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Eric Clapton - Eric Clapton
( 6283 letture )
Eric Clapton è un album felicemente a cavallo tra gli stili, che rivendica le sue radici musicali per creare una traccia, un solco che indichi una direzione nuova in grado di ribellarsi alle etichette e vincere il tempo, pensato dall'uomo che lasciò gli Yardbirds (rimpiazzato da un certo Jimmy Page) intimorito dalle insidie di un suono troppo piatto, e troppo pop. Il talentuoso bluesman inglese, all'anagrafe Eric Patrick Clapton, amplia dunque i suoi orizzonti senza rinnegare, ma arricchendo l'esperienza accumulata con contributi eclettici che lambiscono country e gospel (Bottle of Red Wine), quasi a voler superare la connotazione prettamente blues/rock che lo aveva contraddistinto, e forse limitato, negli anni sessanta. L'album fu registrato nel periodo in cui Clapton suonava con Delaney & Bonnie Bramlett And Friends: stanco del ruolo da superstar, i coniugi Bramlett gli offrirono la possibilità di potersi esprimere in un ruolo di secondo piano -da mediano diremmo- e lo incoraggiarono come cantante e come compositore, aiutandolo ad uscire dai confini sempre più stretti del ruolo di semplice, benché talentuoso, musicista: in pratica gli assicurarono un grande supporto per la registrazione del disco, scrivendo insieme a lui la maggior parte del materiale e fornendo i musicisti per le registrazioni.

Con l'opera omonima, Clapton compie quindi un brusco cambio di direzione rispetto ai lavori dei suoi ultimi cinque anni, che lo avevano visto spesso alle prese con lunghissimi assoli di ortodossa matrice jazz e blues: ispirato da Beatles, The Band e dalle nuove collaborazioni instaurate all'interno del circuito R&B, Eric Clapton -il CD- apre le danze con il sax di Bobby Keys e si presenta con il brio trascinante e classico tipico della musica d'ensemble: fiati, pianoforte e basso ben scandito sono equamente ripartiti in una stereofonia spinta e figlia del tempo, ad alimentare -divertiti e complici- l'attesa per il primo assolo. La tecnica alle sei corde prevede brevi fraseggi effettati, che sembrano incantare gli altri musicisti, autori di una base blues continuamente riproposta per permettere all'inglese di plasmare una soluzione sempre nuova ed arricchita dello spunto rock iniziale. Lo stile del chitarrista di Ripley, figlio di una sedicenne (che credeva sua sorella) ed allevato dai nonni (che credeva suoi genitori), si affida per la prima volta all'utilizzo di una Fender Stratocaster; il suono acuto, affilato e percussivo sembra porsi in volontario contrasto con le tonalità grasse, oscure e musicali tipiche del suono Gibson che Clapton aveva proposto con John Mayall, Cream e Blind Faith. Sebbene i fasti di Layla dovessero ancora arrivare, la sensazione -che questo debutto solista riesce a rendere con semplicità toccante- è quella di un'esecuzione ordinata e misurata, di un'irruenza pulita, di un misto di maturità ed ingenuità che conquista, come nel "La La La" tardo adolescenziale di Lovin' You Lovin' Me. Con Bad Boy, i toni si fanno invece più soffusi: al ticchettio incalzante del pianoforte si sostituisce un organo che diventa ideale tappeto musicale per una storia che sa di abbandono, lontananza e rassegnata solitudine. Nel crescendo che porta delicatamente al ritornello, la chitarra di Clapton cesella e rifinisce, puntella e contrappunta con discrezione, inizialmente intimidita dalla presenza di fiati esuberanti. Il tutto sembra avvenire all'insegna del buon gusto e della ritrovata misura, di un anelito espressivo che cede il passo alla funzionalità ed al gioco di squadra, al punto che Eric Clapton merita di essere definito come una mezz'ora di buona musica, piuttosto che banale disco d'esordio di un artista capace. La semplicità con la quale Easy Now ci consegna una dolcezza acustica fatta solo di voce e chitarre è emblema di un disco sincero e diretto, vero e maturo, al quale basta una melodia dolce, interpretata con passione, per veicolare il proprio messaggio. Il segreto dell'album sta proprio nell'universalità umana del suo approccio, nel radicarsi in generi avulsi dalle mode e dalle contingenze, coraggiosamente fuori dal tempo ma interpretati da un venticinquenne con una sensibilità che va ben oltre il dato anagrafico. Lo spettro ampio delle soluzioni stilistiche, che attraversano anni di cultura musicale rock/pop più americana che inglese, più Easy Now che Lonesome And a Long Way from Home, denota la capacità di fornire un apporto pertinente e musicale qualsiasi sia il genere affrontato. Ed è proprio grazie a questa varietà di ritmi, tempi ed atmosfere, al susseguirsi degli stati d'animo suggeriti dalle note, unito ad una relativa brevità dei brani, che si realizza una perfetta sintesi capace di dire tutto in poco spazio, senza sacrificare nulla. Affrancato da ogni genere di orpello, gustoso eppure light, Eric Clapton si presenta a distanza di oltre quaranta anni come un ascolto straordinariamente dinamico, dal suono caldo e vellutato, con una produzione bilanciata nei suoni e coerente con uno sforzo, lo abbiamo detto, che appare corale tanto nella resa finale quanto nella lunga lista dei musicisti coinvolti.

L'amalgama ragionato di tecniche e culture fa in modo che le tracce non siano mai sbilanciate in un senso o nell'altro, affossate da un testo o trascinate con forza innaturale da un ritmo veloce: il gusto col quale si attinge ai venti anni di musica precedente è il segreto che permette alla genialità di Clapton di proporre un'emozione intensa ed allo stesso tempo lieve, plasmando un'energia soffusa che sembra un ossimoro impossibile, ma che ben si presta ad un ascolto personalizzato, alla doppia chiave di lettura, all'interiorizzazione che ci fa sentire importanti perché a noi è lasciata la scelta di come ascoltare. Tra gli episodi più riusciti vogliamo infine citare After Midnight, che appare, più di ogni altra, canzone diretta: in un crescendo continuo, la mobilità del basso di Carl Radle (protagonista anche nella conclusiva ed effervescente Let It Rain) e la chitarra di Clapton sembrano trovare una chimica speciale e perfetta, che rende il brano orecchiabile, trascinante, di una essenzialità che affascina per la tecnica esibita ed un ritornello ripetuto che in pochi secondi convince, invogliando a seguirlo e cantarlo. La canzone, scritta dallo sconosciuto musicista americano J.J. Cale, fu il primo singolo di successo del Clapton solista, raggiungendo la posizione numero diciotto nelle classifiche (la numero uno sarebbe arrivata cinque anni più tardi con un'altra cover, I Shot the Sheriff) e ricoprendo lo stesso Cale di un'improvvisa ed insperata fortuna. Anche nella felice curiosità dell'aneddoto, Eric Clapton si conferma un disco brillante e democratico, dai suoni avvolgenti e diretti, portatore di un'orizzontalità umana che coinvolge l'ascoltatore di oggi, come quello di allora.

"Questo album non è per nulla come avrebbe dovuto essere", dice Eric Clapton, "è meglio di come ce lo saremmo aspettato perchè, in un certo senso, ho lasciato che succedesse. E' un'eclettica collezione di canzoni come non erano state programmate - e mi piace così tanto perché è stata una sorpresa per i fan, proprio come lo è stata anche per me".



VOTO RECENSORE
84
VOTO LETTORI
69.45 su 53 voti [ VOTA]
Philosopher3185
Lunedì 31 Gennaio 2022, 23.57.31
8
Ottimo album,molto vario ma con sempre lo spettro del blues..dopotutto,clapton insieme a jhonny winter e steve ray vaughan,fa parte dei pochissimi bianchi che suonano il blues come in nero del sud
fabio II
Venerdì 4 Novembre 2011, 12.10.58
7
PcKid la tua è una grande recensione, appassionata e assolutamente esente da lacune; e questo è quanto basta. Quello che io e Jimi abbiamo scritto è una nostra visione, non certo una tua mancanza. Poi sai, procedo secondo metodo scientifico ( l'ancora di salvezza per l'umanità, perchè non ha un ego ); e il suddetto metodo ha sentenziato già da tanto tempo che NOI siamo UNO. ( quante canzoni ci sono con questo contenuto? potrei arrivare a fondo pagina! ) Onorato di poter parlare con te PcKid PS: Jimi la musica come musa incantatrice! in troppi dimenticano che siamo fatti di etere più che di carne
Jimi The Ghost
Venerdì 4 Novembre 2011, 11.44.30
6
@fabio II: il bello di internet e delle zine e che ti da l'opportunità di venire a contatto con persone con una elevata cultura, e tu ne sai, anche perché siamo sulla stessa linea musicale. @PcKid: tu ne sai a pacchi e di più, e grazie a queste tue recensioni che si può aprire un dibattito aperto e libero per approfondimenti costruite su passioni. Ciao ragazzi e buona musica! Jimi TG
PcKid
Venerdì 4 Novembre 2011, 11.35.56
5
Ringrazio entrambi per il preziosissimo contributo che avete offerto, con i vostri commenti, alla recensione: essi ne formano una parte integrante, colmando le mie lacune ed arricchendo il testo di notazioni storiche e stilistiche che, lo riconosco con umiltà, vanno oltre le mie attuali conoscenze. Grazie ragazzi!
fabio II
Venerdì 4 Novembre 2011, 10.31.42
4
Buongiorno grande Jimi, anche a me non piace tutto di Tom Waits, ma l'ultimo è veramente uno degli eventi dell'anno ( ci sono anche influenze metal !). Per quello che riguarda il buon Eric qui in questione, ovvimente il mio primo commento non era di certo un tentativo di diminuire il suo valore; ma quanto di rivalutare miei personali idoli ( Rory e Alvin! ). D'altronde è ovvio che i '70 sono il punto nodale di tutto il rock-rama, anche odierno, e non avendo vissuto direttamente gli eventi ( seguo musica dal '79 ) è facile subire una fascinazione totale del periodo e questo non mi è mai andato giù. Un pò come dire che i ragazzi di oggi rivalutano qualsiasi cosa degli anni '80. Ovvio che solo vivere le situazioni sulla pelle, se davvero ami una cosa, ti porta ad uno stadio di comprensione superiore; altrimenti avrai soltanto un'appiattimento storico e per interposta persona, per giunta; un pò come dire che se conosci la Canterbury School finirai inevitabilmente per vedere in un'ottica diversa i Jethro Tull. Insomma aborro i miti, amo la comprensione. Ciao Jimi!!
Jimi The Ghost
Giovedì 3 Novembre 2011, 17.53.35
3
@fabio II: quando ti ci metti....anche tu non scherzi. Ancora una bella ed interessante riflessione! Si, è vero su Clapton, comunque ha un tocco sulle corde che nessuno ha, con un sound praticamente tutto suo, pur non piacendo a molti. Sono molto legato a Tom Waits anche per il suo "stile" di vita e la sua filosofia di intendere la musica se pur obiettivamente molto lontano da me. Ancora oggi quando non riesco a dormire, di notte, suono e canto "The Heart Of Saturday Night"...Ciao fabio II
fabio II
Giovedì 3 Novembre 2011, 17.40.35
2
Al grande e azzeccato, come al solito, commento di Jimi, aggiungo il mio che non è favorevolissimo allo stile di Clapton. Premetto che non conosco l'album in questione; d'altronde non amavo particolarmente neanche i Cream ( per quello che mi riguarda Ten Years After, Taste e Savoy Brown nettamente superiori, tra i nomi della seconda blues invasion britannica ). La mia tesi è rafforzata anche da un gruppo seminale come gli Yardbirds, dove il buon Eric, al cospetto di Page ( subito suonava il basso ) e Beck, nè usciva con le ossa rotte. Non so se era solo questione di evoluzione all'interno del gruppo; certo che con Clapton la band riproponeva standard classici del blues; con i due chitarristi successivi resero il suono così urbano che gli stessi Aerosmith riconobbero in quel songwriting il loro patrimonio genetico. Benineteso, Clapton mi piace, ma c'erano nomi più meritevoli da tramandare, come sempre è successo nella storia del rock PS: Jimi, rimanendo sul blues rock, confido in te in una rece del nuovo Tom Waits ( magari in Low G: ): bellissimo!
Jimi The Ghost
Lunedì 24 Ottobre 2011, 21.01.16
1
Bella, ancora una bella recensione di Marco su di un bel disco da assaporare, ma con un retrogusto. Nato dalle molteplici incertezze ed influenze presenti da molto lontano passando dai post Cream e poi con i Delaney & Bonnie, e qui fa proprio fatica Eric Clapton a venir fuori negli assoli, ma agevolmente ci riesce. Povero Clapton, una carriera contornata da stelle e talenti intorno alla sua figura di chitarrista. Nello stesso anno di pubblicazione di questo LP, appunto nel 1970, da un lato Jimi Hendrix pubblicava il suo ultimo lavoro live ancora in vita con la “Band of Gypsys”, I Black Sabbath avevano appena pubblicato il loro storico album "Paranoid" ed il mondo iniziava a conoscere l’heavy metal congiuntamente al disco dei Deep Purple “In Rock” e dei Led Zeppelin “III”…mese prima mese dopo. Quindi gran bel lavoro di Eric Clapton, in un periodo molto, ma molto fitto di storia e rapide variazioni stilistiche nel mondo della musica. Solo lui però viene ricordato nel 1970 per aver assemblato da tre distinte e diverse chitarre Fender® Stratocaster®, costruite tra il 1956 e il 1957 ed acquistate presso il negozio di chitarre Sho-Bud di Nashville nel Tennessee, la sua "Blackie®". La sua intima parte migliore di se, dalla quale nasce e proviene il suono unico di Clapton che nessuno riuscirà mai a riprodurre. Dal 2006 la ditta costruisce la “Blackie®” sotto il nome di Fender® Custom Shop®. La chitarra è un magnifico libro di legno e corde poiché riesce a raccontarci sempre quella parte della musica che vogliamo ascoltare. Almeno così lo è per me. Jimi TG
INFORMAZIONI
1970
Polydor
Rock
Tracklist
1. Slunky
2. Bad Boy
3. Lonesome And a Long Way from Home
4. After Midnight
5. Easy Now
6. Blues Power
7. Bottle of Red Wine
8. Lovin' You Lovin' Me
9. Told You for the Last Time
10. Don't Know Why
11. Let It Rain
Line Up
Bonnie Bramlett (Voce)
Rita Coolidge (Voce)
Sonny Curtis (Voce)
Jerry Allison (Voce)
Stephen Stills (Voce)
Eric Clapton (Chitarra, Voce)
Delaney Bramlett (Chitarra ritmica, Voce)
Bobby Whitlock (Organo, Voce)
Leon Russell (Pianoforte)
John Simon (Pianoforte)
Jim Price (Tromba)
Bobby Keys (Sassofono)
Carl Radle (Basso)
Jim Gordon (Batteria)
Tex Johnson (Percussioni)
 
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