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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Tides from Nebula - Earthshine
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( 3418 letture )
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Si è detto tanto, perfino sulle pagine virtuali di Metallized, del difficile compito del post-rock, che consiste in una continua ricerca del rinnovamento e dei modi per rispolverarsi. I fattori sono tanti: dall'esplosione del genere in sé - ormai in auge da 7-8 anni, dalle reunion dei gruppi storici (Slint, Swans, ecc...), al lancio al grande pubblico delle medie realtà che uscivano dall'underground proprio in quegli anni (Mogwai, Mono, Explosions in the Sky, ecc...), fino ad arrivare all'accorpamento di questo genere all'interno di molti altri stili musicali (dal post-metal alla Isis e Neurosis, ai lidi d'oro delle sperimentazioni black metal o sludge/drone). Compito ancora più arduo è per tutte quelle formazioni che intendono intraprendere la strada della strumentalità totale, senza l'uso del cantato (atteggiamento ostico ma molto utilizzato in questi frangenti). Bisogna dire però (tanto per salvare sulla carta un buon 90% dei gruppi che intendono percorrere questa strada) che tutti coloro che si approcciano al post-rock lo fanno con un certo tipo di strumentazione, una notevole quantità di effetti e una produzione ben mirata... insomma, visto che si suona un tipo di musica - di solito prolissa e stratificata -, lo si fa con una buona dose di varietà e di delicatezza stilistica.
Ci provano (o meglio ci riprovano) i polacchi Tides from Nebula - con un monicker e un artwork che strizza molto l'occhio ai più famosi Gift from Enola - attivi con un debut nel 2009 e freschi freschi di questo Earthshine sotto la connazionale Mystic Production (etichetta nota ai più maniaci collezionisti di tapes degli anni '90 - la label in questione si è fatta carico di distribuire in est Europa la maggior parte del black e del gothic metal scandinavo su supporto a nastro). La proposta musicale però è nettamente diversa, sia dal normale catalogo Mystic, sia dalla band americana sovracitata. I leggeri pianoforti ed i delay di chitarra trasportano lentamente l'ascoltatore verso il proseguire di These Days, Glory Days; Tomasz picchietta gentilmente e continuamente il rullante mentre gli strati delle sei corde descrivono un nostalgico ma fresco tempo ormai perduto. I piccoli spezzoni disseminati durante le tracce aiutano notevolmente l'ascoltatore ad assimilare il disco, anche se la formula proposta non è affatto delle più nuove. The Fall of Leviathan si caratterizza per il veloce susseguirsi delle corde più basse delle chitarre, costantemente rincorse dal delay (che sarà l'effetto preferito in questo album, anche e soprattutto per quanto riguarda le note più alte e semi-acustiche); arriva il classico climax, le chitarre si fanno un po' più distorte e ricordando quei Gift from Enola che ci avevano regalato il meraviglioso From Fathoms. I nostri polacchi optano però per la saggia scelta di piazzare due-tre mini-brani da 3 minuti scarsi, e di differente fattura, tanto per spezzare e rinfrescare l'ascolto. Waiting from the World to Turn Back è un bellissimo interludio di solo pianoforte, mentre Hypothermia è costruita su synth vagamenti acquatici e ventilati. Le atmosfere malinconiche, nuovamente sorrette dai synth di Caravans, si trasformano in un movimentato pezzo post-metal che potrebbe anche stonare (leggermente) se confrontato con il resto del disco e che invece, grazie alla "regola della variazione" sopradescritta, ben si sposa nel contesto. Sono tanti i gruppi chiamati in causa: dai nostrani Giardini di Mirò (questo Earthshine sembra uscire da un b-side di Rise and Fall of Academic Drifting), ai Mono, fino a sfiorare perfino i contemporanei Anathema (soprattutto per quanto riguarda l'uso del pianoforte in rapporto al resto della strumentazione). White Gardens e Siberia non si cimentano in particolari cambi di rotta e proseguono perfettamente il corso imboccato dai precedenti brani. Siberia, in particolare, si anima (per poco) di quelle sonorità più estreme e tirate, capeggiate come sempre dai trilli acuti e riverberanti della chitarra, e fra le folate del vento il brano se ne va in un gentile fade-out per lasciar spazio alla conclusiva Cemetery of Frozen Ships;questa chiude il disco con una mole ingente di sintetizzatori e pianoforte, accantonando le chitarre e alleggerendo notevolmente la batteria.
Insomma, il disco è suonato veramente in modo impeccabile; la scelta degli effetti è curata e mirata però, ancora una volta, scontata e prevedibile. Dubito perfino che chi ama alla follia questo genere possa sentirsi oltremodo interessato ad un disco come questo, dopo oltre 10 anni di probabili ascolti analoghi. La forma è praticamente perfetta, di sostanza se ne vede però un po' poca, forse perché sommersa dalla scelta strumentale dell'eseguito e da un certo "vecchiume" per quanto concerne lo stile proposto. Chissà se, in futuro - provando ad inserire qualche strofa cantata - non ne possa uscire qualcosa di migliore?
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2
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wow, speravo che qualcuno rispondesse... ovviamente non mi è mai capitato di vederli dal vivo, ma immagino che sia esattamente come dici te. Se i volumi sonno dosati perfettamente mi immagino delle grandi cose sulle parti di climax... |
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1
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Condivido la recensione, ma dal vivo sono straordinari e surclassano tutti i gruppi citati come influenze... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. These Days, Glory Days 2. The Fall of Leviathan 3. Waiting for the World to Turn Back 4. Caravans 5. White Gardens 6. Hypothermia 7. Siberia 8. Cemetery of Frozen Ships
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Line Up
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Adam Waleszyński - guitar Maciej Karbowski - guitar Przemysław Węgłowski - bass Tomasz "Stołek" Stołowski - drums
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