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Conviction - Conviction
13/03/2021
( 2130 letture )
La grande libertà derivante da un progetto parallelo che consenta di sfogare la propria creatività, non deve avere prezzo. Nessuna pressione, nessuna aspettativa, nessun vincolo. Per un musicista è l‘occasione di rivedere vecchi amici e suonare qualcosa di diverso, senza doversi preoccupare di deludere qualcuno o ferire qualcun altro. Sicuramente questo vale per musicisti affermati e iper-impegnati, ma può avere un senso a qualunque livello, specie se l’ispirazione preme per avere libero sfogo. Il risvolto negativo è che naturalmente il progetto deve venire dopo gli impegni principali e questo di solito significa che ha vita breve o molto travagliata e che, a distanza di anni, quella stessa freschezza e ispirazione che avevano lì per lì giustificato la sua esistenza, siano poi venute meno. Accade di frequente, inoltre, che gli impegni reciproci impediscano una continuità e, spesso, se le cose diventano troppo serie, alla fine uno o più membri sono costretti a fare una scelta.
Più o meno quanto detto è quanto è successo ai Conviction, gruppo doom francese formato da musicisti provenienti da altre band, quali Temple of Baal, Mourning Dawn e Ataraxie, per citare i più noti e che pur essendosi formati già nel 2013, per un motivo o per l’altro non sono riusciti a rinchiudersi nel Vault 92 Studio del chitarrista Frédéric Patte-Brasseur fino a oggi. Il risultato di questo lavoro è comunque di notevole interesse e così l’italiana Argonauta Records non ha mancato di accaparrarsi Conviction per il debutto ufficiale.

Gli ingredienti per la creazione di un disco quasi perfetto ci sono tutti: musicisti esperti e affiatati, qualche giorno a disposizione e una idea chiara di come avrebbe dovuto essere l’identità della band. Il resto è frutto di lavoro e dedizione e della devozione a Euterpe, Musa della Musica. In effetti, Conviction è il classico disco nato per la felicità degli ascoltatori del doom contenendo tutti gli elementi classici del genere, senza alcuna pretesa di inventare alcunché, ma al contempo con tanta qualità che sprizza da ogni nota da risultare praticamente irresistibile. La ricetta è semplice, ma efficace: un doom dolente, straziato, lento, che si avvicina spesso al funeral senza mai toccarlo pienamente e che in compenso si apre inaspettatamente a varie e disparate influenze, che garantiscono varietà alla ricetta. In effetti, la professionalità dei musicisti coinvolti è palese fin da subito, con canzoni mediamente piuttosto lunghe, che però si arricchiscono via via di elementi, senza ricorrere in realtà a particolari arrangiamenti stratificati, ma appunto a coloriture, offerte in particolare dalle due chitarre e dalle voci. Una qualità di scrittura che riesce quasi sempre a far frutto della lentezza opprimente e all’atmosfera cupa e dolorosa che si respira quasi ovunque, piuttosto che venirne schiacciata. Certo, le ispirazioni ci sono, a partire dai Cathedral, per passare al gothic doom inglese (in particolare i Paradise Lost) e approdare ai grandi classici del genere, con ripeute incursioni in ambito epic o, ancora, verso lidi tipici dei Saint Vitus e dei Reverend Bizarre. Come detto, i brani sotto tutti piuttosto lunghi e a traghettarci in questa brumosa quanto soffocante traversata, sono le quasi sempre perfette e puntuali melodie delle chitarre, creatrici tanto della malinconia quanto della asfissia dei brani e capaci poi di prodursi in assolo di grande pregio tecnico e gusto e la voce in pulito di Olivier Verron, sorta di perfetto punto di incontro tra Wino e Paul Chain, di sovente sorretta anche dai cori dei compagni, che amano risolvere i refrain appunto su base corale, donando una sacralità e una maestosità notevole a questi momenti. In effetti, si potrebbe dire che sono proprio i refrain a costituire i punti chiave e di svolta dei brani: non tanto per una particolare vena ruffiana o commerciale degli stessi, ma proprio perché la loro atmosfera e le più che buone melodie arrivano a costituire un bel contrasto e spesso a trarre “in salvo” l’ascoltatore tormentato dalla straziante parte strumentale.
Tolto il brevissimo prologo, i sette brani che costituiscono il disco rappresentano ciascuno un viaggio a se stante, data appunto la varietà compositiva, che pure ricorre quasi sempre agli stessi assunti, ma gioca con le varie sfaccettature del genere, offrendo quindi spunti diversi. Spiccano naturalmente per alterità una traccia come Curse of the Witch, unica canzone dal ritmo quasi interamente veloce e incalzante, un anthem che ricorda le prime tre canzoni di Crush the Insects dei Reverend Bizarre e Castles Made of Shame che a una raggelante quanto epica e folk intro, contrappone poi uno svolgimento arroccato su un riff monumentale, ma piuttosto dinamico e appunto epico e una bella melodia vocale. Spicca poi inevitabilmente la conclusiva My Sanctuary che, con i suoi oltre undici minuti di durata, va senz’altro a rappresentare la summa dell’album, sia per atmosfera che per svolgimento, partendo da un riff degno di Forest of Equilibrium, per poi crescere tanto in pathos quanto in dinamica, con uno spettacolare break corale, che ci conduce poi verso il terrorizzante climax finale. Non sarebbe però giusto sottacere il valore delle altre tracce, assolutamente degne, con Voices of the Dead a gestire ottimamente il ruolo di opener, Outworn, dotata di un refrain impossibile da dimenticare e Wrong Life malinconica e sofferta. Probabilmente, l’unica canzone leggermente "pesante" rispetto alle altre è l’altrimenti ottima Through the Window, quasi una gemella di Outworn, per l’unico motivo che risulta alla fine fin troppo ripetuta e lunga: un aspetto che per qualcuno, amante delle più efferate manifestazioni del doom, potrebbe in realtà posizionarla tra le migliori del disco.

Il tempo atteso per la pubblicazione di questo primo album sembra assolutamente ben speso e, in conclusione, Conviction è un disco notevole, seppure appunto non presenti alcuna sostanziale innovazione e nemmeno si fregi di particolari velleità tecniche o melodiche. Si parla di doom nella sua accezione migliore, con un carico di tristezza, malinconia e disperazione quasi soffocante, che non ammette però resa e vira quindi verso momenti quasi epici ed eroici. Peccato solo per qualche eccesso qua e là, evitabile nella misura in cui un album di questa durata, pur nella sua varietà, può e deve fare a meno di ridondanze non necessarie e lungaggini finalizzate unicamente a ribadire quanto si possa infierire, volendo farlo. Visto che i Conviction dimostrano di possedere grandi qualità espressive, questo stesso effetto lo possono ottenere con la musica e non semplicemente mostrando i muscoli.
Difficile dire quanto la dimensione di progetto inciderà ulteriormente sulla vita della band francese, limitandone le potenzialità, certo è che questo debutto sembra promettere grandi cose. Non mancano personalità e qualità di scrittura, anche se i riferimenti sono abbastanza evidenti, competenza tecnica e amore per il genere. Speriamo che il riscontro sia tale da convincere i quattro a non mollare la loro creatura. Per adesso, album consigliatissimo agli appassionati e a tutti coloro che vogliono approcciare il genere, non passando necessariamente dai nomi più conosciuti. Ottima prima prova.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
81.33 su 3 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2021
Argonauta Records
Doom
Tracklist
1. Prologue: Affliction
2. Voices of the Dead
3. Through the Window
4. Curse of the Witch
5. Outworn
6. Wrong Life
7. Castles Made of Shame
8. My Sanctuary
Line Up
Olivier Verron (Voce, Chitarra)
Frédéric Patte-Brasseur (Chitarra, Cori)
Vincent Buisson (Basso Cori)
Rachid "Teepee" Trabelsi (Batteria)
 
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