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Spaceslug - Memorial
03/02/2022
( 1315 letture )
Formatisi in Polonia nel 2015, gli Spaceslug sono una di quelle rare band che non sembra conoscere il verbo “rallentare”, rispetto alla copiosità del materiale che puntualmente rilascia. Siamo infatti al quarto album, più tre EP, uno split album e un singolo, pubblicati in serie, con una continua volontà di aggiungere qualcosa e andare avanti, sempre e comunque. D’altra parte, a una band che fa della propria esistenza una continua missione di esplorazione del cosmo e delle sue grandezze, come dei suoi abissi e paure ancestrali, in effetti non può essere la fantasia a fare difetto. Così, se nelle ultime uscite ci eravamo addentrati nel regno di Orione, per poi tornare a una dimensione più intimista con l’altro EP, Leftlovers, con il quarto album ufficiale i Nostri sembrano aver alzato lo sguardo sulla realtà e quello che si para davanti ai loro occhi non appare confortante. Memorial, come ci dichiara fin da subito il titolo, non è un disco che sprizza gioia, ma è l’ennesimo salto in avanti per il trio.

Sarà la pandemia, sarà qualcos’altro che ha colpito la fantasia e la sensibilità dei nostri esploratori spaziali, ma è evidente che mai come in questa occasione il gruppo scriva un album che supera e letteralmente si fa beffe dei confini di genere. Memorial è un disco che vive di psichedelia e atmosfere stoner, fortemente centrate sul riffing e su trip astrali amplificati dai sintetizzatori, ma in questo caso, come raramente accade ormai, è la maniera a fare da cornice allo stato emotivo che si vuole evocare. Ovverosia, gli Spaceslug in questa occasione non hanno semplicemente rilasciato “un disco stoner/doom”, ma hanno deciso di utilizzare il linguaggio dello stoner/doom -e di altri generi affini- per comporre un disco struggente, triste, melanconico. Un disco nel quale la cupezza del sentimento affiora ovunque e diviene materia sensibile e viva, un messaggio. Ecco quindi che negli otto episodi che compongono la scaletta non troveremo semplicemente dei brani di -ottimo- livello, ma in generale un vero e proprio viaggio, un percorso condotto attraverso sonorità spaziali, ma che narra sentimenti prettamente umani e percepibili, dall’inizio alla fine. Al consueto bagaglio, si aggiungono quindi degli ulteriori elementi, che sono quelli del post, rock e metal, utilizzati per rendere delle ulteriori sfaccettature emotive e per innervare i brani di numerosi passaggi strumentali che non sono solo “derive psichedeliche”, ma sensati e complessi affreschi sonori, condotti con grande perizia dinamica. Anche la caratteristica voce filtrata e “aliena” di Bartosz Janik, da sempre protagonista delle pubblicazioni dei polacchi, trova in Memorial una superiore attenzione alla melodia, con armonie vocali e i passaggi in scream che negli ultimi dischi avevano sempre più preso piede ad allargare il parco di soluzioni a disposizione. Stiamo, in sostanza, parlando di canzoni studiate e pensate non solo per produrre un flusso colorato di viaggi spaziali, ma per offrire delle emozioni, utilizzando come mezzo la forma espressiva dello stoner/doom psichedelico, con utilizzo di passaggi di post rock e post metal. E’ un disco ricco, Memorial e seppure di apparente facile fruizione, più di quanto fossero i dischi precedenti, riesce a essere perfino più pesante e potente. Dopo l’intro rumorista Into the Soil, Follow This Land offre subito uno degli episodi migliori dell’album, accogliendoci alla grande e permettendo di chiarire i contenuti che andremo via via a scoprire. Il riff e la melodia di base sono strepitosi, così come il break solista, felice connubio di potenza e malinconia ed è subito percepibile che i confini dello stoner sono ben alle nostre spalle, seppure l’atmosfera spacey non manchi affatto. Un maelstrom da cui è impossibile uscire. Forse anche più fortemente emotiva la seguente Spring of the Abyss, uno degli episodi chiave dell’album con i suoi nove minuti, aperti da una lunga sequenza strumentale nella quale oltre agli arpeggi fa bella mostra di sé il basso e che ci conduce verso lidi post rock; solo dopo quasi sei minuti interviene un crescendo con distorsione e voce in scream, che però resta un episodio, tra nuovi passaggi in arpeggio e solismi, per un brano struggente e triste. Decisamente più aggressiva la seguente When the Hiatus Fall, nella quale infatti torna la voce in scream a dialogare dialetticamente con quella in pulito, mentre passaggi post metal si amalgamano al resto, per un turbine sonoro inestricabile, che lascia poi campo nuovamente a passaggi malinconici e arpeggiati, che riconducono poi al crescendo iniziale. Uno schema che ritroveremo anche in Of Trees and Fire, il brano più apertamente post metal, condotto quasi esclusivamente dallo screaming e nel quale il contrasto tra le violente partiture iniziali e conclusive e il diminuendo dinamico della lunga parte centrale, interamente strumentale, accentuano la sensazione di desolazione, rabbia e alienazione. Decisamente più malinconica invece la titletrack, probabilmente il brano più mesto del disco, colorato di nebbia e dolore, al quale manca infatti anche uno sfogo dinamico, pur con una piccola apertura sul finale, che resta però sospesa, senza risolvere, con poche note di un violoncello sintetizzato che donano ulteriore colore grigio. Lost Undone torna a essere un vertice, con una melodia che ammalia, strega e cattura e un riffing circolare torrenziale, inarrestabile. Grandissimo brano. Chiude il disco At the Edge of Melting Point, definibile quasi una ballata rumoristica e spaziale, piena di effetti e sintetizzatori, nella quale la voce per contrasto è invece lasciata alla timbrica naturale e volutamente calante, ad accentuare l’atmosfera di oscuro commiato.

Come sia possibile coniugare prolificità e qualità resta un mistero sul quale molti gruppi non sapranno mai fare luce. Per gli Spaceslug evidentemente il problema non si pone proprio, dato che alle uscite quasi continue riescono ad abbinare una crescita evidente, aggiungendo nuove sfumature sonore ed emotive, come fosse una cosa normale e facilissima. Memorial è insomma probabilmente il loro miglior album, quello più ambizioso e ricercato. Un disco che vive di emozioni forti e di contrasti, di capacità strumentali di alto livello e di sensibilità compositiva che non si incontra spesso, tra chi appunto si preoccupa più di metter giù riff e poi di trovargli semmai, se proprio indispensabile, un senso e un significato. Qua tutto possiede una sua logica e una sua necessità, seppure i brani siano piuttosto lunghi e dilatati. Disco molto bello, non facile, ma di effetto. Merita.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2021
BSFD Records
Stoner/Doom
Tracklist
1. Into The Soil
2. Follow This Land
3. Spring of the Abyss
4. In the Hiatus Fall
5. Memorial
6. Lost Undone
7. Of Trees and Fire
8. At the Edge of Melting Point
Line Up
Bartosz Janik (Chitarra, Sintetizzatore, Voce)
Jan Rutka (Basso, Voce)
Kamil Ziółkowski (Batteria, Voce)
 
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