|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
|
( 3704 letture )
|
Dammi una lametta che mi taglio le vene. (Donatella Rettore, Lamette, 1982)
Chiunque abbia già approcciato i Worship sa benissimo che nel panorama (super) extreme doom – e per essere compreso da un neofita non mi basterebbero tutti i superlativi conosciuti – i nostri sono considerati i capostipiti della depressione tradotta in musica. Avendo sempre con me una buona dose di impudenza, mi viene quasi da ridere immaginando una classifica che metta in ordine le più spiacevoli creature degli ultimi venticinque anni; di certo, volendomi applicare in questo gioco di rivisitazione storica (non vedevo l’ora), i tedeschi sono senza dubbio tra i primi nomi da segnalare, vicino ai primi Funeral (quelli di Tragedies), ai Thergothon e – sarà una mia paranoia? – ai peruviani Lament Christ (ho lasciato coscientemente fuori i più solenni Skepticism & derivati).
I Worship, che mozzato il curriculum a causa della morte improvvisa (per suicidio) del co-leader Max Varnier, tornano solo nel 2007 con una creatura totalmente debitrice nei confronti del seminale e storico Last Tape Before Doomsday del 1999, e proseguono imperterriti in quella dimensione, confezionando con il nuovo Terranean Wake un disco dai lineamenti tanto peculiari da potersi rivolgere ai soli fanatici del genere. La formula è sempre la stessa, anche se questa volta le partiture non possono più fregiarsi delle ispirazioni di Max (Dooom recuperava ancora momenti registrati dal povero batterista/cantante): ritmiche ai limiti dell’arresto cardiaco che scandiscono sussulti monolitici e pachidermici di power-chords, momenti interlocutori in cui la sei corde e il vocalism si trasformano in rantoli malati di sconforto, una montagna di tele melodiche della single-note di Daniel Pharos che insistono su armoniche avvilenti e infine un cantato apocalittico (flessibile e ben eseguito tanto nelle note gravi quanto in quelle più acute) che squarcia senza pietà il bradipico e compromesso incedere.
Un’ulteriore caratteristica che rende riconoscibilissimo il lavoro di The Doommonger (Daniel) & soci risiede dalla scelta dei suoni, sempre molto più limpidi rispetto alla media dei competitor: le distorsioni delle chitarre, il sound delle pelli, l’effettistica vocale, non trovano in Terranean Wake alcuna evoluzione, soprattutto rispetto a Dooom (chiaro che strumentazione e recording del primo periodo non sono nemmeno paragonabili, anche se il risultato – fatti salvi i tredici anni di distanza – non è nemmeno così sconvolgente). Da un lato ciò mi aggrada, dato che trovo sempre valido uno sforzo rivolto alla personalizzazione di un’opera, e tuttavia – per il caso specifico – mi mette un po’ in imbarazzo poiché riconosco che tale espediente non collabori appieno a una degustazione lenta ed efficace del platter.
Mi spiego meglio.
I Worship suonano un doom talmente di nicchia da sconsigliare in sede critica (non solo recensoria) una qualunque riflessione sul lato tecnico della propria proposta, così come sulle scelte armoniche degli arrangiamenti, nonché sull’applicazione dei singoli suoni. Ciò che dovrebbe distinguere un simile prodotto da tutti gli altri (ultimamente il panorama di riferimento non è nemmeno così rado) è dunque da individuarsi nella capacità di donare, ascolto dopo ascolto, sensazioni di crescente coinvolgimento, proporzionali al grado di elaborazione e conoscenza dei pezzi. A Terranean Wake sono invece sufficienti pochissimi ascolti per decretarne la definitiva assimilazione (e dunque giudizio, nel mio caso); la ragione è attribuibile alla totale “cartacarbonatura” di forma che obbliga il fruitore, magari anche inconsapevolmente, a un confronto fulmineo e diretto con i precedenti titoli. Il problema, diciamocelo, è che il pur caracollante e drammatico climax insistentemente spennellato nelle quattro lunghissime tracce, non raggiunge mai, in nessuno dei cinquantacinque minuti di run, la grandezza dei propri precursori: Tide Of Terminus, The Second Coming Apart, Fear Is My Temple e End Of An Aeviturne sono tutte tracce corpose, miserabili e accorate (un doomster direbbe semplicemente “belle”), ma altresì prive di quel “tocco” che trasformerebbe questa timida scala di grigi in un coprente e opaco nero pece.
Pensando a ciò di cui avrei davvero bisogno, va riconosciuto che Terranean Wake non è l’arma mortifera che mi aspettavo: l’album non stende al primo colpo e nemmeno corrode lentamente come una goccia sulla pietra. Io, in favore di questa nuova release, non accetterei di levare dal lettore né Last Tape Before Doomsday né Dooom!
Dopotutto i miei polsi sono ancora intatti; al massimo un po’ indolenziti.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
4
|
Effettivamente non è nulla di speciale e d è privo di quella carica emotiva che solo i grandi dischi funeral doom hanno. La recensione è perfetta. |
|
|
|
|
|
|
3
|
Deludente in senso assoluto no (ho dato 65 non 40 ), ma molto meno efficace dei precedenti si. |
|
|
|
|
|
|
2
|
Ma dai, è veramente così deludente? Devo ascoltarlo. |
|
|
|
|
|
|
1
|
Di questo disco ancora non ho ascoltato niente ma visto l'andazzo delle uscite che aspettavo in questo fine 2012 e la recensione di Giasse non sono molto fiducioso |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Terranean Wake I - Tide Of Terminus 2. Terranean Wake II - The Second Coming Apart 3. Terranean Wake III - Fear Is My Temple 4. Terranean Wake IV - End Of An Aeviturne
|
|
Line Up
|
The Doommonger (guitars, vocals) Satachrist (guitars) Gravedrummer (drums) Doomnike (bass)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|