|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
Phil Campbell and the Bastard Sons - We`re the Bastards
|
16/11/2020
( 1736 letture )
|
Due anni fa, il disco di esordio di Phil Campbell and the Bastard Sons fu una graditissima “sorpresa”: pur non avendo certo alcunché da dimostrare, il chitarrista veterano dei Motörhead aveva avuto l'umiltà di rimettersi in gioco, ricominciando a suonare nei piccoli club con i propri figli, palesemente cresciuti nel mito suo e di quello di Lemmy; pur senza risultare un capolavoro, The Age of Absurdity era divertente, piacevole, ben composto e ben suonato, che poi è ciò che essenzialmente si chiede ad un disco di sano, vecchio hard & heavy come si deve.
Due anni dopo, nel bel mezzo della situazione mondiale che stiamo vivendo ed in pieno (primo) lockdown, i Bastardi (chissà cosa ne pensa la sig.ra Campbell...ma d'altro canto mater semper certa est...) non si sono persi d'animo ed hanno registrato il secondo album, intitolato We're the Bastards: un pugno in faccia fin dal titolo, una vera dichiarazione di intenti che mostra come i figli d'arte non abbiano alcuna intenzione di mollare. Va detto che, già per questo motivo, il disco sarebbe da lodare; in un periodo così particolare e drammatico per molte persone, è bello che ci sia qualcuno con la voglia di suonare, di staccare il cervello per un po'. Tuttavia, lungi dall'essere soltanto un disco composto tanto per fare qualcosa durante il confinamento, la seconda opera di Phil Campbell and the Bastard Sons costituisce, di nuovo, un prodotto valido e godibile: se da un lato la sorpresa del primo album non si ripete, dall'altro i nostri amici sembrano più sicuri di sé e convinti delle proprie capacità, in particolare il cantante Neil Starr, da alcuni considerato l'anello debole del gruppo. Tanto per ribadire che i Bastardi intendono fare subito sul serio, l'apertura è affidata alla title-track, pezzo hard & heavy che più classico non si può, animato da un bel riff, da linee vocali canticchiabili senza essere stucchevoli ed in generale da un ritmo incalzante. Tutti gli strumenti risultano ben udibili, come si evince anche dal singolo Son of a Gun, nel quale emerge in particolare il corposo basso di Tyla Campbell, autore di linee che avrebbero indubbiamente fatto felice il compianto Lemmy; la canzone in sé, naturalmente, assolve pienamente alla propria funzione e fa centro ancora una volta, risultando piacevole ed invogliando all'ascolto. Quanto detto prima sulla maggior confidenza al microfono del buon Neil (unico “estraneo” alla famiglia Campbell) è evidente in tracce come Promises Are Poison, Bite my Tongue o Waves, dove il nostro dimostra di non meritare le critiche rivoltegli in occasione del precedente disco; non sarà Rob Halford, ma fa il suo dovere egregiamente! Come sul primo album, i ragazzi cercano anche di variare la mistura: brani più southern come Born to Roam e Desert Song o più catchy come la già citata Waves risultano infatti molto graditi, anche se non raggiungono i livelli di Dark Days, altra traccia “aliena” presente su The Age of Absurdity; curiosamente, a quanto pare i ragazzi erano persino incerti se aggiungere una canzone di quel tipo sull'album, poi risultata una delle più amate del lotto, per la loro stessa sorpresa. Non mancano poi, ovviamente, le cavalcate alla Motörhead, come dimostra l'incalzante Animals; insomma, ce n'è davvero per tutti i gusti! Chi ama l'hard rock ha decisamente tanto da ascoltare, chi gradisce saltuarie divagazioni in altri generi idem, chi adora sentire un vecchio leone del rock come Phil Campbell sferzare le corde della sua chitarra ancora di più. Certo, ci sono anche canzoni che ci convincono meno di altre, come Lie to Me o Keep Your Jacket On, ma possiamo perdonare il tutto a questi bravi ragazzi di ottima famiglia.
Come detto ad inizio recensione, il disco non ci sorprende come The Age of Absurdity, non apporta miglioramenti significativi, ma neppure peggiora rispetto al precedente e ci consegna anzi un gruppo più coeso e fiducioso dei propri mezzi. Tenendo inoltre conto delle condizioni in cui We're the Bastards è stato registrato, è già molto avere fra le mani un buon disco di sano hard rock che ci faccia dimenticare, per un po', il periodo che stiamo vivendo. Con la speranza, ovviamente, di poter tornare presto a divertirci sotto ad un palco e, magari, a brindare come nella bella copertina di questo simpatico album.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
3
|
Super gruppo ma le mie aspettative erano piu' alte su questo album... grande produzione, tutto ben "impachettato" ma canzoni mediocri... |
|
|
|
|
|
|
2
|
Invece a me è proprio la voce troppo pulita a darmmi fastidio... Troppo emo, punk pop, definitela come più vi piace... Vabbè de gustibus... comunque il primo era meglio, più coerente... questo varia molto ma mi risulta discontinuo... |
|
|
|
|
|
|
1
|
Adoro questo progetto di Phil!
I bastardi ancora una volta non si smentiscono, Neil Starr ha una voce mostruosa che ben si sposa con la vena grezza che emana l'opera a tutto tondo.
Born to roam la mia preferita, un vero e proprio inno alla libertà e alla sregolatezza della vita da strada, mi ha riportato inevitabilmente alla mente lo stile dei vita motociclistico alla Sons of Anarchy.
Il disco dal vivo, appena ce ne sarà occasione, sarà una mitragliata di sano hard rock per tutti i palati, generoso, naturale, diretto.
Fantastico!
|
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. We’re The Bastards 2. Son of a Gun 3. Promises Are Poison 4. Born to Roam 5. Animals 6. Bite my Tongue 7. Desert Song 8. Keep Your Jacket On 9. Lie to Me 10. Riding Straight to Hell 11. Hate Machine 12. Destroyed 13. Waves
|
|
Line Up
|
Neil Starr (Voce) Phil Campbell (Chitarra) Todd Campbell (Chitarra, Armonica) Tyla Campbell (Basso) Dane Campbell (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|