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Aeternam - Heir of the Rising Sun
08/09/2022
( 1952 letture )
C’è di tutto e di più in questo disco degli Aeternam: metal, sinfonia, percussioni, strumenti folk, viola, violoncello, e sicuramente ancora qualcos’altro qui e là.
Il tutto amalgamato, per una volta tanto, con gusto e competenza, senza derive pacchiane o ridicole: i nostri Canadesi ci sanno decisamente fare.

Quasi non si nota che stiamo parlando di un autoprodotto, la registrazione è pulita e potente, la band ha un tasso tecnico notevole, le chitarre suonano dannatamente bene, la batteria martella alla grande, growl e voce pulita si stagliano perfettamente sullo sfondo creato dagli altri musicisti. Gli arrangiamenti ed i vari strumenti si intrecciano in un tripudio musicale tanto ardito quanto inusuale.

Il vero limite, se così possiamo chiamarlo, di Heir of the Rising Sun è anche la sua caratteristica, quella di avere un approccio poliedrico alla musica; viene presentato come un disco di death metal melodico, ma rinchiuderlo in un’etichetta di questo tipo, significherebbe bocciarlo irrimediabilmente: poco death (considerando la lunghezza dell’album e la tipologia di composizione), tanto cantato pulito e inserti folk, tantissime parti sinfoniche, ritornelli e momenti quasi “radiofonici”. Insomma, viene difficile se non impossibile accostare gli Aeternam a band quali Dark Tranquillity, Arsis, Kalmah, e così via.
È piu facile ritrovare alcuni spunti dei Dimmu Borgir più sinfonici (tornano alla memoria Dimmu Borgir ed In Sorte Diaboli), ma anche progressioni alla Symphony X o addirittura momenti più vicini a certo power metal (come i Blind Guardian o gli ultimi Sonata Arctica). Venendo incontro alla classificazione adotta dal gruppo, si potrebbe concludere che l’influenza metal maggiore è quella death. Ma non per questo possiamo definire Heir of the Rising Sun un disco propriamente tale. In una vecchia intervista in realtà la band stessa ha dichiarato che “la parte sinfonica-folk è l’effettivo collante tra le canzoni”.

Ma se l’album è così ben fatto, per quale motivo specificare tanto pedissequamente questa appartenenza ad una, relativamente poco importante, etichetta?
Semplice, c’è così tanto di buono in questo disco, che presentarlo sotto la luce sbagliata ne negherebbe in parte la qualità stessa. Qui bisogna lasciare i preconcetti lontani, e dedicarsi all’ascolto della musica, in parte metal ed in parte no, ma sempre musica.

Si inizia quindi con una intro parlata, fino al crescendo della parte conclusiva; incredibilmente però Osman’s Dream non apre direttamente Beneath the Nightfall, che comincia con un altro breve intro parlato, vanificando in parte la carica che solitamente un’introduzione progressiva ed atmosferica ha il compito di portare. Poco male, poiché il primo episodio è un’esplosione di riff, growl, archi, cori, ora trascinanti, ora esaltanti, ora potentissimi. La parte centrale guida ad un intermezzo sinfonico, che ci accompagna al cantato di Rébèka Girard, sostenuta dalla strumentazione folk, per poi ripartire con la veemenza dei tre canadesi, in un miscuglio al contempo musicale, curioso, metallico e melodioso.
Non c’è tempo, gli Aeternam accelerano con le chitarre che si innalzano su strutture ariose, le voci pulite si stagliano in testa, potenti ed accattivanti, alternandosi con il cantato in growl. La parte metal stavolta è più padrona della scena rispetto alla traccia precedente, a metà canzone sono le sei corde che proseguono in assoli maestosi, lasciando poi il passo agli strumenti classici ed alla voce di Loudiy, in forma smagliante. In un tripudio di sonorità, siamo sballottati continuamente tra richiami orientali e classici, con l’incedere di batteria, basso e chitarra che ci ricordano la discendenza metal della band. Irene si chiude quindi come aveva iniziato, melodica, potente ed evocativa.

Nova Roma, sempre introdotta da una voce esterna, ci riporta in un oriente lontano, che poi però si mimetizza sul fondo, lasciando protagonista il solito Loudiy, coadiuvato al meglio dal resto degli Aeternam, in uno degli episodi decisamente più orientati alla vena metal; anche in questo caso il crescendo ha il suo vertice nel cantato in pulito e negli strumenti sinfonici, che poi fanno ribollire la furia metal fino a chiudere la traccia.

Passata la declamazione di Kasifis’s Verses, tra flauti, oud e l’immaginario lontano che riesce a richiamare, si passa a Where the River Bends, epica e decisa, il vocione growl è sorretto dalle solite orchestrazioni, quando improvvisamente Guertin decide che è il momento di scendere in campo, portando il ritmo a velocità decisamente più impegnative.
I cori sono solo un preludio alla sfuriata delle sei corde, e si alternano con il cantato e la batteria, fino a quando la parte sinfonica, possente e trascinante, richiama il suo spazio. Ancora una prova da protagonista per il cantato di Loudiy, che conduce a compimento un altro tassello prezioso di questo Heir of the Rising Sun.

The Treacherous Hunt non cambia di una virgola quanto detto finora, metal e classica si fondono in una perfetta sinergia di intenti, per sorprendere ed incuriosire l’ascoltatore, oltre che intrattenerlo. Lo schema ormai collaudato di alternanze funziona meravigliosamente anche questa volta.
Akhatist Hymn, l’inno ad Acatisto, composizione della tradizione Ortodossa, è l’intro perfetto per la canzone conclusiva, suggestiva già dal titolo: The Fall of Constantinople è praticamente una suite che quasi racchiude in sé l’intero Heir of the Rising Sun: prima l’energia del metal, poi la musicalità delle orchestrazioni, la magniloquenza dei cori, tutto si unisce, si interseca, sempre in collaborazione, senza mai rilevare una evidente superiorità di una struttura sull’altra, tutto rimane in equilibrio sullo sfondo, lasciando protagonista la musica designata, ma rimanendo presente sotto traccia attendendo il proprio momento di emersione. L’album viene chiuso così dolcemente dal cantato e dall’interpretazione della bravissima Rébèka Girard.

È un vero peccato non aver potuto accedere ai testi delle varie tracce, sicuramente avrebbero aiutato ad immergersi ancora di più nelle viscere di questo Heir of the Rising Sun. Poco male però, poiché il disco emana dedizione, tecnica e talento già dal primo contatto, crescendo ascolto dopo ascolto. Una reale dimostrazione che il metal può ergersi oltre le solite forme stereotipate che affollano playlist, concerti e negozi da molti anni a questa parte, pur senza perdere la sua carica controcorrente. In uno scenario del genere, gli Aeternam si differenziano in maniera eloquente, e faranno la gioia di chi, tra un headbanging e l’altro, considera l’evoluzione e l’incontro di caratteristiche apparentemente lontane ed inconciliabili, componenti fondamentali per alimentare la propria metallica passione.



VOTO RECENSORE
86
VOTO LETTORI
93.2 su 5 voti [ VOTA]
Tatore
Giovedì 29 Settembre 2022, 12.11.57
8
Stavo aspettando questo album da un po' di settimane, dopo aver ascoltato il primo singolo. Meno male che ho notato l'intervista nella home! Al primo ascolto già mi ha preso, e se crescerà come 'Al Qassam' (che straconsiglio a chi ha apprezzato questo nuovo lavoro), ascolto dopo ascolto, allora sarà presente di sicuro nella mia top del 2022
Enrico tino84 Latino
Martedì 20 Settembre 2022, 17.48.54
7
grazie mille Mi raccomando, leggete anche l’intervista al gruppo, è molto interessante
LUCIO 77
Martedì 20 Settembre 2022, 17.22.18
6
Questa Recensione poteva finire dopo la Quarta riga, visto che secondo Me, l'Autore ha sintetizzato come meglio non si poteva, cosa un Ascoltatore troverebbe avvicinandosi alla Proposta degli Aeternam.. Musica di qualità.. Album dannatamente affascinante con echi Oriental-mediterranei che lo rendono sognante.. Chapeau!
McCallon
Sabato 17 Settembre 2022, 11.24.00
5
Per chi fosse interessato, in home è uscita l'intervista alla band incentrata su questa pubblicazione
El Faffo
Sabato 10 Settembre 2022, 21.22.03
4
Anche su Spotify ci sono i testi
Lacrimosa
Sabato 10 Settembre 2022, 11.40.33
3
I testi sono presenti sulla loro pagina di Metal Archives! P.S. Davvero un bel consiglio, sicuramente lo ascolterò! 😀
Enrico tino84 Latino
Sabato 10 Settembre 2022, 8.47.40
2
@dariomet: insomma è capitato proprio nel momento giusto È un album davvero bello, che cresce con gli ascolti; una piacevole scoperta
dariomet
Giovedì 8 Settembre 2022, 19.31.24
1
Complimenti alla redazione per la recensione di questo disco. L ho scoperto giorni fa sul tubo e mi sta facendo compagnia in questi giorni di studio tra l altro inerente all archeologia, quindi è davvero perfetto
INFORMAZIONI
2022
Autoprodotto
Symphonic Death
Tracklist
1. Osman’ s Dream
2. Beneath the Nightfall
3. Irene
4. Nova Roma
5. Kasifis’ s Verses
6. Where the River Bends
7. The Treacherous Hunt
8. Akhatist Hymn
9. The Fall of Costantinople
Line Up
Achraf Loudiy - Voce, Chitarra
Mathieu Roy-Lortie - Chitarra
Antoine Guertin - Batteria, Percussioni, Chitarra Acustica, Backing Vocals

Christian Pacaud - Basso
Edu Girò - Baglama, Bouzouki, Oud
Jeff Ball - Violino, Viola, Violoncello


Musicisti Ospiti:
Rébèka Girard - Voce (traccia 1-4-9)
Alan Owen - Narratore (traccia 1 - 4)
Farya Faraji - Voce (traccia 9)
Gabriel Cyr - Flauto (traccia 5)
Semir Özerkan - Narratore (traccia 5)
Yanick Côté - Voce (traccia 7)

Rébèka Girard, Julie Déchène, Jessika Munger, Antoine Baril, Hubert Gonthier-Blouin, Achraf Loudiy, Mathieu Roy-Lortie, Antoine Guertin - Cori
 
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