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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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21/03/2020
( 1225 letture )
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I britannici Architects sono sicuramente una delle band più note nell'ambito del metal-core. Il monicker Architects ora come ora rappresenta ben più che una band, ma una sorta di status symbol non solo musicale ma anche legata al loro credo politico e sociale, che non si riservano mai di proferire a gran voce tramite i loro testi. Otto album all'attivo, una schiera di fan in tutto il mondo e un divenire musicale davvero interessante: con Ruin siamo pressoché all'inizio della carriera dei nostri, quando ancora dovevano definirsi gli archetipi e il songwriting che ora sono marchio di fabbrica e li rendono riconoscibili al primo ascolto. Ruininvece non è facilmente associabile agli Architects, a meno che l'ascoltatore non sia un fan di vecchia data. Infatti esso è selvaggio, rozzo, con una produzione primordiale e sicuramente tante idee già consapevoli, che però andavano ancora messe in ordine. Esso è inoltre il primo lavoro con il noto (e amato) frontman Sam Carter, che qui deve ancora definire la sua identità vocale, ma che poi diventerà parte integrante dell'impatto musicale degli Architects (come i suoi famosi "Pleah!", che molti cantanti prenderanno come esempio).
Il genere è sostanzialmente hardcore, seppur intriso e di parti swedish e di tecnicismi assolutamente non tipici del filone, due aspetti che danno al lavoro sfumature melodic metal e math-core, e a tratti si sfocia nel noise (facendo anche pensare ai seminali Converge). In ogni caso la melodia non la fa da padrona e solo raramente edulcora un palinsesto aggressivo e graffiante dall'ascolto non sempre facilissimo, e che in ogni caso diventa complesso se paragonato ai lavori odierni, facendoli apparire completamente differenti e ancora più moderni di ciò che sono: in questo lavoro non è facile definirli "metal-core" nella stessa maniera con cui usiamo questa definizione per loro oggi.
Gli Architects di questo lavoro sono ancora esenti dal mercato delle etichette discografiche, dai cliché del genere e -soprattutto- sono ancora nel pieno della gioventù e della speranza, ancora lontani e inconsapevoli di ciò che in futuro sarà la loro disgrazia personale: la dipartita del chitarrista-fondatore Tom Searle a soli 28 anni a causa di un cancro; vicenda terribile che pur segnandoli per sempre umanamente, contribuirà per vie traverse alla loro fortuna, soprattutto per i contenuti musicali e lirici scritti proprio dal ragazzo con la consapevolezza della morte. In questo lavoro, come spesso accade nel metal-core della prima scuola, sono presenti alcune tematiche simboliche legate al mare e all'oceano, già palesi in alcuni titoli quali Buried at The Sea, Sail This Ship Alone, North Lane (canzone a cui fra l'altro è ispirato il monicker della prog/djent band australiana Northlane). Strumentalmente parlando, oltre alle parti tecniche e implacabili di chitarra e batteria, non mancano frame più rudimentali, dissonanti, cadenzati e reiteranti in stile HC americano, uniti a sfumature melodic death (Heartless, I Can't See the Light), mentre i ritornelli puliti sono ancora pochi e riconducibili solo ad alcune canzoni, come You'll find Safety e la già citata North Lane (punta di diamante e forse una delle canzoni che più si avvicina all'attuale stile della band). Altri pezzi notevoli sono Low, con la sua particolare intensità melodica e Running From the Sun, con la sua intenzione in your face.
Concludendo, un lavoro che sicuramente non è il più importante degli Architects , ma che incuriosisce parecchio se contestualizzato nella loro carriera. Sia i fan di nuova data che gli amanti del metal/hardcore dovrebbero ascoltarlo anche solo per accademia.
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4
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E' un disco acerbo, più grezzo e meno tecnico e difficilmente identificabile con quello che è il loro stile tipico. Nei successivi hanno dato meglio di quanto hanno fatto qui, per una ovvia crescita maturata nel tempo. Per me è al di sotto delle produzioni successive, anche se non al di sotto di The Here and Now. Il voto ci sta tutto e condivido. Concludo con una nota di rammarico: apprezzo tantissimo lo sforzo di questo sito di andare contro la sua natura più congeniale, per dare spazio e un po' di credito a un genere che di per sé non piace a nessuno (se non al sottoscritto, cosa che non ho mai nascosto da quando mi capita di leggere qualcosa qui) e che resta fin troppo bistrattato. Leggere certi commenti su un gruppo come questo è la riconferma di quanto questi sforzi siano vani: dire che dopo i primi due album non hanno combinato nulla è inaccettabile, se non proveniente da chi questo genere proprio non gli interessa, ed è un po' la tendenza che su questo sito hanno tutti. Ti ringrazio, Valeria, per tutti gli sforzi. |
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3
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Sicuramente il lavoro migliore degli Architects assieme ad Hollow Crown. Poi sono diventati banali |
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2
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lavoro molto interessante, anche se la loro punta di diamante arriverà 4 dischi dopo con all our gods
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1
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Bellissimo insieme al successivo hollow crown. La componente math era ancora presente, poi sono diventati una fetecchia |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Buried at The Sea 2. Hunt Them Down 3. You'll Find Safety 4. Always 5. Sail this Ship Alone 6. Heartless 7. North Lane 8. I can't See The Light 9. Low 10. Running From The Sun 11. Save Me
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Line Up
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Sam Carter (Voce) Tom Searle (Chitarra) Tim Brooke (Chitarra) Alex Dean (Basso) Dan Searle (Batteria)
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