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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Drive Like Jehu - Drive Like Jehu
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15/07/2023
( 773 letture )
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Un giorno, il profeta Eliseo chiamò uno dei profeti e gli disse: «Preparati a partire. Prendi con te questa boccetta d’olio e va’ a Ramot di Gàlaad. Quando sarai arrivato, troverai Ieu, figlio di Giòsafat e nipote di Nimsì; prendilo in disparte dai suoi compagni e portalo in una camera isolata. Versagli sul capo l’olio della boccetta e pronunzia queste parole: “Il Signore dichiara: Ti consacro re d’Israele”. Poi, — concluse Eliseo, — apri la porta e allontanati senza perdere un istante».
È da questo stralcio estratto dalla Bibbia ebraica –nello specifico dal Secondo libro dei Re, capitolo 9– che ha avvio la storia, breve ma intensa, dei Drive Like Jehu, quartetto di San Diego formatosi nel 1990 dallo scioglimento di due band post-hardcore, i Pitchfork e i Night Soil Man. Fulcro e mente principale del gruppo è il chitarrista John Reis, che dopo essere stato folgorato dallo stile chitarristico di Pen Rollings degli Honor Role (una band punk di Richmond, Virginia attorno la quale nacque un piccolo culto) decide di dedicarsi anima e corpo al rapporto più intimo e viscerale con il proprio strumento per dar vita ad un sound che si propone di superare le regole del post-hardcore cambiandone le prospettive in maniera indelebile. Reis trova il perfetto braccio destro nell’amico chitarrista Rick Froberg, il quale viene messo immediatamente dietro al microfono; la prima formazione della band viene completata dal bassista Mike Kennedy e dal batterista Chris Bratton; quest’ultimo però, dopo un periodo piuttosto fruttuoso dove la band compone una manciata di brani, viene allontanato per mancanza di affinità e sostituito da Mark Trombino. Il gruppo ora è composto esattamente da due membri dei Pitchfork (Reis e Froberg) e da due membri dei Night Soil Man (Kennedy e Trombino) e dal momento che entrambe la band si sono frequentate per anni suonando insieme svariate volte il meccanismo funziona subito a meraviglia. La scena di San Diego durante la fine degli anni ’80 non è sicuramente la più nota per ciò che riguarda lo sviluppo della musica alternative: l’attenzione è tutta per le band di Washington DC, con ovviamente un occhio di riguardo per i pionieri Fugazi e la “loro” etichetta Dischord Records, ma anche realtà più longeve come quelle di Chicago –Touch and Go Records– e dell’area californiana –SST Records– sfornano artisti ed album che diventano presto punti di riferimento assoluti. Forse è proprio la poca considerazione di cui godono i musicisti di San Diego a permettere ad una band fondamentale come gli Heroin di formarsi nel 1989 ed è proprio il gruppo capitanato dal cantante Matt Anderson a creare un precedente importante, suonando una sorta di post-hardcore molto sofferto e violento, che prenderà poi il nome di screamo. Da qui e dall’etichetta che adotterà gli Heroin –Gravity Records– si iniziano ad accendere i riflettori anche sul San Diego-sound e i Drive Like Jehu ne saranno i più illuminati.
Prendendo spunto da tutto il bagaglio esperienziale accumulato negli anni di gavetta punk John Reis compone riff di chitarra a profusione lasciando poi che i brani vengono dilatati insieme agli altri tre membri della band senza porsi alcuna regola; nascono quindi canzoni che mutano continuamente forma riuscendo ad inglobare tutta una serie di stili derivanti dall’hardcore che, sebbene singolarmente siano già consolidati, mescolati insieme danno vita ad un sound al contempo abrasivo ed emozionale, violentissimo e fragile. C’è chi continuerà a classificarlo come semplice post-hardcore, chi invece utilizzerà termini come screamo ed emo-core, chi invece parlerà di math-rock e chi di noise rock a tutto tondo. Sono tutte definizioni corrette, ma la verità è che Drive Like Jehu, il primo album della band pubblicato nel 1991, racchiude in quarantacinque minuti secchi quasi dieci anni di musica alternativa americana, che viene riassunta e trasformata in modo tale da poter essere traghettata dagli anni ’80 ai nascenti anni ’90. Il disco è un vero manifesto che si pone a metà tra due decadi così vicine eppure così diverse, facendo da ponte tra il vecchio hardcore punk e il futuro alternative rock. Gli ingredienti contenuti nella miscela esplosiva del gruppo sono pochi e tutti riassumibili nella fantasia chitarristica di John Reis e nell’iconico timbro vocale di Rick Froberg: se da una parte la chitarra alterna sezioni ritmiche contorte e dissonanze assortite, la voce sa essere aggressiva con uno screaming ferocissimo, ma si ammorbidisce anche in più momenti lambendo sentori addirittura post-punk. Ascoltando Drive Like Jehu si può realmente fare l’elenco di tutte le maggiori band post-hardcore del periodo e si riusciranno a sentire tutte: nei frangenti maggiormente tendenti al noise rock è palpabile l’essenza dei Jesus Lizard, mentre quando ci si sposta dal 4/4 su metriche più complesse emerge lo spirito di Steve Albini; allo stesso modo, quando i quattro si lasciano andare alla semplicità per ricercare melodie vocali più incisive si percepisce come la lezione degli Hüsker Dü sia stata fondamentale, così come quella più rumorosa dei Sonic Youth. Un compendio di influenze che il quartetto rimescola a proprio piacimento rendendole ancora più metalliche e disperate, letteralmente “emo”. La scaletta è composta da nove brani dal minutaggio eterogeneo e non c’è un singolo passaggio che risulti superfluo, per via della sequenza scelta che predilige un climax emotivo perennemente in ascesa. Ad ogni modo il disco raggiunge picchi qualitativi altissimi negli episodi più lunghi e dilatati, a partire dai quasi dieci minuti di O Pencil Sharp: introduzione in sordina con rumori e feedback soffusi che dopo centoventi secondi aumentano d’intensità fino a concedere spazio ad un riff sghembo à la Minutemen arricchito presto da una sezione ritmica infuocata; entra poi la voce di Froberg, slabbrata e dolorante, e il brano prosegue alternando furiose accelerazioni hardcore a momenti più cadenzati dove si evidenziano maggiormente le caratteristiche noise della musica del quartetto, che proprio in un profluvio di rumori chiude questo brano eccezionale. Come un gioco di contrappassi in scaletta arriva subito dopo Atom Jack, una scheggia punk che profuma di pop per via delle belle melodie vocali e di un ritornello a base di semplici power chords. Si potrebbe parlare di grunge, d’altronde ricordiamoci che siamo nel 1991, ovvero l’annata d’oro per i Big Muff e le camicie di flanella. Rimaniamo nella sezione centrale della scaletta per citare il capolavoro dell’album: If It Kills You parte con gli scampanellii della chitarra di Reis mentre il basso di Kennedy ribolle con un ostinato minaccioso. E in realtà tutto il brano è costruito su brevi ostinati ritmici che si alternano senza soluzione di continuità venendo interrotti solo da timide melodie di chitarra. La canzone cresce con lo scorrere del minutaggio e in prossimità del ritornello la voce di Froberg pare rompersi per la violenza esasperata delle proprie urla. Eppure il frontman riesce a cambiare pelle ancora una volta sussurrando la strofa successiva prima di esplodere un’altra volta. Il break centrale è da urlo, con solo basso e batteria a dettare legge mentre le chitarre rumoreggiano ipnotiche prima di lasciarsi andare all’ennesima, frenetica e convulsa, serie di riff distorti che implodono in una bolla di feedback che porta all’ultimo decisivo ritornello.
Learn to relax, if it kills you You had your chance, hold on 'Cause it's gone.
La voce di Froberg viene messa ulteriormente alla prova nei sei minuti di Turn It Off, dove ogni velleità melodica viene annichilita dalle urla gigantesche del cantante, mentre il resto della band marcia compatta lungo binari più classicamente noise-core. La musica viene distrutta, sgretolata e poi ricomposta e se si confronta l’iniziale Caress –forse l’esempio migliore delle capacità di songwriting del quartetto– con i suoi ritmi circolari sempre in cambiamento, con la conclusiva Future Home of Stucco Monstrosity, molto più dimessa e sgangherata soprattutto per quanto riguarda l’approccio vocale, si può benissimo capire quale sia l’evoluzione del gruppo e della propria musica lungo i solchi dell’album. Un’identità forte e determinata, capace di sfruttare le potenzialità del rumore e della melodia e cosciente dello sviluppo delle diverse scene underground coeve negli Stati Uniti, questa è la forza dei Drive Like Jehu, che esauriranno la propria carriera artistica dopo pochissimi anni, ma non prima di regalare al rock alternativo un altro album di assoluto spessore come Yank Crime (1994). Eppure, sebbene proprio quel disco venga riconosciuto come il capolavoro della band, la visceralità che si può ritrovare nell’esordio è qualcosa che il quartetto non ritroverà mai più, preferendo raffinare la propria proposta dando ancora una volta una lezione chiara e precisa su cosa vuol dire suonare alternativi in America negli anni ’90. Per questo motivo Drive Like Jehu è un album che merita di essere conosciuto, posseduto e amato da chiunque apprezzi il rock alternativo e radicale degli Stati Uniti tra gli anni ’80 e ’90 e per questo motivo è sempre utile rispolverarlo e riascoltarlo a volumi elevati per assaporarne tutta la potenza. Una band che forse ha raccolto meno di ciò che ha seminato, ma che può entrare di diritto nella sacra triade del post-rock/hardcore, preceduta dai padri fondatori Slint e dai figli legittimi Fugazi. Il resto è storia.
Questa recensione è dedicata alla memoria di Rick Froberg (19/1/1968 – 30/6/2023)
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Un disco che ai tempi ascoltai poco, ma mi piacque parecchio. Purtroppo non l\'ho mai recuperato. |
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INFORMAZIONI |
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Cargo Music Inc. / Headhunter Records
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Tracklist
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1. Caress 2. Spikes to You 3. Step on Chameleon 4. O Pencil Sharp 5. Atom Jack 6. If It Kills You 7. Good Luck in Jail 8. Turn It Off 9. Future Home of Stucco Monstrosity
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Line Up
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Rick Froberg (Voce, Chitarra) John Reis (Voce, Chitarra) Mike Kennedy (Basso) Mark Trombino (Batteria)
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