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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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10/08/2018
( 1708 letture )
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“Scuotitore della terra e del mare irrequieto, ti assegnano un duplice onore gli dei: domare i cavalli e salvare le navi. Saluto Poseidone, re della terra: o beato, assisti con animo amico i nocchieri.” (Omero, Inno omerico a Poseidone)
Da sempre argomento affascinante la mitologia, a qualsiasi pantheon essa appartenga, anche nel metal continua ad essere argomento e fonte d’ispirazione ancora oggi, trovando da sempre la sua più naturale valvola di sfogo (artistico) in generi quali viking/folk/power/heavy/epic. L’effetto sorpresa giunge, piuttosto, quando tematiche come la biografia di una determinata divinità o la descrizione, o meglio, la messa in musica, di alcune gesta vengono introiettate in generi come il doom/stoner/sludge/heavy psych, assumendosene tutti i rischi... ma finché questa musica, la nostra musica, sarà libera di spaziare e non circoscritta, e spero questo canone non scompaia mai e perduri in eterno, nessuno potrà mai contestare certe scelte stilistiche, come quella di elogiare Poseidone all’interno del doom-oceano, piuttosto che facendolo per l’ennesima volta fra tappeti di tastiere, scream, harsh vocals, rasoiate chitarristiche, orchestrazioni (anche se a volte disgustosamente kitsch) e doppio pedale incessante.
I nostri prodi, al secolo Boar, provengono dalla penisola dei laghi per antonomasia, dalla nazione “meno scandinava” (linguisti, appassionati di antropologia ed etnografia, capiamoci...) della Scandinavia. Stiamo parlando della Finlandia, e a mero titolo informativo i Nostri si formano a Oulu, città condivisa dai connazionali alfieri del melodeath/extreme power made in Suomi: i Kalmah, tornati quest’anno con un nuovo lavoro in studio (Palo, pubblicato per Spinefarm Records). Va da sé, che tale band non condivide alcun elemento con quella dei fratelli Kokko, se non appunto la provenienza... quindi, se qualcuno, a causa di ciò, avesse sperato di incontrare in questo Poseidon le atmosfere avvincenti e magiche dipinte da Pasi Hiltula e poi da Marco Sneck, o gli assoli da guitar hero di Anti Kokko, può tranquillamente terminare qui la lettura, poiché non ve ne sarà traccia alcuna. Nati nel 2009 da una costola degli Heimia (Petri Henell e Petri Saarela), i Boar esordiscono subito l’anno successivo con la prima fatica discografica omonima e autoprodotta. Dopo un quinquennio in cui vedono la luce solo uno split pregevolissimo con Stolen Kidneys (2012) e un EP, Kasettikerho #6/6 2012-2013 (2013), dove i Nostri percorrono ancora impavidamente la strada dell’autoproduzione, è nel 2015, con la seconda fatica discografica, Veneficae, che entrano nel roster della piccola label francese Lost Pilgrim Records, condividendo i palchi europei con monicker più noti della scena doom/stoner, quali Conan, Weedeater e Dark Buddha Rising. E sulla scia dei plausi ottenuti nel corso di questo triennio, anche per questo Poseidon replicano la collaborazione con la suddetta etichetta, non riuscendo però a centrare pienamente quella che generalmente è definita -la terza- l’uscita discografica della maturazione definitiva, dell’ascesa del proprio appeal su un piano, come dire, meno circoscritto ai propri confini nazionali, e sì, anche dell’esplosione che tutti i fan aspettano. Badate: questo lavoro non sarà un fallimento totale, ma alcuni “però” persistono, anzi, aumentano rispetto l’uscita precedente. Forse, se vogliamo essere più perfidi, dal punto di vista atmosferico, tralasciando strutture, suono e perizia tecnica dei singoli componenti, un fallimento lo è.
Sguardo sulla copertina e sull’artwork, che fin dai primi momenti di approccio all’album ha illuminato gli occhi di chi sta scrivendo, alla vista del dio di tutti i mari abbandonato -vi risparmio la citazione del verso più celebre di Leopardi - in completa sinestesia col suo habitat naturale e cullato beatamente dalle onde, mentre osserva un veliero che naviga le proprie acque (Enea verso le terre laziali? Chi lo sa...). Le premesse sono tra le migliori, se solo ora non prendessero forma i “rischi” a cui si accennava nel paragrafo introduttivo, concretizzandosi nell’impianto eretto dai nostri musicisti. Doom, stoner, sludge e affini sono sonorità ancora aliene (e si spera ancora per poco...) a certe tematiche, l’èpos in generale, ed è forse la poca confidenza con queste tematiche, colmata solo marginalmente dal songwriting dei Boar, a rendere questo lavoro un mezzo passo falso e un passo indietro rispetto al precedente Veneficae. Non ci vorranno anni di pratica nel genere per scorgere fra questi solchi momenti solamente discreti, niente di più, niente di meno (titletrack e Dark Skies) e altri intercambiabili, o sorvolabili, o inutilmente prolissi (Shahar’s Son, 12, Featherless). Ed è proprio questo il principale rischio nel quale si incorre quando si decide di intitolare un’opera -la terza, sottolineo - Poseidon: le responsabilità dell’artista crescono, fioccano e si crea attorno la band un’attesa, poi, mal ripagata, poiché emergono lungo tutti i numerosi ascolti una serie di falle avvilenti per l’ascoltatore, e figuriamoci per chi deve assegnare una cifra in calce allo scritto.
Mai capirò chi si cimenta in un qualcosa che riuscirà solo appena a materializzare, come qui, l’incapacità palese da parte della band di ricreare una “vasca sonora” che prova a descrivere il mare, i suoi anfratti e le emozioni che riesce a far scaturire in ognuno di noi. Eppure, materiale da descrivere e trasmettere in musica ritengo ce ne sia a volontà, per usare un eufemismo. Per un eventuale manuale di riferimento pubblicato recentemente, pregasi consultare i ponderosi tomi mandati alle stampe (acustiche) dai Maestri tedeschi The Ocean (Pelagial). Fra una miscela di doom/stoner, comunque ben calibrato nei suoni e sempre ovattato (forse l’unica eco marina, nonché flebile metafora delle profondità dell’Egeo presente in tutto il lavoro), l’opera si apre con una title-track che ben lascia presagire per ciò che verrà poi, tra incursioni melodiche post-hardcore e intrecci vocali della coppia Saarela/ Henell dai sentori neurosisiani. Presagi positivi che sfumano, poi, nel corpo centrale, quando prende il sopravvento una scarsità, qualitativa, nella scrittura e nella durata, sopportabile solo se i tre brani in questione (Shahar’s Son, 12, Featherless) fossero durati la metà...ma allungare in questa maniera il brodo è traducibile in “provocazione alla nostra pazienza”. Dark Skies e Totally Out of This World risollevano la sorte dell’opera: la prima con un bridge psych inaspettato quanto gradevole, mentre la seconda con un’accelerazione caustica che, si spera, sia la strada che imboccherà la band in futuro. Non doom, non stoner, ma groove più immediato.
La benedizione concessa dal tridente di Poseidone non è giunta fino a Oulu, ma ha fermato il proprio corso migliaia di chilometri prima. Seppur i Boar non abbiano riconfermato le buone impressioni scaturite dal precedente Veneficae, desideriamo che il coraggio e la caparbietà di avventurarsi in sentieri ancora poco esplorati vengano premiati già dalla prossima uscita, perché sprazzi dei (recenti) fasti che furono si scorgono ancora. Pochi, ma ancora presenti. E come si suol dire: rimandati.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Poseidon 2. Shahar’s Son 3. 12 4. Featherless 5. Dark Skies 6. Totally Out of This World
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Line Up
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Petri Saarela (Voce, Chitarra) Petri Henell (Voce, Basso) Jari Montone (Chitarra) Kalle Huttu-Hiltunen (Batteria)
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