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27/04/25
THE LUMINEERS
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Solitude Aeturnus - Adagio
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22/07/2023
( 866 letture )
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La continuità dei Solitude Aeturnus nello sfornare album di altissimo livello durante tutti gli anni ‘90 è forse il tratto più importante e caratterizzante della carriera dei texani. Nati non certamente in una terra nota per il doom metal, i Nostri si sono fatti largo in questo genere forgiando un loro sound unico, personale, che pure guardava sempre con ammirazione alla lezione dei maestri Candlemass e che negli anni ha subito varie evoluzioni. Inanellando un capolavoro dopo l’altro sono assurti a capostipiti incontestati dell’epic doom e dimostrato una rara fertilità e varietà di idee. La band che nel 1998 si appresta a presentare sulle scene il suo quinto lavoro sulla lunga distanza, intitolato Adagio, è una realtà che sta vivendo dei cambiamenti che incidono direttamente sulla realizzazione del disco. Il primo evidentemente è quello che riguarda la defezione al basso di Lyle Steadham, membro della formazione “classica” dei Solitude Aeturnus, sostituito da Steve Moseley. Ma quello che risalta più all’orecchio durante l’ascolto è il miglioramento della produzione, finalmente pulita e di livello realmente professionale anche per gli standard odierni. Infatti, uno dei tratti del predecessore, Downfall, che più aveva fatto storcere il naso a taluni, era stata proprio la produzione, caratterizzata da alcune asperità, prima fra tutte il suono della batteria che dava uno strano feel, come fosse registrato in presa diretta. Per le registrazioni di Adagio il combo di Arlington attraversa l’oceano e approda in Gran Bretagna per affidarsi ai Rhythm Studios di Bidford on Aven e alle esperte mani di Paul Johnstone, che all’epoca aveva già curato la produzione di lavori di importanti realtà doom come Cathedral ed Electric Wizard ma anche death (Napalm Death, VaderBenediction). Il risultato finale è un sound nitido, compatto, potente e bilanciato, perfetta trasposizione sonora dello stile, anch’esso rinnovato. Se infatti da una parte la band prosegue sulla linea di uno stile più asciutto, diretto e riff-centered rispetto agli esordi, dall’altra con Adagio la band attua una serie di tagli col passato anche recente. Ecco dunque scomparire la maggior parte delle influenze esterne, a partire con il definitivo accantonamento dell’approccio vagamente prog e delle numerose accelerazioni thrash, elementi tipici dei primi album, nonché delle incursioni in territori sludge/stoner o persino grunge di Through the Darkest Hour e Downfall. Il risultato è un disco più schiettamente doom, che si svolge tra riff spesso semplici e accattivanti e strutture più lineari che in passato. Persino l’atmosfera opaca, nascosta, velata in qualche modo suggerita dalla copertina dai toni grigi, non è poi così misteriosa o indecifrabile, ma si svela riff dopo riff, brano dopo brano, come un’oscurità manifesta e affatto difficile da perscrutare.
L’andamento deciso, quasi sempre in mid-tempo, delle due iniziali Days of Prayer e Believe è già memorabile: le chitarre disegnano melodie lineari ma geniali, immediatamente memorizzabili, mentre Robert Lowe sfoggia la solita grande prestazione dietro al microfono, senza nessun timore di sperimentare timbri vari, anche più gravi di quanto sentito sui passati lavori. Il lavoro solista della chitarra è di altrettanta fattura pregiata, senza eccessi di tecnicismi o abbellimenti, ma efficaci e ben suonati come tutto il resto su questo Adagio. I tre minuti lentissimi, pachidermici, di Never conducono a Idis con il suo riffing solido, granitico, che si alterna a sezioni in clean cariche di riverbero, mentre la voce di Lowe prima si fa strisciante ed effettata per poi condurre il coinvolgente ritornello. Si rimane sempre nell’ordine dei riff memorabili con Personal God, che poi evolve in una seconda parte più melodica e d’atmosfera, mentre Mental Pictures sfoggia alcuni dei riff più pesanti dell’intero lotto e un solo piacevole e melodico. La tensione negativa di Insanity’s Circle e Lament, tra i brani più lenti, tristi e depressivi del lotto è spezzata nel mezzo da The Fall piacevole pezzo acustico eccezionalmente cantato dal chitarrista John Perez. Dopo una relativa calma Empty Faith, ricca di arpeggi e lavoro solista che si va ad incastrare con le parti ritmiche, la conclusione è affidata a Spiral Descent, che si sviluppa per sette minuti tra i soliti riff pesanti e potenti e un ancora apprezzabilissimo lavoro solista e infine alla cover di Heaven and Hell dei Black Sababth, interpretazione non particolarmente pregnante, per così dire, ma tutto sommato gradevole e ben eseguita.
Adagio è stata quindi la definitiva conferma dell’estrema solidità dei Solitude Aeturnus in sede di songwriting, accompagnata da un netto miglioramento anche della produzione ed ha rappresentato dunque anche la definitiva consacrazione della band, che già aveva acquisito uno status di culto grazie ai lavori precedenti. Questo ennesimo highlight della carriera dei texani, che pure dovrà aspettare ben otto anni per avere un successore, manifesta anche la validità della scelta di puntare su uno stile più diretto ed asciutto, che la band ha dimostrato di interpretare alla perfezione senza perdere né in atmosfera né in carica emotiva. Il quinto lavoro della band di Arlington è una gemma del doom metal e un ascolto praticamente imprescindibile che ha davvero poco da invidiare ai suoi pur esimi predecessori.
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5
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Rimesso oggi sul piatto... Beh io sono di parte, adoro tutto ciò che proviene dalla band texana. Ma solo io in questo album ci sento atmosfere alla Alice In Chains? |
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4
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Un\'alchimia perfetta tra songwriting e capacità interpretative dei singoli membri, con un fuoriclasse come Robert Lowe ad innalzare vertiginosamente la qualità media già altissima. |
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3
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Gruppo fantastico, tutta la discografia sarebbe da avere. |
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2
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Band meravigliosa, che fino a qui non ha sbagliato nulla. Lowe un gigante, canzoni da pelle d\'oca seppur come dice giustamente Typhon più semplici e schiettamente doom. Non immaginavo un disco così dopo Downfall, ma riuscirono a stupire tutti con l\'ennesimo capolavoro. Allucinante che non siano venerati e non vendano dischi a metri cubi. |
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1
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...tra i grandi del doom....qui siamo a livelli qualitativi elevati.... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. My Endtime 2. Days of Prayer 3. Believe 4. Never 5. Idis 6. Personal God 7. Mental Pictures 8. Insanity's Circles 9. The Fall 10. Lament 11. Empty Faith 12. Spiral Descent 13. Heaven and Hell
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Line Up
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Robert Lowe (Voce, Chitarra e Basso su Tracce 6, 11) John Perez (Voce su Traccia 9, Chitarra) Edgar Rivera (Chitarra) Steve Moseley (Chitarra solista su Traccia 5, Basso) John "Wolf" Covington (Batteria)
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RECENSIONI |
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