Le quotazioni di Derek Sherinian non sono certo salite alle stelle dopo la sua collaborazione con i Dream Theater: se con l'esordio avvenuto con l'ep A Change of seasons il virtuoso tastierista sembrava non far rimpiangere Kevin Moore, la svolta pop di Falling Into Infinity lo ha fatto salire sul banco degli imputati come principale artefice di questo cambiamento. Quale che sia la verità, Sherinian ha pensato bene di mettere tutti a tacere con questo suo lavoro solista, scritto a quattro mani con Virgil Donati, dove dà sfogo alla propria creatività cimentandosi in alcuni brani metal prog particolarmente ispirati e di gran classe.
Del resto, Derek non è di certo l'ultimo arrivato, potendo vantare già un curriculum di tutto rispetto prima di approdare ai Dream Theater (rapidi però nel silurarlo, preferendogli Jordan Rudess, già visto all'opera con Petrucci e Portnoy nei Liquid Tension Experiment), avendo suonato con nomi del calibro di Alice Cooper e Kiss. Così, in questo suo disco, Sherinian ha la possibilità di inserire un concentrato di tutta l'esperienza finora maturata. Già l'apertura, affidata alla splendida suite Atlantis, suddivisa in tre parti, mostra uno stile che sicuramente recupera alcune sonorità che il tastierista aveva fatto ascoltare nei Dream Theater, ma l'orizzonte musicale qui viene notevolmente ampliato, traendo ispirazione oltre che da acts hard rock e metal (Ozzy osbourne, Van Halen), anche da maestri della fusion come Allan Holdsworth ed Al DiMeola.
Sherinian realizza così un disco di musica molto tecnica e complessa, che riesce però a far convivere assai bene le diverse anime che la compongono, spaziando tra progressive, rock, metal e fusion. In questo, d'altronde, è molto ben supportato da una sezione ritmica di gran valore, con un virgil Donati a dir poco eccezionale alla batteria e con un bassista di grande esperienza come Tony Franklin. Non male neanche Brett Garsed alla chitarra, anche se, per la verità, il suo strumento in generale appare un po' in ombra rispetto alle tastiere. Ad ogni modo, come evidenziato, Planet X risulta convincente sia per la bravura interpretativa dei musicisti, sia per il song-writing che che riesce ad essere vario ed originale, con brani molto tecnici, spesso intricati ma in certi casi anche più scanzonati, come la divertente Space Martini. Certo, non è comunque un disco adatto a chiunque, un po' per il fatto di essere interamente strumentale, un po' per la complessità tecnica dei brani che non sempre lasciano grande spazio alle melodie. Di certo, rappresenta però un capitolo importante nella carriera di Sherinian e ne segnerà, se non proprio una rinascita, quanto meno una svolta.
|