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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Angel of Damnation - Heathen Witchcraft
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03/01/2019
( 963 letture )
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Decisamente un buon anno, questo 2018 appena conclusosi, per il doom di stampo classico e per ciò che concerne due dei suoi approdi più estremi (tradotto: death/doom e funeral doom, rappresentati in un ipotetico pantheon, rispettivamente da Hypnagogia e The Incubus of Karma). A rincarare, e a concludere, la dose delle uscite degne di nota in questi territori, ci pensa la solita, vivace, Shadow Kingdom Records, etichetta statunitense che si occupa dei tre generi “old school” per eccellenza, ossia: heavy, doom, thrash, contaminazioni incluse. Sperando che quanto udito di buono dal roster della label nel 2018, si possa ripetere anche nei prossimi dodici mesi, non possiamo che consigliare l’ascolto, perlomeno a titolo esemplificativo, di lavori recensiti fra le nostre pagine – e non -, quali Excalibur, Pale Divine, Burst Into Flame, Dread Reverence dei black thrashers canadesi Blackrat e la sfilza di EP (1-10) dei doomsters californiani Beastmaker. Per completezza, sono da menzionare le recenti ristampe di alcune rarità.
“I practice sorcery The act of injury…”
A riconfermare i dettami di casa Shadow Kingdom, a questo giro ci pensano i tedeschi Angel of Damnation, con il loro “witching classic-style doom”, in cui occultismo ed intrecci melodici danno vita ad una prova non eccelsa, tuttavia matura, autentica, vissuta, partorita da due leggende dell’underground germanico che si celano dietro a due pseudonimi. Angel of Damnation nasce nel 2004 come side-project delle colonne portanti di questa formazione, ovvero del vocalist, Doomcult Messiah, e del chitarrista/bassista/batterista, Avenger. Non c’è dunque da meravigliarsi che Heathen Witchcraft sia solo la seconda fatica discografica sulle lunghe distanze, pubblicata a distanza di sette anni dopo un solo LP d’esordio, Carnal Philosophy (pubblicato per Kneel Before the Master’s Throne Records), e un EP omonimo (2004), dati gli impegni discografici del cantante e del polistrumentista collega. Vediamo, ad esempio, ciò che è stato il 2018 per Gerrit Mutz. Il singer piazza consecutivamente tre performance da “giù il cappello”: dapprima partecipando in Codex Epicus (pubblicato per la romana Cruz de Sur Music) con gli ellenici Battleroar, poi si dedica a questo Heathen Witchcraft e, dulcis in fundo, riesuma la creatura Dawn of Winter, con i quali licenzia il nuovo Pray for Doom per I Hate. Che altro, poi? Ah, già. Gerrit Mutz è la voce dei Sacred Steel, da oltre vent’anni. Aggiungiamo a questa dose di esperienza e carisma, gli oscuri servigi della mannaia sanguinante di Avenger, un personaggio che mastica black, thrash e death (Front Beast, Nocturnal), l’operato di Forcas e Skullsplitter, entrambi compagni in Cross Vault e Halphas, e siamo sicuri che Heathen Witchcraft susciterà, quantomeno, l’interesse degli addetti al “classic doom panorama”. In Heathen Witchcraft ogni elemento del repertorio doom che decreta un buon esito si trova al suo posto. Gli Angel of Damnation si prefiggono come scopo quello di celebrare, nella nuova opera, l’epoca d’oro della stregoneria medievale, ricreando, attraverso questo lungo rituale di quarantotto minuti, atmosfere che puzzano lontano un miglio d’incenso, fiaccole e tenui fuochi, giochi d’ombre e sacrifici, simbologia occulta e pratiche oscure, dando vita ad una danza pagana (o anti-cristiana, se preferite), dove si ergono a protagonisti assoluti la coralità e la limpidezza della voce di Doomcult Messiah, di chiaro stampo marcoliniano, e la centralità della chitarra (e dei riff!) di Avenger. Come si diceva in precedenza, anche la melodia gioca un ruolo importante in questa opera, e il lungo fraseggio di chitarra d’apertura di Brimstone Sorcery, tetro e raffinato, ne è prova tangibile. Il luogo in cui ci troviamo diviene catacomba popolata da ratti, ragnatele e figure perverse: il riffing essenziale, intriso di sapori epici, che si barcamena tra doom e dramma, è rifinito dal basso di Forcas, cristallino e sempre presente, e dal cantore di questa messa nera: Gerrit Mutz. Dragged to the Torture Wheel si muove inizialmente su coordinate di matrice heavy, in cui chitarra e basso si scambiano un botta e risposta riuscitissimo, e si evolve poi in un tempo medio sulla falsariga dell’opener, ma farcito da due assoli efficaci conditi da una serie trilli del chitarrista, volti ad esaltare la componente sulfurea dell’intera opera. Proseguendo verso il fulcro del rituale, incontriamo la doppietta Gospel of the Serpent/Heathen Witchcraft. Nulla aggiunge e nulla toglie il terzo tassello, piuttosto si riscontra un appiattimento qualitativo: esiguo numero di riff, esiguo numero di cambi di tempo, esiguo numero di soluzioni vocali, affossati anche dalla maestosità della doppietta d’apertura. E a proposito di maestosità, le liturgiche tastiere spettrali della title-track ci trasportano fra la rovine di un’immaginaria cattedrale sconsacrata: nove minuti di “stregoneria pagana” (Heathen Witchcraft), che segue una struttura fatta di rallentamenti ai limiti del funeral, refrain e riff alle volte trascinanti, che rendono il brano solo in parte piacevolmente fruibile, nonostante la mole. Della successiva Lord of the Seven Churches poco si può dire, se non che rappresenta uno dei momenti salienti dell’opera, con la deliziosa virata improvvisa a 2.10 verso galassie NWOBHM e tempestata da un ritornello ficcante e assoli al fulmicotone. Anche la conclusiva Tear Off the Veil Off the Sun strizza l’occhio, nella scrittura, al sacro metallo inglese: a predominare sono delle ritmiche singhiozzanti, nevrotiche, ma che si tingono di colori più accesi rispetto a quanto ascoltato fino alla traccia precedente. Come da manuale, sfociano nell’ultimo solo di Avenger, che chiude l’opera dopo un’altra sezione a bpm alzati.
Pochi brani, che rimbalzano dal doom all’heavy e dall’heavy al doom, sui quali, senza dubbio alcuno, è a prevalere quest’ultima componente. La scuola ottantiana, il suo messaggio e la concezione dello “steel” più duro e puro continuano a vivere, grazie a band come gli Angel of Damnation, ma anche grazie ad etichette come Shadow Kingdom Records. Il dilemma persiste e persisterà sempre, sull’utilità o l’importanza di lavori come questo Heathen Witchcraft. Fortunatamente, alla musica che risiede tra questi solchi, lungi dall’essere perfetta, ma che di certo gravita lontana da bizzarri meccanismi aziendali, persegue un solo scopo: scaturirci determinate immagini in testa, e se possibile farlo nel migliore dei modi, infischiandosene del fatto che gli anni ottanta, per alcuni, ma non per tutti, sono un ricordo sbiadito. E questo Heathen Witchcraft ci riesce, con i suoi alti e bassi, ma ci riesce, adempiendo in toto alle sue funzioni. Tanto basta. Per soli appassionati? Chiaro. Si accendano i fuochi e che il rituale abbia inizio, grazie.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Brimstone Sorcery 2. Dragged to the Torture Wheel 3. Gospel of the Serpent (The Damnation of Gehenna) 4. Heathen Witchcraft 5. Lord of the Seven Churches 6. Tear Off the Veil Off the Sun
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Line Up
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Gerrit P. Mutz “Doomcult Messiah” (Voce) Daniel “Avenger” Chicos (Chitarra, Tastiera) Forcas (Basso) Skullsplitter (Batteria)
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