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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 6088 letture )
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La classe dei Led Zeppelin, il talento di due fratelli e la dura legge del music business. Ecco, in estrema e beffarda sintesi, la storia degli Ashbury e del loro Endless Skies: mentre la puntina si solleva idealmente dal disco, scopriamo di aver fatto una piacevole scoperta, di aver vissuto un ascolto elettrizzante che ci ha fatto viaggiare nel tempo e di aver compiuto un cammino che questa recensione vuole condividere. E' il 1978, l'anno di Aldo Moro, di Garfield e di Giovanni Paolo II, e siamo al sole degli Stati Uniti. In un momento nel quale molti night-club modificano la propria programmazione sacrificando i concerti dal vivo per convertirsi al verbo dilagante della disco-music, a Tucson, Arizona, il chitarrista Randy Davis lascia i Rigid Spur per creare, insieme al fratello Rob, gli Ashbury, nome che vuole essere un omaggio al quartiere di San Francisco al centro del movimento hippie negli anni sessanta. Trasformatisi nel giro di qualche tempo da semplice duo a band al completo, gli Ashbury intraprendono una fitta attività live (con concerti particolarmente spettacolari), pubblicano un fumetto su 26 quotidiani (!) e danno alle stampe Endless Skies nel 1983, disco che ottiene un seguito di culto (il vinile è attualmente in vendita, scontato, al prezzo di 129.99 dollari) e che, grazie all'avvento di Internet, regala una seconda giovinezza ai fratelli Davis, che solo nel 2004 registreranno l'autoprodotto Something Funny Is Going On, contenente materiale inedito composto in passato. Il motivo di un così lungo silenzio viene spiegato dagli stessi Davis con la volontà di non piegarsi, all'epoca, alle numerose proposte delle major discografiche, che avrebbero voluto trasformarli in una normale band hair metal per assicurarsi che il contenuto di Endless Skies, ritenuto “pericoloso” per la sua carica dirompente ed innovativa, non venisse mai più promosso né ascoltato.
Dal profetico rintocco di campane di The Warning fino ai venti che soffiano impetuosi nella conclusiva ed epica title-track, è chiaro che gli Ashbury sono una band di sicura personalità, capace di creare un'atmosfera, di sostenere ogni tipo di racconto con un coro ben piazzato, di affrontare l'amore, le mancanze e la Verità con piglio autorevole. Cori, si diceva: la vocalità ha un ruolo centrale in Endless Skies, recuperando una tradizione cantautoriale (Jethro Tull, Yes, The Doobie Brothers, The Allman Brothers) propria del decennio precedente. Le chitarre dei fratelli Davis, che pur seguono una ritmica tipicamente hard rock, scelgono in realtà di farsi tappeto musicale, insieme alle tastiere e ad un suono di batteria felpato e rotondo, affinché l'ascolto sia caldo e piacevole, melodioso e scorrevole. Si ha quindi una sorta di contrasto, garbato, tra i liquidi suoni di allora e l'impostazione dinamica di questa musica: il basso non riposa mai sugli allori (Take Your Love Away), gli assoli di chitarra si presentano -tecnicamente notevoli- con buona frequenza, voci raddoppiate e preziosi intermezzi di chitarra classica (Twilight, Madman, Endless Skies) regalano un coinvolgimento inaspettato, anticipano il senso della scoperta, costruiscono con delicatezza una varietà nuova ed amalgamata in un sound che ricorda, al di là delle peculiarità di stile, gli Eagles o i primi Dire Straits. L'ascolto particolarmente piacevole, quasi raffinato, non deve però essere considerato sinonimo di leggerezza, superficialità o paura di osare: allo sciabordio delle onde della contemplativa Hard Fight, gli Ashbury contrappongono una capacità, in anticipo sui tempi, di descrivere atmosfere ora cupe e psichedeliche, nelle quali si innestano venature di critica sociale: Vengeance, col suo riff ricorrente, un testo infarcito di espressioni pregnanti ispirate dal lavoro di J.R.R. Tolkien ed un assolo di una spontaneità eccezionale, porta ad accostare alcune parti più epiche alla densità dei Black Sabbath, mentre Madman descrive con testi efficaci, assoli su una Gibson Les Paul Custom del 1957 ed improvvise accelerazioni tutta la disperazione di urla, potere, costrizione e controllo. Tra le caratteristiche che rendono il disco unico vi è la capacità di raccontare così tanto, e così bene, in soli trentatré minuti di esecuzione: i Davis, autarchici tuttofare della produzione, dimostrano di saper giocare con suoni, ritmi, suggestioni vocali e notevole padronanza tecnica per suggerire stati d'animo, evocare ricordi, richiamare alla mente emozioni con straordinaria semplicità, utilizzando la parola giusta al momento opportuno, spiazzando ripetutamente l'ascoltatore: graditissima, geniale ed inaspettata è ad esempio la luce virtuosistica di No Mourning, quasi a voler uscire dalle profondità atmosferiche, lambite dalla parte centrale della scaletta, con una chicca strumentale degna di un livello avanzato di Guitar Hero.
Endless Skies dispensa emozioni senza tempo con una sensibilità autoriale più britannica che americana, per la quale nemmeno il paragone iniziale con i Led Zeppelin pare affatto azzardato, con ciò dimostrando il suo valore anche all'ascoltatore che meno familiarizza con queste sonorità: non serve una conoscenza storica, una preventiva contestualizzazione o la conoscenza approfondita della biografia della “più famosa band di Tucson” per apprezzarne, a trent'anni di distanza, l'immediatezza comunicativa, il contenuto tecnico (che a detta degli stessi fratelli Davis ne rende difficile la fedele riproduzione dal vivo) e l'universalità tutta rock del messaggio. Un grande disco sa parlare all'ascoltatore di oggi con la stessa efficacia con la quale si rivolgeva al rocker di ieri: Endless Skies colpisce nel segno lungo tutta la sua durata, senza cali di tensione né riempitivi di sorta. Capolavoro di efficacia e sostanza, quindi, che merita di esser messo alla prova e riscoperto nella sua elegante accessibilità.
”We once planned to take our music to the world; it did not work out for us in the '80's, until the one day when people showed up and said: hey Ashbury, how 'bout some more?”
(2011)
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7
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Un disco che ho amato moltissimo.
Concordo col recensore quando parla di sensibilità autoriale più britannica che americana.
Sembra davvero di ascoltare alcuni passaggi dei Jethro Tull nelle vocals!
Il punto più alto, a mio avviso, è Madman, un pezzo dalla bellezza immortale che spesso metto in loop, perché adoro la progressione chitarristica e la successiva esplosione in quello splendido assolo di chitarra elettrica.
Band sfortunatissima per le varie vicissitudini ma sono davvero felice che sia stata riscoperta in tempi recenti, Internet è servito a qualcosa.
Voto lettori vergognoso, non capisco con quale criterio su 41 voti attesti quel punteggio impietoso.
Un disco semplicemente fantastico, da 95. |
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5
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capolavoro di epicità sconvolgende, direi da pelle d'oca |
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4
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Veramente stupendo comunque, è verò che sa molto poco di americano essendo molto cantautoriale |
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3
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ed hanno messo 10 o 0 per sbaglio |
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2
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Credo che il voto sia così basso perchè hanno tutti pensato che ci fosse il 100 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Warning 2. Take Your Love Away 3. Twilight 4. Vengeance 5. Madman 6. Hard Fight 7. No Mourning 8. Mystery Man 9. Endless Skies
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Line Up
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Rob Davis (Voce, chitarra) Randy Davis (Voce, chitarra, basso) Jerry Van Dielen (Tastiere) Johnny Ray (Batteria) John Watts (Percussioni)
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