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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Seventh Wonder - The Great Escape
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( 6071 letture )
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I Seventh Wonder magari non possono essere considerati proprio la settima meraviglia del mondo, però certamente finora ci hanno abituati bene, avendo realizzato una serie di dischi interessanti, per cui il loro ultimo lavoro, The Great Escape, era di certo uno degli album più attesi di quest'anno, almeno in ambito metal prog. Se la mettiamo sotto questo profilo, possiamo dire che, in effetti, forse, l'album spiazza leggermente rispetto a quelle che potevano essere le aspettative iniziali.
Diciamo, innanzitutto, che nel disco in questione si possono individuare due parti alquanto distinte: sei tracce, infatti, sono del tutto autonome e slegate tra di loro, mentre l'ultima, la title-track, è un unico brano della durata di oltre mezz'ora. In linea generale, lo stile della band accoglie diversi elementi tipici di acts quali Dream Theater, Symphony X, Shadow Gallery, Pain of Salvation, uniti a sonorità classiche dal gusto tipicamente scandinavo, con rimandi che spaziano dagli Europe fino al metal neoclassico d'impronta malmsteeniana; nel complesso, rispetto al precedente album, il sound sembra ridare maggiore evidenza alle chitarre, pur rimanendo centralissimo il ruolo delle tastiere nonchè della splendida voce di Tommy Karevik, in grado di svettare altissima o di incantare con suadenti melodie, ricordando peraltro in certi passaggi un po' un Daniel Gildenlow vecchia maniera. La prima metà dell'album evidenzia già queste caratteristiche con brani brillanti e dalle splendide melodie: forti ad esempio i richiami ad atmosfere care ai Symphony X nell'opener Wiseman, mentre su Alley Cat vengono accentuate maggiormente le influenze del metal scandinavo o del power/prog sinfonico alla maniera dei Royal Hunt. Molto incentrata sul refrain anche la raffinata The Angelmaker, che presenta pure gustosi passaggi strumentali, così come la successiva King of the Whitewater, un brano peraltro ricco di spunti progressivi e dotato di belle orchestrazioni, persino con inserti di violino, affidati ad Arto Järvelä. Long way home è invece praticamente una sorta di ballata, sempre con un ritornello molto melodico e si caratterizza per la presenza anche di voci femminili, nello specifico interpretate da Jenny Karevik che duetta con il singer della band Tommy, con risultati di grande effetto. Move on through presenta un tema iniziale che ricorda parecchio i Dream Theater (in particolare sembrerebbe quasi citare Metropolis), ma poi una volta che parte il cantato se ne discosta ritornando su sonorità più tipiche dei Seventh Wonder.
Fino a questo punto dell'album, la band ha dimostrato di sapersi muovere bene realizzando brani molto melodici, raffinati, apprezzabili sin dai primissimi ascolti, senza essere neppure particolarmente complessi. Arriviamo dunque alla title-track e il discorso un po' cambia, tanto che potremmo definirla allo stesso tempo croce e delizia del lavoro in questione. La storia è ispirata ad Aniara, un poema fantascientifico del 1956, un autentico capolavoro realizzato dallo scrittore svedese Harry Martinson (insignito anche del prestigioso premio Nobel), che racconta di un'astronave con a bordo ottomila passeggeri diretti verso Marte, con l'intento di fuggire da un pianeta Terra ormai prossimo alla distruzione, che a causa però di un incidente di percorso finiranno irrimediabilmente alla deriva nello spazio. La storia approfondisce quindi tutto quello che succederà poi all'interno dell'astronave, tra la disperazione e le timide speranze dei passeggeri, diventati ormai degli autentici naufraghi dello spazio. I Seventh Wonder, come detto, affrontano questo argomento così affascinante sviluppandolo lungo un'unica traccia della durata di oltre mezz'ora: un'opera di certo imponente e coraggiosa, per la quale la band merita senz'altro un plauso per la capacità di ricostruire atmosfere e sensazioni che rimandano al contesto di riferimento, ma riuscendo altresì a trascendere da questo, finendo per far assumere a tali suggestioni un carattere universale, in un contesto emotivo più ampio, che possa andare a toccare argomenti affini alla comune sensibilità. Il problema è che forse la band si lascia troppo prendere dalla trama di riferimento, tanto che i motivi di unitarietà sembrerebbero essere dati più dall'aspetto narrativo che non da quello prettamente musicale, con il risultato che, alla lunga, le diverse parti del brano appaiono in certi passaggi un po' slegate, quasi si trattasse di canzoni diverse cucite insieme: in tal senso, potrebbe persino sorgere il sospetto che, inizialmente, la band avesse pensato di costruirci su un concept-album (ed in effetti le tematiche narrate potevano meritare uno sviluppo di questo tipo), preferendo poi concentrare tutto in un'unica suite, sia pure di ampio respiro, lasciando spazio nella tracklist anche ad altre canzoni. Ad ogni modo, The Great Escape si apre con una parte interpretata solo da voce e chitarra acustica, che cede il passo poi a belle orchestrazioni e, a seguire, a passaggi strumentali che si protraggono fin oltre il quinto minuto: dopodichè, i Seventh Wonder danno il meglio di tutto il loro repertorio, intercalando diversi temi tra splendide melodie, deliziosi assoli, emozionanti performance vocali e tecnica sopraffina. Nell'insieme, The Great Escape resta però un brano molto complesso che richiede tantissimi ascolti per poter essere appieno apprezzato: un'opera di un certo livello, ma con qualche limite dovuto, come sopra precisato, ad una non ottimale compenetrazione tra le diverse parti che la compongono, che non può essere ottenuta ovviamente con il semplice richiamo all'arpeggio iniziale, presente alla fine del brano. Insomma, The Great Escape è una traccia monumentale, di grande spessore, che però non assurge ad autentico capolavoro e che finisce per appesantire un disco che, per la sua prima metà, si muove invece tra brani dalla struttura snella e dalle melodie accattivanti.
Una doppia anima dunque per questo lavoro dei Seventh Wonder, forse una sorta di compromesso, che proprio perchè tale, non consente di far compiere alla band un significativo passo in avanti nel proprio percorso artistico. L'album, però, anche così, è tutt'altro che disprezzabile e testimonia comunque una certa crescita della band che, anzichè cercare la via più facile, ha dimostrato di volersi sforzare nel tentativo di realizzare qualcosa d'importante: stavolta il capolavoro non c'è stato, ma non ci stupiremmo, a questo punto, se saltasse fuori la prossima volta.
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15
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Non siamo ai livelli di eccellenza di Mercy Falls ma ci andiamo abbastanza vicino, Alley Cat è magnifica, uno dei migliori pezzi prog metal che abbia mai sentito, con rifiniture hard rock. AOR e neoclassiche |
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14
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Album carino, voce bella ma strumentale che trovo piatto e scialbo. Le prime volte amavo questo album, specialmente la title track, ma ora ad ascoltarlo provo solo noia. Voto 70 |
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13
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Il disco migliore dei SW....La title track,splendida suite di grande classe. |
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12
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Disco che ho riascoltato in questi giorni. Bellissimo, per me almeno 80, karevik un mostro per bravura e per bellezza di timbro .
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11
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Album maestoso, potente, melodico, compatto e complesso. La band mi fa impazzire e penso che Mercy Falls sia un capolavoro insuperabile, ma questo disco ha tutto quello che si può volere da una band prog metal dalle tinte melodiche con un cantante tra i migliori in circolazione e degli strumentisti incredibili. La sola suite titletrack vale decine di dischi di altri gruppi, ma qui troviamo anche la bellezza di Long Way Home (la voce di Jenny, sorella di Tommy, è sempre emozionante) e via le altre, ma su tutte sottolineo la "catchy" Alley Cat (difficilissima) e The Angelmaker che mi colpiscono sempre. band che dovrebbe avere maggiore fama, grazie anche a quel mostro di bravura di Karevik |
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10
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Secondo me l'album è ottimo, sebbene alcuni aspetti ne limitino un pò l'efficacia è davvero piacevole da ascoltare. Voto 78 |
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9
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L'unica pecca è la title track che non riesco ad ascoltare in quanto troppo lunga. |
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7
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Buona recensione, sinceramente trovo questo gruppo sopravvalutato. Tecnicamente perfetti, peccato per la voce anonima del singer, che canta in maniera a dir poco piatta. I ritornelli di alcune canzoni sono a dir poco ridicoli e imbarazzanti, manco si fossero ispirati a Britney Spears. |
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6
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come giustamente dice Holydriver ottimo album nelle prime sei tracce. Per la settima la band merita un complimento per quanto riguarda il tentativo ma le tracce da mezz'ora lasciamole fare a qualcun altro (DT...) |
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5
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Personalmente lo reputo un grande album! Ottimamente suonato ( ma su questo non avevo grandi dubbi) e soprattuto in grado di emozionare. La parte iniziale, per sola chitarra e voce, della song "The Great Escape" è da appalusi, "Aleey Ca"t è davvero ottima al pari dell'opener "Wiseman", ma più in generale non ho avvertito cadute di tono.... Imho è un lavoro davvero consigliatissimo. |
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4
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Mamma mia che stitichezza!!!! 75!!! Per me merita un bel 85!!! Voce meravigliosa, tecnica adeguata (non segaiola) e soprattutto tanta tanta melodia che ti entra dentro e ti emoziona. A mio avviso è superiore al precedente lavoro perché risulta essere più personale. |
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3
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Non so ancora dirvi se sia superiore a 'Mercy Falls' o meno, pero' l'album si lascia ascoltare favvero bene.... e poi sto a Barcellona, non c'entra un kaiser, ma dovevo dirvelo!!!!  |
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2
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Discone, tra i top album progressive del 2010!! |
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1
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Di Mercy Falls mi sono innamorato! Presto mi procurerò anche questo... Speriamo che il livello sia quello... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Wiseman 2. Alley Cat 3. The Angelmaker 4. King of Whitewater 5. Long Way Home 6. Move on Through 7. The Great Escape
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Line Up
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Andreas Blomqvist (bass) Johan Liefvendahl (guitar) Tommy Karevik (vocals) Andreas Söderin (keyboards) Johnny Sandin (drums) Guest:Jenny Karevik (additional vocals) Johan Larsson (additional vocals) Arto Järvelä (violin) Link e Contatti:Seventh Wonder @MySpace
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