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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 2709 letture )
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Mi rendo conto di spodestare “qualcuno” recensendo quest’album pagan metal, chiedo venia e spero di poterne comunque essere all’altezza. Con l’aggravante (o il valore aggiunto) di sapere di essere di fronte a un album molto atteso.
Sono in treno e sto scrivendo sul mio blocco, con la mia matita. Oggi a Milano nevica, atmosfera già di per sé piuttosto “privata”: immobilizza le luci, ovatta ogni suono, sospende ogni affanno. Poi succede che ti ritrovi gli intrauricolari che suonano Warlord degli Andras . E ne rimani disorientato. Sembra la musica giusta al momento giusto nel posto giusto. Penso subito alla selva oscura dove Dante iniziò quel suo viaggio, allegoria di un cammino interiore spirituale. Gli Andras non ti sbattono in faccia con violenza e crudezza la tua intimità. No. Non loro. Ti accompagnano con finezza di suoni giù, dentro di te. Conducono un elegante cavallo nero dalle zampe di robuste strutture ritmiche e tu non puoi far altro che rimanere in sella, mentre strato dopo strato l’album accende un lume nel tuo inconscio, laddove mai avresti voluto schiarire ombre, paure.
Mi rendo conto, però, che ho un “compito” da portare a termine. Spolvero via dagli occhi la neve, mi concentro e faccio ripartire la lunga traversata.
Gli A Andras costruiscono questa release su un impianto musicale pressoché ineccepibile. Li avevamo lasciati due anni fa con Iron Way , un disco pregevole e corpulento, che ci aveva impressionati nella sua completezza qualitativa. Fu una sfida, non è così? …Vediamo al prossimo giro se riusciranno a dare il “pagotto” ad Iron Way … Già vi sento. Ve lo sareste aspettato? Io no. Warlord è un album ottimo. Coinvolge dopo pochi giri. Nei suoi 55 minuti ingloba la maturità di un’esperienza adulta e consapevole; non abbandona quell’impronta Andras stilistica-germanica dalle spennellate raffinate seppur nella loro scura aggressività. Il carattere del loro sound – solido e profondo – è inconfondibile. Sono loro. La produzione ci lascia a bocca aperta: è possente, precisa, curata, inappuntabile. Ecthelion ha una tavolozza di poliedricità vocale che ci ammalia: ci vizia con armonie nitide ed espressive, gonfie e turgide fin quasi sfiorare il doom (il suo cantato melodico è senza imprecisione alcuna, ma personalmente lo trovo in alcuni punti leggermente monocolore: lui che potrebbe stupirmi in arcobaleni di gorgheggi…), e non ci risparmia impeccabili grattate brutali in grado di aprirsi su ogni registro. Una prestazione esemplare. Ecthelion riesce a plasmare le sue frequenze vocali su ogni lirica: dalle cavalcate epiche, dominanti e largamente descrittive (grazie anche a evocativi cori pagani - 4 canzoni su 10 hanno una lunghezza di circa 7 minuti!) alle sfuriate bellicose e animalesche (il mondo ringrazia la sua trachea, la sua orofaringe e rinofaringe per quel cantato tossico e incisivo). Ogni traccia è eretta seguendo ancora il fondamento black metal puro dal quale sono nati gli Andras . Ma quest’album si spinge oltre. Le chitarre ricoprono un ruolo nodale nella struttura delle liriche, i riff sono ardenti e inespugnabili: non troviamo frasi musicali convulse, arpeggi atti a impressionare e cianfrusaglia varia. I groove sono bilanciati e accattivanti, tinteggiano con accuratezza le variegature di atmosfere custodite in questo lavoro: sfaccettature pagane, epiche, black, folk. Pattern di batteria spasmodici e isterici, blast beat affannosi e agitati? No grazie. Qui non si piscia fuori dal vaso. La paccottiglia musicale la lasciamo a chi si accontenta del ciarpame metal fin troppo di moda in questi periodi. Ci deliziano le loro composizioni abilmente fuse con parti melodiche, il synth rimane per tutto il tempo “educato” liquefacendosi con le chitarre e valorizzando l’identità espressiva dell’intero assetto. Tutte le liriche narrano di battaglie e arie epiche. Eye of the Seer già preannuncia la direzione armonica dell’intero album: cori pagani, refrain spessi e un cantato raschiato che scivola senza indugi in intonazioni morbide che sanno di drappi in velluto verde. Heathen Vengeance sprona, pungola, aizza. Flag of Decline è la canzone con la quale ho aperto questa recensione, con gli occhi gonfi di neve oltre il finestrino freddo del treno: l’intro malinconico e riflessivo è sapientemente reso dalle chitarre acustiche che ci spingono nella nostra intimità. I versi di Warlord hanno l’animo più pagano dell’intera release. È questa la cavalcata di cui parlavo prima: le chitarre sembrano api che si affaticano. È vero, magari la tematica ritmica principale non è nulla di inatteso o rivoluzionario. Forse ci appare anche già sentita. Non lo so. Ma ammettiamolo, non ci interessa: questa lirica è perfetta così, prendi, ficca in tasca e porta a casa. Bastards forward è vigorosa e veloce (e quanto ci piacciono quei cambi di tempo che sembrano uscire dal sottosuolo); Schwertgenossen sposa tesi pesanti a parti melodiose. In Oblivion ci troviamo impantanati in un coinvolgimento lento, angosciante. I riff sono gravosi e mesti, il cantato pulito sfoga tutte le inquietudini in un crescendo ferino e avvelenato. L’impetuoso Bastion Felsenheim lavora su parti incalzanti e taglienti grugniti. La strumentale Portrait – per quel poco che possa interessare è la mia preferita – presenta una sezione atmosferica molto più valida di qualunque lettino da psicologo. E non c’è altro da aggiungere, siamo costretti a fare i conti con la nostra coscienza. Ed infine Nemesis, che chiude quest’album lodevole lasciandoci un retrogusto di battaglie eroiche: un sound efficace esaltato da un vocalism tanto tormentato quanto levigato nel motivo centrale.
Credetemi, non so come chiudere questa recensione. Non ho mai “trattato” il pagan black metal e sono onesta nel dirvi che ero partita prevenuta. E ora? Ora mi ritrovo spiazzata. Questo lavoro mi piace. E tanto. Mi ha stupita. Mi ha emozionata. Mi ha turbata. Mi ha colpita. Come scrivevo in apertura, mi ha trascinata con delicatezza nel ginepraio nascosto della mia irrazionalità. È tremendamente evocativo. Il che nulla toglie alla sua pienezza qualitativa. E rimango senza parole da aggiungere.
Là dove si arresta il potere delle parole, comincia la musica.
(E Eye of the Seer ricominciò a suonare, mentre la neve continuava a cadere oltre il finestrino del treno).
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6
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@Pagan Ahahahahahahahah |
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5
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1) "Sono in treno..."; 2) "Spolvero via dagli occhi la neve..."; 3) "...ricominciò a suonare, mentre la neve continuava a cadere oltre il finestrino del treno." :vabhè che i treni di Trenitalia son conciati maluccio ma cazzo, qui si esagera! |
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4
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Riascoltato per bene, si hai ragione, si vede che ero distratto e mi son perso tutto...un 7,5 è più che giusto. |
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3
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bell'album vario e ricco d'influenze interessanti (molto primordial a tratti), ottima recensione. Voto: 78 |
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2
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"Mi rendo conto di spodestare “qualcuno” recensendo quest’album pagan metal, chiedo venia e spero di poterne comunque essere all’altezza." Mah, spodestare nessuno, sono uno fra tanti, bella rece! |
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1
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Devo ancora ascoltarlo bene, però al primo ascolto non mi è sembrato granchè, riascolterò sicuramente... |
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INFORMAZIONI |
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Einheit Produktionen Masterpiece
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Tracklist
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1. Eye of the Seer 2. Heathen Vengeance 3. Flag of Decline 4. Warlord 5. Bastards Forward 6. Schwertgenossen 7. In Oblivion 8. Bastion Felsenheim 9. Portrait 10. Nemesis
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Line Up
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Ecthelion – vocals Count Damien Nightsky – guitar, vocals Acardius – guitar Adversarius – synth, vocals Shardik - drums
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RECENSIONI |
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