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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Antimatter - Black Market Enlightenment
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29/11/2018
( 4063 letture )
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Mmmmmh, non riesco mai a ricordarmi il nome dell’altro dei due, quello con la barbetta rossa e i capelli radi che accompagna Patterson nel nuovo progetto.
Ce lo immaginiamo più o meno così, un non troppo ipotetico dialogo di inizio millennio tra osservatori compulsivi di tutto ciò che ruotava intorno alla galassia Anathema, allora caratterizzata da frequenti scosse di assestamento della line up che peraltro non ne avevano impedito una collocazione sempre più centrale nelle mappe doom/death/gothic dell’epoca. Fresco di dipartita dalla casa madre subito dopo il rilascio di uno dei monumenti della discografia della band di Liverpool, Alternative 4, il bassista-tastierista Duncan Patterson aveva deciso di imboccare una strada artisticamente differente, prendendo a bordo il concittadino Mick Moss (eccolo, il rossiccio coi capelli radi) e puntando verso lidi che, se pur non del tutto estranei al processo già in atto nella creatura dei fratelli Cavanagh, indubbiamente rischiavano di spiazzare sempre di più i devoti della prima ora, cresciuti a pane e Serenades o Silent Enigma. Certo, pochi si sarebbero aspettati un debutto come Saviour, caratterizzato da significative nervature trip hop tra Massive Attack e Portishead, ma ancora meno avrebbero potuto immaginare che in quel platter (peraltro già un ottimo lavoro, almeno per orecchie disposte ad ammettere che può esserci vita anche oltre le mura della metal cittadella) era sostanzialmente assente l’arma letale con cui gli Antimatter si sarebbero successivamente ritagliati un meritatissimo spazio tra gli amanti del rock d’autore. Già, perché in quella prova, tranne rare eccezioni (l’ottima Over Your Shoulders su tutte), il microfono era affidato quasi esclusivamente ad angeliche e diafane ugole femminili (Michelle Richfield e Hayley Windsor), lasciando intuire che alla coppia di fondatori interessasse soprattutto concentrarsi sulla componente strumentale dei brani. Oggi, a poco meno di vent’anni di distanza da quel rilascio, viene quasi da sorridere, al pensiero che qualcuno possa anche solo concepire di rinunciare alle potenzialità offerte da una voce come quella di Mick Moss, ma i pezzi del puzzle cominciano a ricomporsi già con i successivi Lights Out e Planetary Confinement, dove il peso del cantato maschile cresce progressivamente insieme a un relativo arretramento delle suggestioni electro. La svolta davvero decisiva, però, avverrà solo nel 2005 quando, in seguito all’abbandono di Patterson, a partire dallo struggente Leaving Eden, Moss si ritroverà da solo al timone del veliero Antimatter e sceglierà di prendere il largo sfruttando la spinta di uno dei timbri vocali più profondamente e malinconicamente orientati del panorama… già, ma quale panorama? La scelta dell’aggettivo che completi la frase in maniera appropriata è una delle imprese più titaniche e a bassa probabilità di successo in termini di onnicomprensività, ma diciamo che tutte le definizioni a cavallo di atmospheric rock/gothic rock/alternative rock o metal/dark ambient meritano diritto di piena cittadinanza, in un quadro generale dove, indipendentemente dalle velleità di catalogazione, a emergere è sempre stata la qualità.
E non sfugge a questo destino inscritto geneticamente nel DNA di un moniker sempre più “one man band” nemmeno questa settima fatica in studio, Black Market Enlightenment, che riesce nella non facile impresa di superare un predecessore come The Judas Table, a parere del sottoscritto candidato di diritto al ruolo di classica prova della maturità oltre cui le prospettive di crescita diventavano davvero problematiche, salvo modificare almeno in parte le spinte creative. E invece ancora una volta Mick Moss si cala nella miniera di un’ispirazione evidentemente inesauribile e ne riemerge con un carico preziosissimo, distillando emozioni per quasi un’ora di incredibile coinvolgimento e replicando l’incanto che da sempre accompagna ascolti in perenne sospensione tra abbandoni onirici e un sottile senso di smarrimento dietro cui si intravvedono le ombre dei “mali di vivere” contemporanei. Di nuovo, il punto di forza degli Antimatter si rivela un’incredibile capacità di far germogliare su strutture complessivamente semplici e lineari (il caro vecchio impianto strofa/ritornello/strofa/ritornello con un assolo variabilmente collocato tra gli ultimi due tempi) una sterminata sequenza di riflessi che finiscono per dare ai brani colori in perenne variazione ed è proprio qui, nel contrasto tra minimalismo cantautorale di base e ricchezza delle soluzioni a cui ricorrere per sviluppare le trame (inclusa una cura per gli arrangiamenti ormai quasi maniacale), che scaturisce quella poesia-in-musica che alla lunga diventa la cifra caratteristica dell’intero lavoro. Completa il pacchetto l’ennesima, spaventosa prova al microfono di Moss, bardo per antonomasia di tutte le possibili combinazioni della tavolozza dei grigi in chiave acustica, in una sorta di colonna sonora permanentemente autunnale di cui, certo, malinconia e ombre uggiose sono ingredienti essenziali, ma senza dimenticare una nota di voluttuosità che marca i passaggi in cui il singer innesca la componente “calda” del suo spettro vocale. Un ulteriore ma tutt’altro che trascurabile bonus arriva infine dalla perfetta interazione con gli ospiti chiamati a convegno, con nota di merito particolare per il lavoro alle pelli del drummer Fab Regmann (chiamato a sostenere se non proprio una vera e propria svolta muscolare, almeno un’indubbia accentuazione delle reminiscenze Katatonia) e per la coppia ai fiati Paul Thomas/Julie Rodaway, molto più che banali turnisti a cui sia stato chiesto un cammeo, così come è tutto fuorché un tocco esotico fine a se stesso il ricorso alla qamancha, antico strumento tradizionale caucasico ad arco qui brandito dalle sapienti mani di Vardan Baghdasaryan.
C’è giusto il tempo di accomodarsi a bordo del vascello Black Market Enlightenment e già sulle prime note di The Third Arm, singolo rilasciato in anteprima accompagnato da un (consigliatissimo) video, parte il lavoro di de-materializzazione e vaporizzazione della realtà, che sparisce in fretta dietro nuvole melodiche mai consolatorie ma che, al contrario, nascondono sempre increspature venate di tristezza e inquietudine. Un senso di solitudine quasi spettrale ci accoglie sul limitare della successiva How I Wish I Was Here, ma ancora una volta non è l’abisso, la meta che ci attende, quanto piuttosto l’inesorabilità di una sintonia totale con un universo divenuto improvvisamente spoglio, pur ammettendo ancora anfratti di lirico abbandono, affidati al flauto magico della Rodaway e agli eterei arabeschi della voce di Carla Lewis. Si torna invece agli echi dell’antica sensibilità electro in una traccia come This Is Not Utopia, ma che la stagione massiveattackiana abbia definitivamente perso la centralità degli esordi è certificato da un finale in cui piomba sulla scena un sax che interrompe il tiro cadenzato fin lì dominante. Ancora nuvole dense affollano Partners in Crime e anche stavolta l’esito è sorprendente, complice una virata muscolare su cui va ad innestarsi un ottimo assolo non lontano dalla resa Anathema “periodo di mezzo”. L’anima acustica di Moss si prende il proscenio nell’avvio di Sanctification, ma quella che sembra svilupparsi come una tranquilla e tutto sommato inoffensiva semi-ballad viene letteralmente tagliata in due da un assolo di sax (azzardiamo il finale di una Crime of the Century di supertrampiana memoria, come possibile equivalenza di impatto), prima che un finale orientaleggiante porti a termine il processo di stravolgimento rispetto alle premesse. L’afflato eastern rimane essenziale anche in Existential e, anzi, ne diventa l’asse portante, intrecciandosi con i sussurri in dissolvenza e in sottofondo di Aleah Stanbridge, uno dei tanti regali offerti al pentagramma dalla divina voce della ragazza sudafricana prima della sua immatur(issim)a scomparsa nel 2016. Ed è proprio qui, tra profumi di spezie che sembrano materializzarsi nei solchi e la magia di un tramonto ai piedi dell’Ararat, che pulsa il cuore dell’album, con buona pace di tutti i (pochi, a dir la verità) detrattori che hanno talvolta imputato agli Antimatter una certa monocordità di fondo. In un fiume finora in inarrestabile piena qualitativa, il rivolo meno entusiasmante arriva forse con l’episodio più nervoso del lotto, Between the Atoms, che effettivamente sconta il difetto di sfoderare pochi colpi di scena rispetto a una compagnia che invece ne annovera in quantità industriali, eppure siamo sempre in presenza di un brano tutt’altro che banale o di mestiere, che nel finale trova comunque un solidissimo approdo sfruttando ancora una volta il gioco di spire sinuose della qamancha. Per mettere il classico punto esclamativo riservato ai grandissimi album, manca a questo punto solo il gran finale e infatti eccolo, affidato alla perla onirica del platter, Liquid Light. Una capsula lanciata in qualche angolo remoto dell’universo, corpi in ibernazione cullati da una ninna nanna che ha tenuto lontani dolori e turbamenti per tutti gli anni luce del viaggio, un senso di pace e serenità in vista di un futuro su cui valeva la pena scommettere, tutto è pronto per il risveglio… sarà rinascita o incubo?
Raffinatezza ed eleganza dispensate a piene mani senza alterare mai il battito d’ali delle emozioni, un arcobaleno di colori che si accendono e si spengono affrontando il regno delle ombre non per sconfiggerlo ma alla ricerca di un possibile equilibrio, Black Market Enlightenment è un album semplicemente straordinario, che avanza la sua autorevolissima candidatura come vertice di un’intera carriera… almeno fino alla prossima uscita, perché qualcosa ci dice che è bene non immaginarli mai troppo a ridosso delle loro colonne d’Ercole, gli Antimatter.
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13
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Elamadoooonna che disco! Bellissimo! |
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12
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Questo devo ancora sentirlo ma The Judas Table mi era piaciuto un casino veramente. Probabilmente sarà lo stesso anche stavolta. Ottima band. |
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11
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@mvf nella sezione singoli del loro shop ci sono too late e wellcome,sono proprio due cd singoli separati, non c'è una versione di black market che li comprende |
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10
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Scusate dove l' avete vista l' edizione con anche Too Late e Welcome to the Machine? Io ho il digipack normale ma adoro questi due pezzi, mi mangio le mani per non averla vista! In ogni caso, ennesimo album bellissimo. Mi ha stupito molto la svolta "muscolare" e più impetuosa, mai mi sarei aspettato il doppio pedale su un loro album. E chi di voi ha avuto la fortuna come me di vederli live in questi tour ha anche visto quanto climax dia soprattutto dal vivo. Maestoso, voto: 90 |
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9
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Gran bella recensione Red, l’ho pure riletta più di una volta, perché adoro gli Antimatter e perché apprezzo e stimo chi sa scrivere con competenza e sentimento.
Oggi riflettevo sul fatto che a volte mi capita di sostare ininterrottamente su un pezzo, senza riuscire ad andare avanti né a tornare indietro!
Nel mio caso il brano magnetico qui è “Partners in Crime”:
introduzione “gregoriana”, esordio vocale struggente, lunghe e reiterate peripezie a base di passaggi di microtoni inattesi, in bilico tra dissonanza e stonatura (effetto magnifico). La massima tensione ipnotica coincide col finale che giunge simile a colpi di mitragliatrice.
E’ un lavoro immenso e ben contaminato tra oriente e occidente.
Perfettamente integrate le incursioni dello strumento a fiato: molto espressivo il sassofonista! Solo in due ci erano riusciti al meglio, in questo caso con la tromba: i Cult Of Luna in The Lure (Interlude) e i Callisto in New Cannan.
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8
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@ocram, per curiosità ti è già arrivato il tutto? immagino che essendo la distribuzione self made si andrà un pò per le lunghe, visto che Moss è pure in tour. sarebbe cmq curioso conoscere bene la genesi de pezzo con aleah. anche per me Hallatar e trees of eternety sono altri capolavori, inoltre sul canale antimatteronline c'è pure il nuovo duetto con i beautyfied project. ennesima grande prova di mick moss |
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7
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@gamba. e ocram: avete fatto benissimo a ricordare il trait d'union soprattutto con i Trees of Eternity, non dimentichiamoci che in Hour of the Nightingale tocca a Moss il ruolo di ospite in uno dei pezzi più classicamente "stanbridgiani", Condemned to Silence...  |
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tutti d'accordo sul valore immenso di trees of eternity e hallatar comunque grazie jack per la precisazione! |
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5
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Io invece sono uno dei fortunati possessori della limited edition a 300 copie. Già The Judas Table era bellissimo, ma qui siamo davvero su un altro livello, per me senza ombra di dubbio il capolavoro degli Antimatter, perfino superiore al bellissimo Leaving Eden. Album tra i più sinceri ed emozionanti di Mick ed è stato un colpo al cuore sentire ancora Aleah in Existential (per la cronaca l'album dei Trees of Eternity e il successivo Hallatar sono due capolavori assoluti). Voto 90 |
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no intendevo quella limitata a 300 copie 2cd+dvd, ho acquistato la versione che dici tu più l'ultimo live e i due singoli, too late e wellcome to the machine,li sto aspettando in grazia  |
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3
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scusa in che senso non sei riuscito? ti riferisci alla versione col documentario , booklet da 20 pagine etc? è disponibile sul sito ufficiale. |
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mi mangio le mani per non essere riuscito a prendere la versione limtata, aspetto mi arrivi in copia fisica, prima di ascoltarlo e giudicarlo. Una onemanband straordinaria. tra l'altro primo album autoprodotto da che sotto contratto con la prophecy, live esclusi. spero che riesca ad avere tutto il successo commerciale che merita. |
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stamattina ascoltavo dopo diverso tempo lights out, e il mio interrogativo è stato, proprio come in recensione: bello come sempre ma, alla luce di quest'ultimo black market enlightenment, come caspita è stato possibile esaltare le voci femminili a discapito di quel che può offrire mick moss dietro al microfono?! ho molto apprezzato the judas table ma con quest'ultima prova andiamo oltre, mi accodo al recensore, quest'album ha tutte le carte in regola per diventare, nel lungo termine, il migliore di tutta la carriera degli antimatter, perlomeno per me. prestazione vocale da urlo, album che se possibile parte con un'ottima traccia e man mano che scorre rincara ulteriormente la dose di emozione e meraviglia, con picco indiscusso in existential (juha ha dato il suo beneplacito dalla pagina fb dei trees of eternity). apprezzo moltissimo anche between the atoms, ma il viaggio all'interno di quest'album è appena iniziato, avrò tutto il tempo che desidero per interiorizzare una traccia alla volta e apprezzarle tutte, così come fu per i trees of eternity. che dire, grazie mille per la bella recensione, purtroppo li ho persi a milano ma torneranno sicuramente, visti live col precedente album, li rivedrei altre mille volte, fosse anche solo per la grande umiltà di mick moss e la sua capacità di farci salire tutti sul palco col cuore. se qualcuno è stato a milano faccia sapere com'è andata! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Third Arm 2. Wish I Was Here 3. This Is Not Utopia 4. Partners in Crime 5. Sanctification 6. Existential 7. What Do You Want Me To Do 8. Between the Atoms 9. Liquid Light
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Line Up
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Mick Moss (Voce, Chitarre, Tastiere, Basso)
Musicisti Ospiti
Carla Lewis (Voce) Aleah Liane Stanbridge (Voce in traccia 6) Paul Thomas (Sax) Julie Rodaway (Flauto) Vardan Baghdasaryan (Qamancha) Fab Regmann (Batteria)
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