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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Polkadot Cadaver - Last Call In Jonestown
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( 2347 letture )
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Come diceva qualcuno, tra l’orrendo ed il grottesco non c’è che un passo, ed è quell’attimo che i Polkadot Cadaver raccontano.
Per coloro i quali ne ignorassero l’esistenza, i Polkadot Cadaver sono una band al di fuori di ogni plausibile collocazione. C’è chi li definisce ‘alternative’, chi ‘math’ ed altri che, come il sottoscritto, non riescono a relegarli in una fredda definizione. Tutto ciò perché la band statunitense non ama una targa specifica applicata ai propri contenuti ma, al contrario, nell’epoca del settarismo di massa in cui ogni cosa, ogni genere e qualsivoglia attività deve essere forzosamente specialistica, loro rappresentano una contro tendenza.
Nati nel 2007 dalle rimanenze creative dei Dog Fashion Disco (uno dei gruppi più sottovalutati della storia della musica), a loro volta ispirati a Faith No More e Mr. Bungle, i quattro resistenti all’intransigenza stilistica, sono arrivati al terzo album. Come in ogni lavoro, anche oggi i Polkadot Cadaver scelgono argomenti scomodi, partendo da una copertina ispirata ad uno dei più drammatici fatti di cronaca recente, il massacro di Jonestown. Nel Novembre del 1978, gli adepti alla setta Peoples Temple furono trovati morti in una colonia agraria in Guyana. Fu documentato come il più grosso suicidio di massa della storia. Novecentotredici morti, in omaggio al verbo dell’ennesimo santone pedagogo, Jim Jones, il cui viso occhialuto si può ammirare nell’artwork, di fianco ai cadaveri. Da quel viso e da quelle immagini, i nostri partono per raccontare, sarcasticamente, le varie sfaccettature dietro le quali si possono celare le peggiori ipocrisie figlie dell’uomo. Fin qui siamo ai testi, ora tocca alla musica.
Sugli intrecci di note elaborati dai Polkadot Cadaver si potrebbe affermare di tutto e di più, ma su di un dato si può star certi: le loro canzoni non trasmettono indifferenza. Ciò è risultato palese per chi ha iniziato a seguirli anni orsono, quando ancora utilizzavano il moniker precedente, e continua ad esserlo oggi. I nostri perseverano in quel cammino iniziato da Mike Patton con i suoi tanti progetti e le infinite collaborazioni, non interessandosi alla fruibilità della proposta, ma concentrandosi sul proprio stile. Quest’ultimo aspetto è, a mio avviso, il più interessante, soprattutto considerando la qualità tecnica e compositiva che i quattro sono in grado di esprimere. Quel che si evince da Last Call In Jonestown è il parallelo di un angolo di visione da un caleidoscopio, nel quale i colori possono cambiare sfumatura a seconda dell’angolazione da cui li si osserva. Alcuni vi ritroveranno aspetti riconducibili ai Faith No More più catchy, altri rivedranno i Mr.Bungle più controversi, i primi stralunati Diablo Swing Orchestra o i recenti 6.33 & Arno Strobl. Qualunque derivazione o deviazione si imputi loro, ha una possibilità di essere verosimilmente affibbiata a quel sound, Samuel Beckett compreso.
Descrivere una traccia per volta risulterebbe un’operazione improbabile, perché sarebbe come raccontare l’elettrocardiogramma di un cocainomane durante l’assunzione della sostanza. I picchi emotivi, verso l’alto o il basso, risultano davvero troppi per derivarne un resoconto minuzioso. Di certo chi già conosce la band o apprezza i gruppi indicati sopra, avrà in mente un’idea precisa dell’imprevedibile a cui ci si accosta. Ossimori permettendo, ora anche tutti gli altri avranno le idee sufficientemente confuse per avvicinarsi a questo disco.
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Band e genere che adoro.geniali! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Last Call In Jonestown 2. Phantasmagoria 3. Painkiller 4. Touch You Like Caligula 5. Sheer Madness 6. Impure Thoughts 7. Rats and Black Widows 8. Lunatic 9. All The Kings Men 10. Animal Kingdom 11. Transistors Of Mercy 12. Epilogue
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Line Up
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Todd Smith (Voce, Chitarra, Tastiera) Jasan Stepp (Chitarra, Tastiera, Cello) David Cullen (Basso, Tastiera) Scott Radway (Batteria)
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RECENSIONI |
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