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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Infernal Legion - The Spear of Longinus
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( 2535 letture )
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Sei anni di inattività o di assenza dallo studio di registrazione possono essere tanti, possono essere pochi, possono essere la giusta pausa di riflessione prima di partorire un album convincente, oppure addirittura un capolavoro. Sei anni nei quali gli Infernal Legion, allegro combo statunitense che predica urbi et orbi la sua incrollabile fedeltà alla divinità del death metal, non hanno evidentemente messo a frutto a dovere.
Già il precedente lavoro, il dimenticato e dimenticabile Your Payers mean Nothing aveva aperto falle catastrofiche anche nel cuore del più oltranzista dei die-hard fan. Il successivo The Spear of Longinus ha il merito di demolire ulteriormente la fiducia verso questi alfieri del blast beat. Vi sono certo episodi passabili, soprattutto nelle battute finali, ma l’impressione generale è desolante. Composizione scarne, ripetitive, dove la scarnificazione di tutti gli orpelli non necessari lascia aleggiare un ragionevole dubbio: scelta ponderata o limite tecnico? E ancora, growl in stile brutal, decisamente poco fantasioso, monocorde, soffocato nel timbro, issato su impalcature ritmiche e progressioni dai connotati scarsamente originali, impersonate da riff anonimi quando non banali, nemmeno sostenute dal pulsare di un basso sommerso da una produzione discreta, ma non di livello eclatante come ci si potrebbe attendere, essendo il disco visibilmente debole a livello di contenuti (almeno orniamolo di una buona resa in cuffia!). Difetta anche la maturità artistica, imprescindibile in una band al terzo full lenght: piazzare, nonostante siano le tracce meglio rifinite a mio parere, nelle ultime posizioni due mattoni da sette e sei minuti rispettivamente, significa torturare un ascoltatore già allo stremo delle energie, rovinando le uniche sufficienze piene mietute dall’album. Non mi sento di approfondire un’analisi track by track, non sarebbe questo il caso in cui è necessario narrare capitolo per capitolo. La preparazione tecnica è di livello appena accettabile: mancano assoli, incisività dietro alle pelli, idee, colpi di scena. Tutto si conforma ad un’imperante mediocrità, che trascina per inerzia il gruppo ad una valutazione non gravemente deficitaria, ma comunque distante dalla fine del tunnel. Il materiale umano, senza calcare la mano, dimostra a tratti qualche potenzialità, da coltivare: perché, durante i sei anni di allontanamento dalle scene non hanno affinato quest’ultime? Nessuno è qui per bocciare o per respingere, però dinnanzi ad un’essenza musicale evanescente non si può fare altrimenti.
Nemmeno grazie ad un ascolto ripetuto e prolungato si riesce a trovare spunti che sollecitino la volontà a riporre il prodotto nel lettore. Anzi, potrebbe capitare la pulsione opposta, ossia dimenticarsi totalmente di questa uscita. E dispiace, in quanto la devozione, la passione della band di Lakewood è autentica, sincera, unita ad atmosfere occulte sovente discrete. Però di intenzioni non si sopravvive, bisogna avere in mano fatti concreti. Insufficienza piena.
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..non per rompere le palle..lungi da me..e poi giustamente i gusti son gusti..ma ascolto l'album e leggo la recensione e sinceramente mi sembra che si sia scritto di un altro album! Ok non inventano assolutamente nulla ma quello che fanno è fatto bene..ben assemblato! D'accordo solo sulle vocals che potevano essere più incisive! Un 75 glielo voto! |
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..non per rompere le palle..lungi da me..e poi giustamente i gusti son gusti..ma ascolto l'album e leggo la recensione e sinceramente mi sembra che si sia scritto di un altro album! Ok non inventano assolutamente nulla ma quello che fanno è fatto bene..ben assemblato! D'accordo solo sulle vocals che potevano essere più incisive! Un 75 glielo voto! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Reborn Through Bloodshed 2. Wallowing in Your Own Faith 3. Disregard for the Afterlife 4. The Immaculate Deception 5. Dawn of the Last Day 6. Black Blood 7. VInland Valor 8. Volcanic Winter 9. Wave of Purification
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Line Up
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Joshua Dombeck: bass Justin Thomas: drum Doug Stern: guitar Eric Armstrong: guitar Josh Smith: vocals
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RECENSIONI |
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