IN EVIDENZA
Album

Avatarium
Between You, God, the Devil and the Dead
Autoprodotti

Darko (US)
Dethmask 3
CERCA
RICERCA RECENSIONI
PER GENERE
PER ANNO
PER FASCIA DI VOTO
ULTIMI COMMENTI
FORUM
ARTICOLI
RECENSIONI
NOTIZIE
DISCHI IN USCITA

30/04/25
ACHERONTAS
Νekyia – The Necromantic Patterns

01/05/25
VIRTUAL SYMMETRY
Veils of Illumination [Ed. digitale]

01/05/25
DEATH SS
The Entity

02/05/25
BLEED
Bleed

02/05/25
MAESTRICK
Espresso della Vita: Lunare

02/05/25
AMALEKIM
Shir Hashirim

02/05/25
PROPAGANDHI
At Peace

02/05/25
HATE
Bellum Regiis

02/05/25
FIRIENHOLT
Night Eternal

02/05/25
THE FLOWER KINGS
Love

CONCERTI

27/04/25
HEILUNG
TEATRO ARCIMBOLDI - MILANO

27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO

27/04/25
RHAPSODY OF FIRE
AUDITORIUM DI MILANO FONDAZIONE CARIPLO, LARGO GUSTAV MAHLER - MILANO

27/04/25
FRONTIERS ROCK FESTIVAL
LIVE CLUB - TREZZO SULL\'ADDA (MI)

27/04/25
DELTA SLEEP
REVOLVER CLUB, VIA JOHN FITZGERALD KENNEDY 39 - SAN DONÀ DI PIAVE (VE)

27/04/25
HUGH CORNWELL
LOCOMOTIV CLUB, VIA SEBASTIANO SERLIO 25/2 - BOLOGNA

27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)

27/04/25
DOOL
LEGEND CLUB, VIALE ENRICO FERMI 98 - MILANO

28/04/25
HUGH CORNWELL
LEGEND CLUB, VIALE ENRICO FERMI 98 - MILANO

28/04/25
ANNA B SAVAGE
ARCI BELLEZZA, VIA G. BELLEZZA 16/A - MILANO

Pantheon I - Worlds I Create
( 3635 letture )
Ho poco da dire.
Worlds I Create è un prodotto notevole: violento, veloce, tecnico, particolare.

Se avete altri 5 minuti vi spiego perché.

Violento ma tecnico: Worlds I Create è un album cattivo. Cattivissimo! A renderlo tale concorrono più variabili: la velocità sempre spasmodica, lo stile basico ispirato ai grandi “mastri ferrai” del genere (un black metal lontanamente paragonabile a quello degli Immortal), le contaminazioni (che vedremo) con il death ed il thrash meglio rifinito, le soluzioni timbriche adottate. Questo riuscito set di attenzioni suona pesante, ma non malsano; il black metal è fondamentalmente un cluster che richiede spontaneità e grezzume, enunciazioni che i Pantheon I preferiscono però superare proponendo una rilettura ancorata solo agli stilemi filosofici del genere e declinata -contraddittoriamente- con un’eleganza davvero insolita, tanto in fase di songwriting, quanto in quella di ingegneria del suono: le scelte in fatto di timbrica ed effettistica rifuggono infatti dall’essere estreme e radicali, presentando sonorità pulite e sempre cristalline, rivolte ad evidenziare la grande capacità operativa dei propri membri. Il bello è che l’amalgama non ne soffre minimamente.
Le modalità esecutive concepiscono tecniche non tipicamente old-style; il guitarism assomiglia molto a quello del tecnichal death/brutal, con ricami ed impuntate piuttosto evidenti sulle note, così come il cantato, saldo su uno screaming non fastidiosamente alto e stralunato, è ben lontano dal piattume di molte interpretazioni odierne: la timbrica di Kvebek è in tal senso “equilibrata” perché sufficientemente modulata e comprensibile, anche se incontrovertibilmente perfida e prepotente; la metrica è poi perfetta, mai forzata e/o sovraccelerata per adagiare il testo nei lassi temporali ricavabili dalle variazioni ritmiche. Ottimo lavoro anche riguardo alle lyrics, tanto eccessive e discutibili, quanto mai volgari.

Veloce: l’album martella dal primo all’ultimo istante con tempi, sempre vigorosi, imposti da un drumming solerte di braccia e rapidissimo di cassa. Blast-beat impressionanti e mid-tempos medio-alti sono il pane quotidiano che i Pantheon I servono ai loro oscuri adepti. L’intensità del doppio pedale è costantemente alta, grazie anche ad una produzione ottima e volta a valorizzare l’operato di Mads Guldbekkhei; la spaventosa frequenza ritmica non prescinde nemmeno nei momenti più aperti dell’album (comunque pochissimi): ne sono un esempio la parte centrale di Defile The Trinity ed il primo minuto di Written In Sand in cui il cantato libero e maligno di Kvebek è sorretto da un fitto tappeto di pelli gravi, per un passaggio che, seppur strumentalmente scarno, diviene mostruosamente angoscioso e claustrofobico. L’incipit ritmico fornito dalla batteria è seguito in prima istanza dalle chitarre che dunque prediligono composizioni complicate e molto ricche dal punto di vista tonale. Il songwriting riservato alle 6 corde è infatti piuttosto arzigogolato e comunque ben sposato con lo scenario “cardiopalmico” disegnato dal drumming: con ciò intendo dire che è evidente la volontà della band di contestualizzare le partiture strumentali con quelle percussive. Lo stesso basso segue questa (semplice) linea teorica, solamente penalizzato da una restituzione non certo roboante quanto quella degli altri “ferri” del mestiere.

Particolare: soprattutto (ma non solo) per le scelte verticali in corrispondenza degli interventi del cello (i Pantheon I si avvalgono di una violoncellista permanente). In parte le combinazioni cordofoni elettrici/arco seguono le regole dell’armonia base, in parte le stravolgono (credo consapevolmente) allertando e stupendo l’ascoltatore. Nell’opener Myself Above All, la primissima porzione concomitante (peraltro condita con dei retro-vocalism), pare addirittura disarmonica e dunque “confusionaria”; ad aumentare lo stupore una differente interpretazione ritmica, dovuta anche alla dinamica esecutiva congenita nell’utilizzo dei vari strumenti: gli archi (quelli non folkish) sono naturalmente portati a creare un suono continuo e dilatato nel tempo, ragion per cui si sposano perfettamente con i generi più lenti del panorama metallico (doom, funeral), mentre al contrario le chitarre ben si prestano ad esecuzioni rapide ed aggressive, tendenza estremizzata nel metal-style. Vi è poi il gioco interpretativo che rende ancora più evidente questa naturale differenza; le diteggiature della bella Live Julianne Kostøl sono poche e comunque tendenzialmente espanse, al contrario del guitarism di Kvebek e Sagstad, per la stragrande impostato su riff in rapida sequenza di single-notes oppure in tremolo-picking. Il risultato è eccellente ed all’iniziale stupore si sostituisce una subitanea soddisfazione: le spigolosità denotano una certa ricercatezza, sintomo della perversione concettuale recuperabile anche dall’analisi dei testi. Ovviamente esistono anche parti più consone ai normali principi grammaticali: sono questi i momenti in cui i Pantheon I si distanziano maggiormente dal loro genere nativo (black/death metal) riportandomi alla mente antichi esperimenti alla Celestial Season (avvio di Burnt The Cross, Serpent Christ).
Altro motivo di distinzione dal normotipo black metal sono i numerosi interventi in palm-muting che la coppia d’asce ci riserva. Stacchi improvvisi ed opportunamente dislocati su di un unico canale che hanno l’effetto distruttivo che avrebbe un muro di cemento armato su di un camion lanciato a 100 km/h: succedono per lo più ad up-tempos suonati in tritonale che improvvisamente rallentano sotto i colpi -duri- degli stoppati. L’approccio, come dicevamo, è tipicamente thrash.
Vi sono poi delle rare trattenute: passaggi atmosferici che tradiscono una certa affezione al prog/doom alla The Prophecy: i Pantheon I sono esemplari anche sotto questa insolita forma.
Ultima nota distintiva del platter è la notevole e spiccata attenzione per le melodie: veloci -di pennata o di manico che sia-, contorti o trattenuti, i riff sono quasi sempre orecchiabili e di facile ricordo. Non siamo ai livelli del sinfo-black alla Dimmu Borgir, per capirci, ma nemmeno alla secchezza dei seminali Carpathian Forest o dei meravigliosi, ma pur sempre “indigesti” (per il sottoscritto), Mayhem.

A questo punto dovrei puntualizzare i migliori brani, ma fatico davvero a trovare una hit. L’omogeneità è la miglior caratteristica del combo che, anche in passato (soprattutto con Atrocity Divine), brillarono per valore medio. L’opener Myself Above All, Ascending (con le guest vocals di Jonas Renkse dei Katatonia) e Burn The Cross sono i pezzi che ho canticchiato fin da subito, che però meritano la medesima attenzione dei rimanenti esemplari della tracklist. Unica davvero sopramedia è Serpent Christ, fantastica nel ritornello e negli interventi cantati lievemente rafforzati in un growling potentissimo.
Sconsiglio di netto un uso insistente del telecomando: premete il play e godetevi -tutti d’un botto- i 50 minuti del runtime.

Non vi ho detto nulla sulla band, ma c’è poco da aggiungere pure in tal senso: 3 album (incluso : Worlds I Create), una line-up da far paura (con membri di combo stranoti) con esperienza, tecnica ed intelligenza compositiva. Detto tutto. Se poi vorrete far scorrere i vostri occhi sui credits dei vari componenti capirete anche i motivi di alcune recenti delusioni (1349).
Raccomandato a tutti gli extreme-metallers del pianeta Metallized!

Quel poco che avevo da dirvi l’ho detto.
Spero possa bastare.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
30 su 17 voti [ VOTA]
Arkan
Venerdì 2 Febbraio 2018, 20.54.26
12
Tra i migliori album in ambito estremo usciti negli ultimi 10 anni. Violento e martellante, eppure arioso ed elegante: ci vuole classe da vendere per partorire una simile combinazione senza scadere in confusi barocchismi e brodaglie indigeribili. Otto pezzi che brillano di luce propria, impreziositi dal mai invadente violoncello e sorretti da una lucidità compositiva davvero sorprendente. Magari sbaglio, ma ho come l'impressione che i NeObliviscaris debbano qualcosa a questi norvegesi...
GioMasteR
Mercoledì 8 Febbraio 2012, 10.59.16
11
Wow! Piacevolissima scoperta e conordo pienamente con la disamina, chiaramente è black ma arricchito da una personalità ed un tocco compositivo normalmente estranei al genere. Il violoncello è il fiore all'occhiello di questa band, riesce ad aumentare l'eleganza dei brani pur mantenendoli aggressivi. Voglio sentirmi anche i predecessori..
Ohoh
Sabato 29 Agosto 2009, 16.14.14
10
Sagstad
Giasse
Giovedì 27 Agosto 2009, 18.58.56
9
Non hai affatto torto: sono particolari perchè pochi usano il cello così insistentemente, ma sono originali solo nelle combinazioni armoniche più azzardate -non sempre...
I, Oblivion
Giovedì 27 Agosto 2009, 12.32.30
8
Ascoltato. Un bel CD senza dubbio, l'8 è decisamente meritato =) sinceramente mi aspettavo qualcosa di un po' + particolare per la presenza della violoncellista, ma comunque nulla da obiettare =)
Giasse
Mercoledì 26 Agosto 2009, 23.38.56
7
Dunque: Kvebek e Stavenses sono rispettivamentel Tjalve (ex) e Seidemann dei 1349 (il secondo anche nei Den Saakaldte); Sagstad milita nei Sarkom e nei Trollfest... insomma un bel curriculum...
FURIO
Mercoledì 26 Agosto 2009, 23.01.31
6
Anche io sono subito alla ricerca... ma chi sono i componenti di questo super-gruppo?
Giasse
Martedì 25 Agosto 2009, 19.06.06
5
Procuratelo che poi ci dici!
I, Oblivion
Martedì 25 Agosto 2009, 17.42.34
4
eheheh ti credo ke per te ero poco produttivo...con delle recensioni così anche la divina commedia sembra poco esaustiva XD si skerza.. comuqnue questo gruppo mi intriga non poco...dai dati da te forniti sembra davvero poter interessarmi veramente. Mi attivo subito per trovarlo! ^_^
Renaz
Lunedì 24 Agosto 2009, 12.27.16
3
Ho appena iniziato ad ascoltarlo ma effettivamente sembra molto buono, grazie per la dritta
Giasse
Domenica 23 Agosto 2009, 23.22.01
2
Si vede che non mi conosci... questa rece è cortissima... ))
Alex Ve
Domenica 23 Agosto 2009, 18.40.46
1
cASpita, meno male che avevi poco da dire. Se avevi molto da dire dividevi la recensione in capitoli enciclopedici? eheheh, si scherza ehhh!?!?!?
INFORMAZIONI
2009
Candlelight Records
Black
Tracklist
1. Myself Above All
2. Defile The Trinity
3. Serpent Christ
4. Ascending
5. Burn The Cross
6. Bannlyst
7. The Last Stand
8. Written In Sand
Line Up
Andrè Kvebek - Guitars, Vocals
John Espen Sagstad - Guitars
Tor Risdal Stavenes - Bass
Mads Guldbekkhei - Drums
Live Julianne Kostøl - Cello
 
RECENSIONI
 
[RSS Valido] Creative Commons License [CSS Valido]