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Pantheist - Seeking Infinity
14/09/2018
( 2522 letture )
Sette lunghi, interminabili anni… ci dispiace dare un sommo dispiacere ai creativi che hanno trasformato il celebre aforisma di Lessing “L’attesa del piacere è essa stessa il piacere” in un (orrendo) spot che ha ammorbato per mesi il tricolore etere catodico, ma non ci hanno mai convinto: duemilacinquecentocinquantacinque giorni di silenzio non potranno mai essere un’appagante scampagnata, quando si attende il rilascio di un nuovo capitolo nella carriera di una band, soprattutto se si parla di nomi capaci di segnare un’intera epoca nella storia di un genere. Se poi la band in questione, nell’ultima apparizione prima della dipartita dalla scena, ha offerto una prova controversa e tale da instillare qualche dubbio sulla direzione artistica intrapresa, ecco allora che i sette anni diventano un’eternità, aspettando una risposta da quella Londra divenuta patria d’adozione di un moniker che aveva affondato le prime radici nelle terre fiamminghe di Anversa.
Stiamo parlando dei Pantheist e bastano pochi cenni per ricordare il ruolo-guida del combo capitanato da Kostas Panagiotou all’interno del movimento funeral doom di inizio millennio, a partire dalla demo di debutto 1000 Years per approdare alla divina coppia O Solitude/Amartia. Alfieri di una declinazione della materia funeral mai ripiegata su se stessa ma sempre aperta a contributi in arrivo da registri “altri”, dal gothic al death fino a più di qualche divagazione black, i Pantheist hanno in realtà sempre rivelato nel proprio dna un codice evolutivo in grado di portarli oltre le rigide barriere di un genere per sua natura poco propenso alle variazioni sul tema e, con tali premesse, è parsa del tutto naturale la svolta materializzatasi in quello che, a detta di chi scrive, rimane a tutt’oggi il loro capolavoro insuperato, Journey Through Lands Unknown, magnifico esempio di come il doom possa riservare un intero arsenale di sfaccettature, quando è maneggiato da artisti a tutto tondo. Intrapresa una rotta in cui la componente prog si avviava a diventare cifra stilistica decisiva, però, i Nostri sono incappati in un album non del tutto convincente (l’omonimo Pantheist del 2011), esasperando forse un po’ troppo le spinte alla contaminazione e indulgendo a una potabilità dell’insieme (qualcuno ha detto ultimi Anathema, come processo?) che, pur senza sfociare nell’easy listening da cassetta, ha fatto storcere più di una bocca, tra gli amanti delle dolenti trame oscure degli esordi. Ed eccola, inevitabile, la domanda al termine del settennato di digiuno, quale banchetto avrà apparecchiato Panagiotou per far ripartire una creatura appena risvegliata da un lungo sonno?

La risposta, almeno per quanto mi riguarda, è la meno probabile tra quelle plausibilmente formulabili: Seeking Infinity riporta le lancette del tempo ai primi lavori e si riconnette al mondo funeral su cui il predecessore sembrava aver posto una pietra tombale. Ed è davvero un’ottima notizia, perché il tutto non avviene anacronisticamente, negando ciò che un album come Journey Through Lands Unknown era stato in grado di offrire, in termini di maturità e coraggio del songwriting, ma, al contrario, prendendone gli spunti migliori per riproporli in un habitat diverso dall’originale. Detto che, formalmente, il lavoro nasce come concept/colonna sonora per accompagnare un racconto dello stesso Panagiotou, Events – Professor Losaline’s Extraordinary Journey Into The Unknown (che indaga le potenziali, distopiche implicazioni dei viaggi nel tempo), è inevitabile innalzare in premessa al mastermind di origine greca un’ennesima ode per l’incredibile qualità regalata a tutto ciò su cui abbia posato le mani in questi anni, leggere alla voce Clouds o Landskap per credere. Rispetto al 2011, peraltro, il resto della line up è completamente rinnovato, con citazione d’obbligo almeno per l’uomo alle pelli, quel Daniel Neagoe che molti identificheranno subito come polistrumentista di valore assoluto nei progetti Clouds e Eye of Solitude o come drummer titolare dello sgabello Shape of Despair dopo la dipartita di Samu Ruotsalainen, ma senza dimenticare anche Frank “The Watcher” Allain, da un decennio alla guida del trio post-black Fen.
Abbiamo parlato di ri-allunaggio sul pianeta funeral e il primo elemento che emerge è sul fronte del cantato, con il buon Kostas che sfodera per larghi tratti del viaggio un rapporto pressoché esclusivo con scream e, soprattutto, growl (al solito più sabbioso che gutturale), aumentando il tasso di dolorosa solennità dell’insieme e riprendendo il marchio di fabbrica degli esordi, in una sorta di celebrazione rituale permanente che non è però mai funzionale a eventuali percorsi iniziatici in grado di promettere redenzioni o anche solo terapeutici distacchi dal “sé”. Ma il nero dei Pantheist di questo Seeking Infinity non è mai un buio pesto sul cui trono sieda un’incontrastata disperazione, anzi, a conti fatti un ruolo di pari portata lo ricopre anche un senso di malinconia diffusa, da cui sgorgano diversi momenti di autentica estasi poetico/melodica, quasi che la contemplazione possa almeno per un attimo allontanarci dalle incalzanti miserie terrene. Tocca soprattutto alla seconda metà dell’album assecondare queste ascese ad approdi di elegante raffinatezza, ma i cultori delle ampie e potenti volute doom possono stare tranquilli, dato che nel frattempo avranno accumulato un’abbondante scorta di andirivieni tra le navate monumentali della solita, imponente cattedrale edificata nelle tracce precedenti.

Subito dopo l’intro Eye of the Universe, tutto organo e recitazione (la parte vocale è la registrazione di un discorso del filosofo Alan Watts), infatti, si parte subito con la compattezza delle strutture di Control and Fire, che non manca però di sorprendere grazie a improvvise esplosioni black che scagliano sulla scena lampi quasi psichedelici, prima di un lungo stop centrale dominato dai rintocchi in sospensione di un pianoforte. Da questo momento in poi si disegna un autentico arcobaleno di riflessi, tra un clean ieratico alternato a uno scream appuntito, cali di tensione che sfiorano esiti ambient e la sensazione complessiva di passeggiare sull’orlo di un abisso.. ma con lo sguardo sempre rivolto verso l’alto. Non deve ingannare l’avvio diafano della successiva 500 B.C.to 30 A.D. , perché il brano (peraltro noto da tempo, rilasciato come succulenta anteprima in cui i fans della prima ora avevano intravisto la possibilità di un ritorno alle origini) è la celebrazione della densità della materia funeral, facendo calare sull’album una cappa pachidermicamente opprimente che attanaglia anima e sensi per oltre tredici, (splendidamente) interminabili minuti. Tocca alla caduta dell’Impero Bizantino ispirare in 1453 – An Empire Crushes prima la sei corde acustica di Allain, poi un coro gregoriano che sembra accompagnarci in lenta processione in un monastero; è il brano più breve del lotto, ma assolutamente imprescindibile, per spezzare la tensione in vista di una seconda parte di tracklist con più di un elemento di novità.
Nulla di devastante, beninteso, ma la coppia di chiusura sposta il baricentro del platter su un asse decisamente più atmosferico, pur confermando la sostanziale monumentalità delle architetture. Ecco allora le magnifiche levitazioni space/liturgiche di Emergence (credo non saremo gli unici a sentir soffiare forte lo spirito Anathema, nell’infinita sequenza di stop and go), che spingono la traccia verso una frontiera drone/ambient peraltro già in passato nelle corde della band, ed ecco anche la dimensione cinematografica della conclusiva Seeking Infinity, Reaching Eternity, in cui, dopo un incipit quasi algidamente spettrale, il solito pianoforte in modalità arma letale brandita da Panagiotou e un assolo di sei corde magistralmente declinato si trasformano in proiettori di immagini in lenta e suggestiva sfilata… e chi frequenti tuttora o abbia almeno frequentato in epoca Wildhoney la blasonata dimora Tiamat, sa perfettamente cosa significhi poter annoverare in scaletta un brano come Gaia, soprattutto in vista del saluto live agli astanti convenuti alla cerimonia.

L’incertezza per il rientro sulle scene dopo un lunghissimo silenzio, l’eco di qualche timore per gli ultimi passi mossi prima dell’arrivederci del 2011, i dubbi sulla centralità del progetto per musicisti impegnati su altri, innumerevoli fronti pentagrammatici, Seeking Infinity raccoglie tutte le potenziali insidie e le trasforma in un’unica, granitica certezza: nell’elenco degli aspiranti a una citazione sotto la mai troppo popolata voce “capolavoro”, vale sempre la pena cercarlo, il nome dei Pantheist.



VOTO RECENSORE
84
VOTO LETTORI
75 su 1 voti [ VOTA]
Alessio
Giovedì 21 Febbraio 2019, 16.34.11
13
Dopo parecchio tempo sono riuscito ad ascoltarmelo intero e con attenzione. Lo sapevo, gran bell'album di Funeral Doom!
d.r.i.
Mercoledì 19 Settembre 2018, 12.16.17
12
E tra poco uscirà nuovo Funeral!!!
Flagellus75
Lunedì 17 Settembre 2018, 14.50.34
11
Non ho mai parteggiato per il doom, per curiosità sto ascoltando questo lavoro e devo dire, mi piace parecchio. Almeno all'inizio, poi credo tornerò al black old style
ObscureSolstice
Domenica 16 Settembre 2018, 20.04.22
10
@No Fun...col Parma in casa è stata una batosta ..ma queste sonorità non mi hanno mai reso come le stesse sonorita', mi nutrono dell'introspettivita'; anche se non ho iniziato da queste ma ci è voluto un bel po' di tempo e anni per iniziare a gradire questa decadenza catacombale, soprattutto col piu' estremo doom, il funeral doom
No Fun
Domenica 16 Settembre 2018, 17.28.19
9
@Zolfo Red Rainbow grazie per l'esauriente risposta che mi è utile per poter imparare ad ascoltare meglio questa musica (spesso sembra che discutere sui generi sia solo pignoleria invece può servire per imparare a capire cosa si ascolta, il nome che poi si dà è solo una sintesi di un ragionamento). Funeral, musica drammatica e monumentale, non basta la lentezza. Ecco, il problema è che mi capita a volte che certi strumenti mi tolgano drammaticità o monumentalità invece che aumentarle. Devo farci orecchio. Bella la metafora della cattedrale. Mi ricorda quando entrai in quella di Chartres, architettura rocciosa e scansione di spazi bui (riff di chitarra e sezione ritmica) vetrate blu (inserti acustici, piano, clean vocals) e all'improvviso partì un organo come se la cattedrale fosse un animale di pietra che piangeva. Una musica che riesce a ricreare le sensazioni simili stando seduto in poltrona, beh, merita di essere approfondita.
Red Rainbow
Domenica 16 Settembre 2018, 13.59.51
8
@ No Fun: vengo anch'io dal tuo stesso "percorso" musicale di perplessità per synth e tastiere nel metal (oltre che frequentare gli stessi orrori calcistici in salsa nerazzurra ), figurati che all'uscita di Seventh Son sono inorridito dichiarando la fine del mito Iron Maiden, però con gli anni ho imparato ad apprezzare un uso intelligente dei tappeti sonori, al punto che li ritengo imprescindibili per il doom di non stretta osservanza sabbathiana (dunque tutto il filone scandinavo) oltre che per il funeral. Giasse ha fissato alla perfezione le colonne d'Ercole del genere e con lui condivido anche una "storica" battaglia contro la tentazione di considerare funeral ogni album che abbia la lentezza oscura come tratto distintivo, se hai un attimo di tempo leggi le mie rece di Swallow the Sun - Songs from the North III e Shape of Despair - Monotony Fields per qualche appunto "filosofico" sul tema. Hai citato giustamente i Mournful Congregation (per me a tutt'oggi i Maestri del genere) e secondo me i Pantheist di questo Seeking Infinity per una metà abbondante del platter non sono troppo lontani dagli stilemi degli australiani (in generale l'uso del pianoforte o il cammeo della chitarra acustica in 1453 – An Empire Crushes, sulle tracce di una When the Weeping Dawn Beheld Its Mortal Thirst). Poi, certo, le due tracce conclusive sono un po' agli antipodi di quello stile scarno e implacabile a cui fai riferimento ma, come ho scritto, i Pantheist sono "anche" quelli di Journey e qui lo dimostrano alla perfezione...
No Fun
Domenica 16 Settembre 2018, 11.31.52
7
@Stagger, gli Evoken ce li ho in lista, gli Abstract Spirit ci sono finiti dopo aver letto il tuo commento di ieri sotto a un loro disco! @Giasse, grazie per la precisazione, quindi ok sono funeral in tutto e per tutto chi usa synth etc come chi non lo usa, l'importante è creare una musica evocativa ed emozionante (io preferisco chi li usa con parsimonia, ne tengo conto se devo valutare di ascoltare ed eventualmente acquistare).Ciao @Obscure, anche tu ti sei dato all'ascolto del disco dopo aver visto Inter Parma
ObscureSolstice
Domenica 16 Settembre 2018, 9.50.16
6
Veramente molto bello. Le mescolanze di black, death e doom classico e' perfetto. L'aurea necrologa divina dall'inizio della prima intonazione, con tematiche storiche a percuotere il terreno funeral doom con innesti che non smembrano la creatura ma la rende ancora piu' appetibile e molto interessante. Emozioni a mille.
Giasse
Domenica 16 Settembre 2018, 8.24.07
5
Buongiorno No Fun. Red Rainbow potrà spiegarti tutto nel dettaglio, essendo lui il nero cerimoniere di Metallized... Sappi che il doom è fatto di moltissimi sottogeneri e ce n'è davvero per tutti i gusti, sia per gli appassionati della superlentezza, sia per gli ascoltatori più propensi alla melodia. Per come lo intendo io il funeral, nella sua accezione accademica, possiede elementi melodici e strumentazione adegata a creare atmosfera. Dunque ok sinth e soprattutto organi. Esistono poi tanti modi di usarli: dalla logica embrionale dei Therfothon, alla pomposita' quasi ecclesiastica degli Skepticism ne passa! Buon viaggio di ascolto!!! Saluti a tutti. M.
Stagger Lee
Domenica 16 Settembre 2018, 7.48.50
4
Ciao No Fun! Anche io mi sono appassionato al genere...e se già non li conosci ascolta gli Evoken e gli Abstract Spirit. Per me sono il massimo!un saluto!!!!
No Fun
Domenica 16 Settembre 2018, 0.50.43
3
Ciao, ascolto da non molto tempo questo genere magnifico e oppressivo ma visti i risultati recenti dell'Inter mi sa che sarò costretto ad immergermi parecchio in questa musica. In genere non sopporto molto tastiere e synth, preferisco siano chitarra e basso a lamentarsi, però in diversi album funeral che ho ascoltato l'organo o le tastiere ci stanno benissimo perché rimangono come una trama che deve creare un umore di sottofondo (tipo in Mirror Reaper) Questi Pantheist non mi convincono perché ne fanno un uso, mi sembra, eccessivo, effettistico (ho dato un ascolto a questo e a Journey, ah, complimenti a Zolfo, Giasse e Furio per le recensioni!) Però mi sorge un dubbio: l'uso di questi strumenti è una caratteristica di questo genere e i gruppi che ne fanno poco o per niente uso sono eccezioni, oppure il funeral è un genere scarno e implacabile tipo i Worship o Mournful Congregation che mi piacciono e chi abbonda con le tastiere è un'evoluzione del genere?
Giasse
Sabato 15 Settembre 2018, 19.11.30
2
Essendo più interessato ai Pantheist degli esordi, rispetto alle ultime uscite, concordo su tutto. Purtroppo però episodi alla Barock o alla Don't Mourn mi sembrano un po' lontani. Comunque prima di dare un giudizio definitivo voglio investirci un po' di tempo... Più si va avanti con l'età e più il funeral diventa cervellotico come interpretazione . Saluti a tutti. M.
Alessio
Sabato 15 Settembre 2018, 18.49.01
1
Sono curioso di ascoltarlo questo nuovo. Dalla recensione direi che ci siamo davvero.
INFORMAZIONI
2018
Melancholic Realm Productions
Funeral Doom
Tracklist
1. Eye of the Universe
2. Control and Fire
3. 500 B.C. to 30 A.D. – The Enlightened Ones
4. 1453: An Empire Crumbles
5. Emergence
6. Seeking Infinity, Reaching Eternity
Line Up
Kostas Panagiotou (Voce, Tastiere)
Frank Allain (Chitarre)
Aleksej Obradovic (Basso)
Daniel Neagoe (Batteria)
 
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