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Crypt Sermon - The Stygian Rose
13/07/2024
( 1205 letture )
Che gli Stati Uniti siano un Paese che vive e si nutre dei propri contrasti è tanto banale da dire da essere ormai un luogo comune. Non che questo lo renda meno vero, anzi. In una industria musicale dominata dall’hip hop e dal pop adolescenziale di Taylor Swift, non è affatto contraddittorio trovare ancora qualche ampio sprazzo di quella che fu la grandezza del rock, dai Metallica ai Tool a Pearl Jam, Foo Fighters, Guns N’ Roses e via elencando, con un underground che definire ribollente è davvero poco, vista la enorme quantità di uscite che interessano il settore. Uno dei contrasti più forti e tipici degli States è sempre stato quello, appunto, tra il mainstream e un certo tipo di sottobosco musicale che tende molto di più a rifarsi ai modelli europei e che, fin da tempi non sospetti o, addirittura, pre-metal se si considerano pionieri come i Dust di New York, ha saputo alimentare un filone come quello dell’epic metal. In una nazione che non ha mai conosciuto il Medioevo, se non in una fallita e minuscola colonizzazione vichinga e che, di fatto, considera orgogliosamente come “arcaiche” vestigia risalenti al XVIII secolo e “antiche” quelle di inizio XX, potrebbe sembrare del tutto ridicolo un amore così profondo per imprese eroiche, barbariche, epiche e immaginari legati a cimiteri gotici, castelli, cavalieri, gesta Arturiane, Santa Inquisizione o, addirittura, per i miti sumeri, egizi, greci e scandinavi. Ovviamente più facile rifarsi a un immaginario fantasy oppure horror, altri settori che tanto devono agli scrittori e ai fumettisti statunitensi e che hanno spesso costituito la vera massima ispirazione per i musicisti. Eppure, quell’amore esiste e band come Manowar, Virgin Steele, Manilla Road, Cirith Ungol non solo sono tra le massime espressioni del genere, ma ne hanno di fatto settato l’approccio, l’identità, le soluzioni, le tematiche e perfino il look.
Questo lungo e speriamo non ozioso preambolo, per arrivare ai Crypt Sermon, band di Philadelphia che raccoglie in se membri di altre tre band, Daeva, Unrest e The Silver e che approda al proprio terzo album con The Stygian Rose, dopo il debutto Out of the Garden (2015) e, soprattutto, l’acclamato seguito The Ruins of Fading Light (2019). Disco quest’ultimo che aveva ottenuto grandi attenzioni e che giustifica tutto l’interesse per il nuovo arrivato.

Ebbene, il riferimento ai Maestri dell’epic non va quindi inteso come casuale perché, se è vero che i Crypt Sermon nascono come gruppo epic doom e che i riferimenti ad altrettanti Maestri quali Candlemass e Solitude Aeturnus sono e restano fondamentali nella loro proposta, con The Stygian Rose l’asticella compositiva si arricchisce di ulteriori sfumature. L’amore per gli anni Ottanta esplode copiosamente da ogni anfratto di questo terzo album e ne arricchisce la proposta andando appunto a prendere ampi riferimenti all’heavy classico, sempre in salsa epic doom, ma con accelerazioni, fraseggi e tripudi di assoli che rendono ancora più complessa e ricercata la trama delle costruzioni lunghe e ambiziose, drammatiche, oscure e cariche di pathos del gruppo. Oltre ai nomi già citati, sarà forse per la particolare e riconoscibile voce di Wilson, che sembra avvicinarsi tanto a Jon Oliva quanto a Charles Rytkönen e a Harry “The Tyrant” Conklin, ma è inevitabile sentire ben più di una sfumatura di Savatage e Morgana Lefay nei brani di The Stygian Rose a conferma di un range compositivo ampio e selezionato.
E’ evidente, insomma, come l’intenzione dei Crypt Sermon sia quella di costruire un grande album, tirando a lucido la componente strumentale e ingigantendo la carica dei chorus e delle parti vocali, per costruire brani di spessore, capaci di evocare i Maestri e perfino di osare aggiungersi al loro eroico banchetto. D’altra parte, i quarantacinque minuti di durata complessiva per sei brani dicono già molto. Un tour de force compositivo ed esecutivo che pesa molto sulle spalle della coppia di chitarristi, protagonisti assoluti del disco almeno quanto la voce malefica ed evocativa di Brooks Wilson. Senza nulla togliere alla parte ritmica, anzi molto tecnica e presente, col basso in particolare a prendersi più momenti da solista, strepitosi sono gli scambi solistici, probabilmente la cosa migliore dell’intero lavoro, mentre evidente attenzione e cura sono stati dedicati alle rilevanti parti di tastiera e alle linee melodiche del cantato, enfatiche, maligne e drammatiche al tempo stesso, coerenti con una visione dell’epic che sia appunto oscura e che è ben resa dal nome stesso della band e dal titolo del disco. D’altra parte, parliamo di una rosa cresciuta sulle rive dello Stige e, quindi, all’Inferno.
Risulta difficile tacere l’entusiasmo per un brano come Glimmers of the Underworld, cavalcata rocciosa ai limiti dello US Power, strapiena di assoli tra shred e ottime concessioni melodiche, con una linea melodica perfetta di Wilson, un buon refrain e un profluvio di stacchi e cambi di tempo, con arpeggi puliti a esaltare la componente epica. Al tempo stesso veloce, potente, gonfia di oscura drammaticità, darebbe l’opener perfetta, non fosse per un eccesso di generosità, a cercare il pelo nell’uovo, che porta il brano ad allungarsi un poco oltre il proprio limite naturale, con però un gran bel “black, black, black” perentorio intonato da Wilson in chiusura, che non può non esaltare. Più ragionata e complessa la successiva Thunder (Perfect Mind): qua la band dà prova di saper scrivere brani non immediati e ricercati, con un discreto quanto essenziale arrangiamento di tastiera e piano, arpeggi e ancora dei cori enfatici ad accompagnare il cantato, impegnato a rendere una interpretazione sentita e sofferta. Non una canzone semplice, si schiude via via e giova molto del solito strepitoso doppio assolo, come momento liberatorio. Crepuscolare. Più tipicamente metal invece la successiva Down in the Hollow nella strofa, mentre decisamente peculiare il bridge che segue il refrain di casa Savatage: arpeggi e controcanti quasi onirici, a conferma di una volontà creatrice ambiziosa e ricercata, anche in un brano apparentemente più “immediato”, con l’ennesimo grande doppio assolo e un ottimo lavoro anche del basso e della batteria, decisamente tecnici. Inizio grandioso per Heavy Is the Crown of Bone (titolo dell’anno) che sprizza epicità da ogni poro e riff portante baldanzoso e arrogante, con Wilson ancora chiamato a una interpretazione cangiante e tutt’altro che semplice, alla quale presta tutti i propri registri, tra voci pulite e il consueto ringhio, cori che esplodono nel refrain enfatizzato dalla tastiera e da un doppio cambio di ritmo, sotto il quale ancora la sezione ritmica prende decisamente il proscenio, confermando di non rivestire solo una funzione di accompagnamento. Tempo per le due composizioni più ambiziose dell’album: The Scrying Orb è una sorta di strana e oscura ballata (ed è qui che il riferimento ai Morgana Lefay si fa più concreto, quali veri e propri Maestri di questo tipo di composizione), anticipata da un inquietante carillion di tastiera e che intreccia una strofa tipica da ballad, con arpeggio e cantato pulito a un ingresso in distorto di un riff minaccioso (anche qua, pregevole il lavoro del basso in sottofondo) su scala “mediorientale” alla Solitude Aeturnus; il refrain è cinematografico, forse fin troppo e tutta la parte strumentale insiste su intrecci tecnici e ricercati che abbiamo ormai capito essere cifra di tutto il disco, come il sempre ottimo intervento solista. The Stygian Rose non può che essere la summa dell’intero lavoro con i suoi undici minuti: inizio di piano, riff portante pesante ed eroico al tempo stesso, spezzato da arpeggi e devastante nell’introdurre la strofa con accompagnamento di doppio pedale; il cantato si appoggia sul basso e sulle tastiera, come insegnano i Solitude Aeturnus e Wilson inizia in pulito per poi passare subito dopo al più tipico ringhio (peccato) e l’epicità delle tastiera esalta il refrain, con cori a rilanciare ancora la costruzione cattedratica ed ecclesiale del brano. Bellissimo lo stacco arpeggiato in distorto, con il crescendo dell’organo e poi l’ingresso degli altri strumenti: un momento di epicità grandiosa, che dura minuti e viene poi aperta dalla consueta tirannia delle soliste, che riconducono al bridge e al refrain, che chiude questa lunga cavalcata, affatto pesante all’ascolto e che, anzi, paradossalmente sembra durare anche troppo poco.

Difficile immaginare, nel 2024, qualcosa di più distante dal mainstream imperante di un disco come The Stygian Rose. Non si parla di estremismo musicale, alla fine ben più conformista nelle sue tematiche, ma culturale. Il tuffo in un tempo diverso, condotto dai Crypt Sermon, non risulta accomodante, patinato e neanche strillato prepotentemente o con violenza. E’ orgoglioso, potente, confidente della propria forza e del proprio passato, convinto della grandezza e della profondità di un certo approccio, quando sincero e sentito. Poco conta che di base la band sia di Philadelphia, quando la capacità di evocare una visione così chiara e immediata diventa musica di questo livello. La qualità si sente, come l’ambizione che se ne fa sostegno e senz’altro questo terzo album costituisce un ulteriore passo avanti. Non siamo ancora in grado di gridare al capolavoro, perché le regole del gioco appreso dalla band e i riferimenti sono ancora fin troppo visibili e non del tutto sgrezzati nelle composizioni, perfettibili per quanto a lunghi tratti coinvolgenti, se non entusiasmanti. In tal senso, apertura e chiusura risultano di un livello superiore, come equilibrio complessivo, al resto delle tracce. Questo non toglie che i Crypt Sermon abbiano realizzato un grande album, che merita il posto tra i migliori di quest’anno e che si rivelerà, nel suo classicismo, capace di durare nel tempo, vista la ricchezza e complessità delle composizioni. Davvero molto bravi, fatevi contagiare dal loro sermone oscuro ed epico, lontano da facili sirene e da revivalisti senza personalità e reali capacità.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
55.66 su 9 voti [ VOTA]
ricky66
Giovedì 25 Luglio 2024, 21.42.01
5
Moooolto Savatage. E devo dire che non sfigurano al cospetto dei maestri. Meno classicheggianti ma più power. Ottimi.
Doom Queen
Mercoledì 17 Luglio 2024, 10.50.03
4
Che scoperta, non li conoscevo, sono davvero bravissimi!
Duke
Sabato 13 Luglio 2024, 19.00.29
3
...lo ascolterò.....ho sentito qualcosa...e mi piace parecchio....
Lizard
Sabato 13 Luglio 2024, 15.41.21
2
Noto solo adesso che la copertina è praticamente identica a quella di “Anesidora” degli Isole. Curioso
lisablack
Sabato 13 Luglio 2024, 13.55.06
1
Mi piace da matti sto disco, ultimamente ha girato e girato x giorni. Mi metto sotto a recuperare il precedente lavoro🤟
INFORMAZIONI
2024
Dark Descent Records
Heavy/Doom
Tracklist
1. Glimmers in the Underworld
2. Thunder (Perfect Mind)
3. Down in the Hollow
4. Heavy is the Crown of Bone
5. Scrying Orb
6. The Stygian Rose
Line Up
Brooks Wilson (Voce)
Steve Jansson (Chitarra)
Frank Chin (Chitarra)
Tanner Anderson (Tastiera)
Matt Knox (Basso)
Enrique Sagarnaga (Batteria)
 
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