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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Sacred Steel - The Bloodshed Summoning
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( 2436 letture )
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Ormai da diversi anni i tedeschi Sacred Steel rappresentano una realtà considerevole e importante all’interno della scena metal internazionale, forti di una serie di album intrisi di potenza esorbitante, riff al vetriolo, chorus vincenti ed un perfetto mix tra violenza ed epos. Bardati di cuoio e borchie, si sono da sempre contraddistinti per la convinzione ferrea attraverso la quale riprendono e promulgano il verbo priestiano, attuandolo con varianti di forza e velocità molto moderne e tendenti al power americano. Il loro nuovo prodotto, The Bloodshed Summoning, non si discosta di una virgola dall’imprinting classico del combo di Ludwigsburg, anche se suona meno brillante e verace del precedente Carnage Victory, che era stato uno dei dischi più interessanti del 2009. Come detto, la band propone il consueto heavy feroce, acceso da ritmiche straripanti e riff acuminati, tradizionali, senza però sferrare la zampata memorabile. Una produzione assai nitida esalta i suoni, mentre la voce inconfondibile di Gerrit Mutz dispensa la consueta serie di refrain antireligiosi, epici e sofferenti, autentica fonte di esaltazione per i defenders di ultima generazione. L’act mitteleuropeo possiede un songwriting variegato, costruisce canzoni ben strutturate, eppure il platter, che pure rimane impattante e denso di energia, fatica a lasciare il segno, collocandosi nella media delle uscite contemporanee e destinato a defilarsi progressivamente dagli stereo di noi appassionati. La ricetta, del resto, è sempre la stessa e al di là del canovaccio, a conti fatti, la differenza la fanno i riff, i ritornelli, gli assoli; tutti elementi che qui mantengono un profilo cospicuo ma non sufficientemente incisivo per durare nel tempo. L’elemento dominante nel sound dei cinque metallers è l’imprinting thrashy con il quale l’heavy classico viene ibridato, una sorta di incrocio tra i Judas Priest e gli Slayer, con serrate ritmiche davvero esaltanti. Stando a questi presupposti, il disco si preannuncia invitante: probabilmente i novellini che ancora non conoscono tale moniker potrebbero anche dimenarsi come pazzi, credendo di aver tra le mani il disco dell’anno, ma per chi già si è cimentato con questi ragazzoni teutonici la sorpresa sarà decisamente meno eclatante e l’entusiasmo sicuramente minore.
Da subito i cinque mettono in mostra competenza e perizia tecnica, sintetizzando nell’opener Storm of Fire 1916 tutta la loro efficienza nel mescolare potenza e rapidità d’esecuzione. Il brano, tra i migliori del’intera tracklist, garantisce momenti da headbanging ed è più che valido; le ritmiche sono schiacciasassi e soltanto in occasione del dolorante refrain si riscontrano attimi di sosta. Lo stesso vale per la successiva No God, No Religion, un assalto che rimarca le sfumature thrash del quintetto; il ritornello è invece più rallentato e solenne, anche se le ripartenze improvvise scuotono il brano nell’intera durata. Ancora martellante, ma alternata a risvolti più contenuti, è la ritmica di When the Siren Calls (episodio leggermente meno elettrizzante), mentre in The Darkness of Angels spicca un riffing esplosivo ed ottantiano fino al midollo. Il lavoro alla batteria di Mathias Straub, evidente in tutto il platter, è qui particolarmente vigoroso, anche se certi blastbeats suonano quasi forzati; convincono poco le vocals di questo pezzo, non tanto per il parzial mid-grownling, quanto per alcuni passaggi alla King Diamond apparentemente fuori luogo. Non è granché la titletrack, un mid-tempo con accelerazioni isolate, abbastanza scialbo nelle linee vocali come nel riffato; sferzanti, invece, le due mazzate successive: Under the Banner of Blasphemy, una frustata implacabile mitragliata in velocità, e Black Towers, altrettanto perentoria nonostante il riff portante sia decisamente melodico. L’esercizio diventa però ripetitivo con l’incombere di Crypts of the Fallen e delle rimanenti composizioni, pur agitate da bordate in linea con il classico marchio di fabbrica della band (The Night They Came to Kill).
La tensione è sempre elevata -bisogna dirlo- e la violenza rimane in primo piano sia nelle frequenti vampate veloci che nei velenosi mid-tempos, rendendo frontale e pericoloso l’impatto con questa band. Sarebbe servito quale chorus di quelli mastodontici, da urlare con i pugni al cielo, per rendere più ricca la portata, invece il disco non esplode mai del tutto e resta positivo ma non eccezionale. Batteria e chitarra sfoggiano un assetto da sommossa, ma la forza rimane sempre prominente rispetto al feeling effettivo e tende a mascherare un piccolo ma considerevole calo di ispirazione. È dura rinnovarsi rimanendo fedeli a sé stessi, ancora di più in una categoria così chiusa alle innovazioni come quella a cui appartiene l’heavy metal classico. La nuova sfida dei Sacred Steel è proprio questa: rinnovarsi e mantenersi genuini pur col passare del tempo, senza snaturarsi (cosa non ipotizzabile, per fortuna) ma cercando di non incancrenirsi su uno stile statico, per quanto remunerativo.
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2
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sempre i mgiliori! voto: 80 |
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1
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a me è piaciuto voto 75! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Storm of Fire 1916 2. No God, No Religion 3. When the Siren Calls 4. The Darkness of Angels 5. The Bloodshed Summoning 6. Under the Banner of Blasphemy 7. Black Towers 8. Crypts of the Fallen 9. The Night They Came to Kill 10. Join the Congregation 11. Journey Into Purgatory 12. Doomed to an Eternal Hell
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Line Up
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Gerrit P. Mutz (Voce) Jens Sonnenberg (Chitarra) Jonas Khalil (Chitarra) Kai Schindelar (Basso) Mathias Straub (Batteria)
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RECENSIONI |
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