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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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( 5316 letture )
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Merendine confezionate.
Del precedente album avevo parlato come di qualcosa eccessivamente caramelloso, così melenso da risultare quasi grottesco: in pratica, zucchero filato ricoperto da zucchero a velo. L’intro del nuovo disco, Daybreaker, data l’apertura con scampanellio celestiale ad andamento “emo-Twilight”, non mi faceva sperare in meglio. Lo ammetto, avevo temuto il disastro; cose brutte brutte all’orizzonte, al cui confronto un editoriale di Ferrara sarebbe apparso non come qualcosa di sensato, ma se non altro di sopportabile. Non è stato così, anche se gli Architects ormai hanno rinunciato alle linee guida che li indirizzavano agli inizi, in favore di un paraculismo, ora più sottaciuto, ma pur sempre presente.
L’inizio è terremotante, e pare di ascoltare i primi Architects, tecnici, tosti e fortemente improntati ad un hardcore moderno. Dopo pochi giri, ahimè, cominciano i primi “sussulti” melodici. La cosa si ripete nella canzone seguente -These Colours Don’t Run- seppur in maniera più affievolita, e la traccia termina in un mid tempo corposo che farà la felicità di tutti gli adepti del mosh strappa colli. Con Daybreak le note si addolciscono di nuovo, e pare di ascoltare gli ultimi Linea 77 con traduzione inglese. Truth, Be Told è semplicemente un brodo di palle (passatemi il francesismo, uno più volgare non mi sovviene, per il momento). Even If You Win, You’re Still A Rat è l’esempio migliore di cosa potrebbero essere gli Architects, sempre, e non solo sporadicamente. Un gruppo che avrebbe tutte le carte in regola per realizzare una summa di mathcore atmosferico e diverso dal resto, se non fosse che poi si continua a scadere nel “linkinparkinaggio” da soundtrack, ovvero quella particolare caratteristica che colpisce determinati gruppi ‘core-qualcosa’ nella speranza di essere scelti per la colonna sonora dell’ennesimo teen-action movie targato Hollywood, Bollywood o Dupallywood, fate voi. Il disco riserva due gradevoli sorprese nel finale, Devil’s Island e Feather Of Lad, salvo poi terminare come aveva iniziato, in quella stessa zuppetta pseudo-romantica. Sì, proprio una zuppetta, quella stessa che molta fortuna ha riservato a gente vituperata dalla critica, ma pure a gruppi, tanto, troppo osannati (Coldplay?), quasi fossero l’avanguardia di un nuovo sound, quando invece provocano (almeno al sottoscritto) un’orchite grossa come Giampiero Galeazzi dopo un tour per il Gambero Rosso.
Daybreaker si segnala anche per una produzione riuscita, con suoni compatti e ruvidi al punto giusto. Difficilmente sarebbe potuto essere il contrario, dato che gli Architects hanno un buon seguito in madre patria e godono dell’appoggio di un’etichetta molto, molto forte.
Concludendo, questo è un lavoro che segna un lieve ritorno al passato, ma, nonostante sollevi la band dai bassifondi qualitativi dove si era confinata con The Here And Now, non riesce a mostrare in maniera costante il lato migliore del gruppo. Quello stesso aspetto genuino, arcigno e corroborato da ottima tecnica esecutiva, che agli esordi era onnipresente, e che ora, invece, appare come un flebile raggio la cui luce illumina di grigio.
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5
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Un album di "riappacificazione" che cerca di soddisfare anche chi prima aveva storto il naso. Il risultato è un lavoro non devastante ma pur sempre soddisfacente. Stavolta le parti melodiche vengono dosate in maniera meno fuoriluogo che invece sta molto bene nell'insieme. Poi insomma se siete rigidi non apprezzerete nulla dopo hollow crown fino a all our gods probabilmente |
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4
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Voto troppo alto per me e adesso spiegherò il perché, ma prima una premessa: questo album mi piace, e parecchio, ma OBIETTIVAMENTE parlando questo album presenta una quantità di difetti che non mi permettono di giudicarlo in modo positivo. Detto ciò, l'album lo trovo molto convenzionale e omologato, nel senso che è il classico album dal pizzico di personalità ma che punta un occhio anche ai fan e ai big money. Infatti molte parti le trovo superflue e inappropriate. Il songwriting è originale, i suoni altrettanto, come dice il recensore, "compatti e ruvidi al punto giusto", e la voce ha un buon timbro, il problema sussiste quando si decide di esprimere qualcosa tramite le clean vocals... e gli Architects hanno sbagliato formula, sempre citando il recensore "...in favore di un paraculismo sempre presente". Un peccato perché la band ha un sound caratteristico e molto studiato nei minimi dettagli, aldilà della supercasa discografica. Speriamo nel prossimo anche se ho dei seri dubbi visto il successo ottenuto grazie a questo disco. Voto 50 La recensione non mi è piaciuta a causa dello stile gergale che hai adottato, troppo volgare per i miei gusti, nonostante sia d'accordo con te, inoltre noto un certo pregiudizio verso la band nonostante il voto che hai attribuito, che tra l'altro non capisco visto le critiche che hai mosso contro il disco. In sostanza sono d'accordo con te ma abbiamo un criterio di valutazione differente. Senza offesa eh... a me hai dato semplicemente questa impressione. Saluti!  |
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3
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Nonostante abbia trovato la recensione molto piacevole e divertente, devo ritrovarmi a dissentire in parte dal suo contenuto. Personalmente trovo Daybreaker un album fantastico. Persino i testi, un mondo in cui di solito scelgo consapevolmente di non addentrarmi (si, per paura), devo dire mi hanno piuttosto soddisfatto. Ci sono dei buoni concetti espressi con una buona forma. Da parte mia ho trovato Daybreaker un notevole ritorno in alto per gli Architects, dopo un album nel 2011 catastroficamente cessoso |
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2
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A me sinceramente sta piacendo questo album: lo trovo un buon compromesso tra hollow crown e the here and now. Si ha un pò la sensazione che abbiano voluto "accontentare un pò tutti" però in ogni caso le canzoni belle ci sono (devil's island e alpha omega su tutte). Ah, Hollow Crown rimane in ogni caso il loro capolavoro: non riusciranno mai più a fare un cd così completo. |
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1
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Comunque molto meglio di altre uscite. Anzi, rispetto a questo ritorno al passato, preferivo quasi la commercialità spudorata di The Here And The Now. In ogni caso molto lontano dai fasti di Hollow Crown e Ruin. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Bitter End 2. Alpha Omega 3. These Colours Don’t Run 4. Daybreak 5. Truth, Be Told 6. Even If You Win, You’re Still A Rat 7. Outsider Heart 8. Behind The Throne 9. Devil’s Island 10. Father Of Lead 11. Unbeliever
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Line Up
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Sam Carter (Vocals) Tom Searle (Guitars) Tim Hillier-Brook (Guitars) Ali Dean (Bass) Dan Searle (Drums)
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