Non male, non male davvero questo album d’esordio dei Tarchon Fist -il cui nome deriva, inglesizzato, dall’Etrusco - band dell’area Bolognese dedita ad un Heavy di stampo sicuramente classico, ma fresco, divertente e ben suonato, e già questo non è poco, la cui line-up è formata dal elementi ben noti nell’ambito della Dotta, turnisti ed elementi di varie bands locali, tra i quali spicca principalmente Luciano Tattini, membro fondatore dei Rain, storica formazione del panorama Heavy nazionale ben nota agli appassionati.
Ed allora? Allora Heavy, di quello buono, ben scritto, ben suonato, divertente, pieno di cori – magari talvolta non esenti da una latente tendenza alla pacchianeria tipo Footbal Aces, in pratica l’unico passo falso dell’album – bridges catchy come non ne sentivo da un bel pezzo, ottimamente inciso e prodotto, professionale – ad aprire le ostilità un filmato live di circa mezzo minuto, presenti inoltre bio, foto, cenni storici, due video, wallpapers e contatti della band - e, ciliegina sulla torta, le collaborazioni di Alberto Simonini -se non sapete chi è 10 punti in meno sul vostro patentino di metallaro- Roberto Priori per l’editing ed il premixaggio -come sopra, e con ciò avreste esaurito i punti a disposizione– e Cliff Evans dei Tank –e qui dovreste comprarvi una bici, per ulteriore punizione una Graziella -risente delle diverse influenze apportate dai vari componenti del gruppo e da bands di riferimento come Saxon, Skid Row, Savatage, Stratovarius (caspita, ho azzeccato un filotto di quattro S di fila) e compagnia, ma quello che mi preme sottolineare è che oltre ad una freschezza che fa pensare sicuramente di più a gruppi degli anni 80 in generale, molti dei pezzi contenuti in Tarchon Fist ora avrebbero sicuramente una grande visibilità se fossero marchiati da bands straniere che vanno per la maggiore, non sempre con pieno merito.
HM vero, sentito e coinvolgente, con Metal Detector, Bad Man Mania, Eyes of Wolf e Carved in Fire a rappresentare i momenti migliori del lavoro, per veri Defenders se volete e sicuramente con pochi spunti di modernità (a parte la Ghost Track elettronica di It’s My World da prendere con le pinze per chi non se l’aspetta e che dovrebbe dar vita ad un side project in cui la band sarebbe coinvolta solo molto marginalmente), ma che a me piace parecchio e forse anche chi ascolta roba completamente differente potrebbe dargli una chance, in ogni caso un plauso alla MyGraveyard la quale, all’interno di un mercato decisamente orientato su produzioni completamente differenti, continua a dibattersi per tenere vive delle sonorità che hanno fatto la storia e che sicuramente hanno ancora qualcosa da comunicare, e parlo di fede, passione, sudore, rabbia, fratellanza, ingenuità se volete, ma per me quest’ultima continua ad essere una qualità.
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