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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 3911 letture )
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Finalmente qualche nome nuovo all’orizzonte. Personalmente sono sempre molto felice quando qualche novello act si mette in evidenza e perora cause che sembravano scaraventate in naftalina dal tempo e dall’indifferenza della gente che si spende solamente per i nuovi trend. Dove per gente intendo chi produce i dischi, li edita, ma anche chi ne decreta il flop o il successo, comprandoli o meno. A prescindere dal genere, è un must premiare la qualità. I Bonrud nascono dal progetto partorito dal polistrumentista Paul Bonrud e dal frontman Rick "Four Octave" Forsgren, hanno sede a Seattle, pubblicano il loro debutto eponimo alla metà degli anni 2000 assicurandosi buoni riscontri, sia in madre patria e soprattutto in Giappone, dove la song Date With Destiny raggiunge risposte encomiabili nelle classifiche. Oggi tornano con un capitolo più maturo e dal songwriting sviluppato che colpisce sin dai primi secondi di ascolto, alla produzione troviamo un genietto dei cursori come Keith Olsen, già con Fleetwood Mac, Foreigner, Ozzy Osbourne, Sammy Hagar, Rick Springfield, e lo stesso Paul che certifica il proprio suono mettendo lo zampino anche dietro la vetrata. Il disco, registrato presso i London Bridge Studio di Seattle, dove hanno lasciato linee significative, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains, vede la partecipazione di alcuni guest rilevanti alle tastiere, come Richard Baker (Santana, Saga, Gary Wright), Eric Ragno (Graham Bonnet, Fergie Frederiksen, Jeff Scott Soto), e Dave Gross. Dodici song innervate da chitarre al titanio, melodie orecchiabili ma mai preda di faciloneria a la MTV, voce graffiante e una struttura tosta e coriacea. Un lavoro del genere, fosse uscito nel periodo aureo di Dokken e White Lion, avrebbe sollevato milioni di apprezzamenti: nel 2012, spazio di tempo in cui non esiste un genere mainstream, ha in sé tutte le caratteristiche per attirare critiche positive e attenzioni dagli amanti di un genere che, checché se ne dica, non morirà mai se supportato da qualità siffatte. Il riffing di Paul risulta efficacemente coinvolgente con cavalcate, stop e soli da pollice alto che inglobano melodie, potenza e tecnica, la sua chitarra si mette a disposizione della voce di un cantante dotato ed espressivo come Rick Forsgren, ora cattivo, poi velenoso e ancora cristallino a seconda dei momenti, con una batteria che martella per bene e gode di un sound moderno ma non iperprodotto e sintetico. We Collide e Bullet in the Back appaiono come il manifesto del Bonrud-sound e colpiscono nel segno immediatamente: ascoltare le armonie che fuoriescono e il crescendo tenace che sfocia in chorus foderati di class di livello altissimo. Un vero e proprio spot per il genere. Ma in generale tutto Save Tomorrow si arrampica ai piani torreggianti del gradimento per soluzioni e riuscita finale del prodotto. American Dream vede protagonisti la sei corde e la voce stregonesca del singer che, senza strafare, confeziona una scheggia d’impatto, cosiccome la title track che assorbe influenze di arie AOR e la semiballad Liquid Sun, ammaliante per coralità, acustica, vocalism e atmosfere assai convincenti e un gusto per le melodie spiccatamente di valore. I’d Do Anything viene spruzzata di keyboard, Last Sunrise cavalca sull’estensione vocale di un singer trascinante, Torn Apart refrain melodico e alternanza di chitarre acustiche ed elettriche, mentre Blinded è un class rock massiccio con effervescenze blues e un ritornello da ovazione; insomma i Bonrud sanno fare di tutto e anche molto bene, accomunando coordinate e mixandole con sagacia. Il terzetto finale non delude di certo. Si parte con Dominoes, capace di sorprendere in svariate frazioni del suo contenuto per il suo eclettismo, valendo da sola l’ascolto con cori da brividi, You’re the One baldanzosa, solare, ma con nerbo e una vocalità che non lascia indifferenti, e un solo, come sempre, dimenante ottimi incastri di note e si conclude degnamente con End of Days, traccia assemblata con intricate partiture eminenti.
Questo è un platter ottimo, con una produzione che, al contrario di quanto avviene nel genere hard rock odierno, tende a dar lustro a dinamiche cristalline e a far uscire allo scoperto ogni singola nota registrata, una bella manciata di punti in più insomma, rispetto a produzioni oscure, focose, spesso impastate e confuse che solidificano il suono ma non lo rendono perfettamente percettibile. I Bonrud, da notare anche la simpatica copertina fumettistica, sono un ensemble che ha tante marce in più rispetto ad altri e meritano i riflettori della ribalta a pieno regime. Qualcuno li ha accusati di non avere una super hit che li catapulti all’attenzione delle masse. Domanda: ma per fare un gran bel disco è necessaria una hit ruffiana e magari melensa? A parere mio no, un lavoro va gustato nella sua interezza e non solo per un paio di episodi più una truppa di filler deprimenti. Una graditissima scoperta che mi piacerebbe scrutare dal vivo. Bonrud, il nuovo che avanza.
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Discreto,ma nettamente inferiore al primo lavoro,disco fantastico quanto sottovalutato.Quello sì è un must al quadrato. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. We Collide 2. Bullet in the Back 3. American Dream 4. Save Tomorrow 5. Liquid Sun 6. I’d Do Anything 7. Last Sunrise 8. Torn Apart 9. Blinded 10. Dominoes 11. You’re the One 12. End of Days
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Line Up
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Rick Forsgren (Voce) Paul Bonrud (Chitarra, Basso) Paul Higgins (Batteria)
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RECENSIONI |
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