specificato anche in altre occasioni, ne hanno viste di cotte e di crude nel corso della loro (lunga) carriera nel metal biz. Alti e bassi, periodi di magra e grandi ardori. Live superbi e prestazioni feroci di spalla a illustri nomi più o meno storici. Insomma, un bottino di tutto rispetto per la band di Boston che, a onor del vero, non ha mai lesinato energie. Qualche cambio di formazione negli ultimi anni, ma il cuore pulsante costituito dal trio Trevor Phipps, Ken Susi e Buz McGrath è rimasto invariato e ultra-affiatato. Un passo alla volta verso la conquista di un pubblico difficile, sempre bisognoso di novità ed evoluzioni di sorta.
Ma come suona questo III: In The Eyes of Fire ? Come un legittimo proseguo della Tempesta, oserei dire, con la gustosa e speziata aggiunta extra di porzioni thrash e groove. Un bel mattone in faccia, che rispecchia il lato pragmatico e complesso della NWOAHM, senza disdegnare leggerezza e divertimento. Un bel polpettone che non ingozza ma sazia a più riprese, soprattutto se accompagnato dalla giusta bevanda. E di cosa parliamo se non del portentoso duo chitarristico, che non si stanca di produrre note infiammate, lead Maideniani e assoli al fulmicotone? Si parte in quarta con This Glorious Nightmare e Giles, tremenda accoppiata frantuma-tutto, con il rifferama in primo piano, la voce roca e arrabbiata di Trevor Phipps e le sempre convincenti melodie strumentali. Perizia tecnica al top che fa della compattezza il suo punto di forza, alternando accelerazioni a breakdown potentissimi. Headbanging assicurato anche durante la seconda traccia nonché singolo d’apertura. Giles, esattamente come The Devil Has Risen e Unstoppable produce vertigini e adrenalina a go-go, senza modificare troppo la sostanza stessa del suono bostoniano, ma cambiando impasti, pennelli e colori quando serve. Nuances della violenza e piede sull’acceleratore, ma con ragione e impostazione precisa e, talvolta, maniacale. Benvenuti nell’incubo glorioso, dunque, e preparatevi per il frullato di velocità, tradizione e modernità. Non ci sono scuse, così come non ci sono limiti ai richiami classic, thrash e svedesi in ogni brano. La potenza dei fraseggi in Giles è efficacissima, il tapping pre-ripartenza è impavido, così come il drumming forsennato di Mike Justian che usa sapientemente anche la doppia cassa.
Pezzo forte e probabilmente punta di diamante di questo III: In The Eyes of Fire è senza dubbio l’epica e deflagrante Sanctity of Brothers, che percepiamo differente sin dal titolo altisonante. Ed è vero: siamo nel mezzo di una battaglia senza sosta e senza vincitori. Un campo sterminato fatto di fazioni, riff ultra-veloci e vocals abrasive. Un vero inno al metal e alla fratellanza, con i suoi stop’n’go brutali, i riff convincenti e l’andamento che sposta costantemente il bilancino tra velocità medie e up-tempo fragorosi. Non si può stare fermi un secondo, specialmente durante il ritornello da cantare a squarciagola. Il finale, tipicamente live, ci riporta in mente i vecchi tempi e le registrazioni in presa diretta, con la sua potenza diretta e senza fronzoli. Il metal-core non ha mai funzionato così bene e, nel caso specifico degli Unearth, ha sempre unito più ascoltatori, grazie alla loro bravura, umiltà e genuinità. Suono puro, potremmo dire, anche nel suo divenire e pescare dai mostri sacri del passato, americani ed europei. Il finale di Sanctity of Brothers, con la sua accelerazione folle, vi farà provare la forza-G, mentre l’oscurità interiore di March of the Mutes (concettualmente ripresa nel lavoro successivo) si apre con arpeggi neoclassici per poi deflagrare in una riff-fest di proporzioni notevoli. Un A-B-C del metal-core d’annata, spremuto in 4 minuti di convinzione e buonissimo songwriting. Come spesso accade in casa ’Earth c’è più qualità che quantità, anche quando le influenze si palesano maggiormente.
Riff e spigoli vengono smussati nella validissima So It Goes, che tributa i Maiden nelle armonie andando a velocità supersonica, mentre il pre-chorus smorza i toni per poi riprendere il groove dinamico, come da tradizione. Ken Susi e Buz McGrath si scambiano assoli alla luce del sole e tutto va secondo i piani: breakdown secco e conciso e poi via nel tunnel della distruzione di massa. Heavy metal: non è poi difficile capire perché lo amiamo così tanto, al di la dei generi e sotto generi, al di la delle mode, del presente, del passato e del futuro. L’album procede bene, senza soste e cali di tensione, anche se il finale è forse un gradino sotto, con le buone ma non eccelse Bleed Dry e Impostors Kingdom a chiudere il cerchio, riproponendo quanto di buono fatto dagli Unearth nella loro carriera, senza aggiungere novità o spunti particolarmente interessanti, ma andando a confermare lo status di una band in grado di far tremare i palchi di tutto il mondo.
Pur non avendo mai sfondato nel mainstream, gli Unearth rimangono a parer di chi scrive una delle migliori band moderne, insieme ai compari Darkest Hour per quel che riguarda dedizione, verve e credo metallico in un ambiente estremo e decisamente poco commerciale. La chiusura strumentale di Big Bear si fregia di pregevoli riff, melodie e tastiere, e ci accompagna al finale con entusiasmo, spegnendo le luci con orgoglio e ambizione. Un cenno di intesa e tutti giù dal palco, consapevoli di avercela fatta ancora una volta. A testa alta, anche durante l’ora del Caos.
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6
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bellissima scoperta, veramente bravi questi unearth.
grazie metallized |
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5
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Non ascolto metal-core ma come dice AL lo trovo veramente validissimo. La mano di Terry Date si sente eccome. E si sente anche un "afflato" bello thrasheggiante. Voce un po' troppo hardcore per i mie gusti, ma ci sta. |
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4
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@Al . È vero! Spesso compare la scritta che hai già votato anche se non l'hai fatto! Comunque se riprovi il giorno dopo di solito il voto va a buon fine. Bell'album davvero. |
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3
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e comunque volevo segnalare che non riesco più a votare nessuna recensione. mi dice che ho già votato.. boh... |
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2
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forse l'unico disco di metal core che ascolto. non mi annoia mai. bravi davvero. per me 80 |
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1
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Validissimo album di metal core, molto tecnico con riff violenti e ben interpretati. Disco tipicamente americano, può non piacere il genere ma la maggior parte delle canzoni sono veramente belle. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. This Glorious Nightmare 2. Giles 3. March of the Mutes 4. Sanctity of Brothers 5. The Devil Has Risen 6. This Time Was Mine 7. Unstoppable 8. So It Goes 09. Impostors Kingdom 10. Bleed Dry 11. Big Bear and the Hour of Chaos
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Line Up
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Trevor Phipps (Voce) Ken Susi (Chitarra, Voce) Buz McGrath (Chitarra) John Slo Maggard (Basso) Mike Justian (Batteria)
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