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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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12/04/2025
( 718 letture )
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Un disco molto impegnativo: filosoficamente, vocalmente e musicalmente. Così Glenn Danzig descrisse Danzig 4 all’epoca dell’uscita; era il 1994 e la band dell’ex Misfits veniva da tre album di assoluto spessore… spoiler: non deluderà le aspettative nemmeno con questo quarto capitolo! Cambiando certamente, con suoni industrial di sottofondo in alcune tracce e nuovi strumenti; il chitarrista John Christ a tal proposito disse: Volevamo introdurre nuove sonorità nella band, quindi, abbiamo sperimentato con diversi strumenti acustici più datati ed esotici, tra cui un armonium, un flauto dolce e campanelle a vento. A proposito del suono della sua chitarra Christ aggiunse: La grande differenza in questo album, in termini di esecuzione, sta nel modo in cui uso il suono e le texture. Ho sperimentato diversi tipi di chorus e pitch-shifting.
A livello di contenuti, dato che il gruppo era stato accusato di inserire messaggi satanici nascosti nelle proprie canzoni, venne registrata la traccia Let It Be Captured al contrario, pertanto nacque un nuovo brano: Cantspeak. Il testo di questa track fornisce una descrizione di disperazione impotente, ma in realtà il satanismo non viene mai affrontato come tema principale, se non in maniera molto vaga su Invocation: traccia che tratta di un demone che fa sesso con qualcuno e che in effetti sembra una sorta di rituale demoniaco. La canzone è preceduta da diverse tracce vuote in modo da arrivare alla numero 66. All’epoca, i lettori CD che visualizzavano il numero della traccia corrente e il tempo totale trascorso sul disco in minuti leggevano quindi 66; 61:38 sul display quando iniziava la traccia finale. Lo stesso brano non è incluso nelle versioni in cassetta o vinile dell'album, dove non era possibile questo escamotage. In realtà l’album affronta tematiche ben più concrete del satanismo, come la morte: ad esempio Going Down to Die tratta proprio del fatto di sapere quando si sta per morire.
Brand New God è apocalittica: apre le danze con ritmi punk arcigni; fraseggi chitarristici spregiudicati si confondono alla voce disordinata di Danzig. Il bridge converge al doom, poi vengono ribadite fracassate punk unite a tanta cattiveria. Little Whip è “doorsiana”: dalla voce alle pause, dalla psichedelia ai gemiti, dalla sensazione che trasmette all’atmosfera. Danzig non si risparmia negli acuti e trasuda passione nell’enunciare il testo; il ritornello è frastornante. Indubbiamente uno dei vertici del disco! Cantspeak, data la sua gestazione, risulta essere la canzone più folle dell’album: un alternative rock figlio dei 90, con una sezione ritmica dispari affascinante e note psicotiche introdotte in fase di post-registrazione. La mano del produttore Rick Rubin si sente e il pezzo scorre agevolmente, forse le modalità di creazione fanno sì che manchi di una cesura netta ma rimane un brano interessante. Going Down to Die è invece classica nel suo incedere e anche nelle melodie, sicuramente legate al rock sessantiano, ma è la splendida prova vocale a donare linfa al pezzo, un canto funereo appassionante. Until You Call on the Dark torna a praticare doom, in una veste tetra come si addice ai Danzig: lento metal oscuro con la voce del singer protagonista assieme ai refrain paurosi di John Christ. È ciò che vogliamo trovare in un album della band! Dominion prosegue la parabola tetra: si percepisce chiaramente l’inquietudine di fondo, sempre presente nel disco. Bringer of Death pesta che è una bellezza: qui davvero si sente il metal primordiale e le urla di Danzig non fanno altro che accentuarne le vibrazioni. Tocchi estetici a parte, donati dal producer, questo è un gran pezzo metal. Sadistikal è una semi strumentale industrial, in quanto narrata piuttosto che cantata e ci sta alla grande nel contesto: evocativa, liquida e snervante, sembra la colonna sonora di un horror sotterraneo. Son of the Morning Star prosegue l’opera precedente, ma in modo assolutamente tranquillo, come se il peggio fosse passato. Meglio prendere le parole di Christ per spiegare la struttura della canzone in modo dettagliato: Iniziamo con accordi jazz e un ritmo funky jazz. All'improvviso, ci lanciamo in questo pesante schema di riff. Poi torniamo al feeling jazz originale, ma in versione rock. I Don't Mind the Pain è incalzante e richiama episodi di artisti e personalità esplose nei Novanta, dei quali Danzig è stato maestro e precursore: Marilyn Manson, Rob Zombie…. Stalker Song (già il titolo è tutto un programma) è un brano con strofe caustiche e un ritornello di facile presa; ci stava un pezzo così! Il finale assume tinte sermoniane con la lenta preghiera implorante Let It Be Captured, seguita dal sabba nero Invocation.
La perfetta fase di mastering di Stephen Marcussen fa quasi passare in secondo piano la solita produzione priva di difetti di Rick Rubin, poiché effettivamente è proprio nella sequenza delle varie tracks che sta la grandezza di Danzig 4, ancor più che nelle singole tracce, anche se è pur vero che brani come Brand New God, Little Whip, Bringer of Death rimangono attualissime e inducono sentimenti contrastanti nell’ascoltatore.
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8
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Per me è sempre stata una bella lotta per il miglior disco di Danzig fra questo e il secondo. Qua iniziava a sentirsi qualche leggero sprazzo di industrial in Sadistikal, Cantspeak, Until You Call on the Dark, ma il disco è spettacolare. Purtroppo i seguenti album non si sono avvicinati alla qualità dei primi quattro, anche per i musicisti di supporto, mai all\'altezza di quelli della formazione originale: ci sono stati ottimi batteristi (Joey Castillo, Johnny Kelly), bassisti OK, ma chitarristi così così. A parte l\'ospitata di Jerry Cantrell sul 5° album, salvo Todd Youth (R.I.P.); Tommy Victor è un grande e poteva starci nel periodo Blackacidevil, ma con le sonorità hard / blues riprese nei dischi seguenti non c\'entra niente.
Disco che sancisce anche l\'abbandono della American Recordings di Rick Rubin, anche se Danzig dice che questo se l\'è in pratica prodotto da solo (ci credo poco, visto che questo suona ancora oggi alla grande e i successivi sembrano spesso demo registrate nel cesso). |
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7
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Quarto album e quarto capolavoro di Danzig, che chiude la prima fase dell\'artista. Comunque a me piacciono anche i dischi seguenti |
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6
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P.S. trovo assurdo che HOW THE GODS KILL abbia un voto inferiore a questo… |
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5
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Amo Danzig. Punto. ( non per niente ho il sacro teschio tatuato sull’avambraccio) acquistai questo disco appena uscito, alcune cose mi piacquero molto,, altre, ad esempio la deiva industrial, molto meno. Concordo con chi sostiene che sia l’ultimo bel disco, seppur non al livello dei precedenti tre. (Con i primi due inarrivabili). Voto 66.6 |
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4
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Fino a qui la discografia dei Danzig è semplicemente magnifica. I primi due rimangono i miei preferiti, ma questo (come pure il precedente) è comunque un grandissimo album. Inutile citare un brano piuttosto che un altro, perché l’ispirazione rimane costantemente alta dall’inizio alla fine (a parte Sadistikal che, sì, è vero, nel contesto ci sta, ma mi fa pensare a cosa succederà con l’album successivo… e di riflesso mi viene da skipparla). Voto 86 |
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3
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I primi quattro album di Danzig sono proprio di un altro pianeta rispetto a tutto quello che verrà dopo. A parte cambiamenti di sound, quello che mancherà è John Christ, chitarrista troppo sottovalutato, ma che con i suoi riff ed assoli ha marchiato a fuoco proprio i primi quattro album. |
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2
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Concordo. Grande grandissimo album. I primi 4 album sono intoccabili. Non che dopo abbiano pubblicato porcherie, tutt\'altro, ma i primi 4 sono veramente a un livello altissimo. |
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1
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Disco con parecchi pezzi immortali. 90 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Brand New God 2. Little Whip 3. Cantspeak 4. Going Down to Die 5. Until You Call on the Dark 6. Dominion 7. Bringer of Death 8. Sadistikal 9. Son of the Morning Star 10. I Don't Mind the Pain 11. Stalker Song 12. Let It Be Captured 66. Invocation
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Line Up
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Glenn Danzig (Voce, chitarra, pianoforte) John Christ (Chitarra) Eerie Von (Basso) Chuck Biscuits (Batteria)
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RECENSIONI |
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