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Dodheimsgard - 666 International
( 6242 letture )
La recensione è basata sull’edizione originale del disco e non sulla ristampa del 2011, contenente due nuove tracce.

1999, Norvegia, seconda ondata black in corso, una serie sorprendente di capolavori che non avrà eguali, una volontà di sperimentare, portando l’elettronica all’interno di strutture musicali alquanto permeabili; un uomo, Vicotnik, dotato dell’esperienza necessaria per trasformare un progetto inizialmente legato alla tradizione in una follia industriale, svelando il lato malsano dei suoni computerizzati.
Ancora oggi, passati quattordici inverni, risulta complesso inquadrare forse il capolavoro dei Dødheimsgard (anche conosciuti come DHG), avendo 666 International modificato le lenti degli occhiali attraverso i quali alcuni osservavano il fenomeno scandinavo. L’assoluta mancanza di un songwriting canonico, piegato alle ossessioni di una coppia di musicisti, se non addirittura a quelle di un solo artista (non è mistero che ciò che sulla carta assomiglia ad una formazione completa in realtà non è altro che il mezzo di cui si serve Yusaf, il chitarrista dalle ascendenze indiane, per dare forma concreta alle proprie visioni), la diluizione di elementi provenienti da universi antitetici, un’attitudine a sostituire la fisicità umana con l’onnipotenza asettica e formalmente nitida delle macchine, saranno profetici, pareggiando la potenza dello scisma generato dalla gelida odissea cosmica di Rebel Extravaganza. Tutti questi elementi illuminano la profonda frattura tra la fetta di pubblico restia ad accettare l’ingombrante presenza dei laptop al fianco delle sei corde ultra distorte, e l’altra, ben più propensa ad accettare un matrimonio proficuo per entrambe le declinazioni di un verbo, l’occulto fascino dell’oscurità, conosciuto ed apprezzato sia dagli adepti dei sintetizzatori sia da coloro i quali sono stati vinti dalla sensualità ferale di un riff in tremolo picking.
666 International colpisce ogni volta che esplode nelle cuffie l’apertura soffocante di Shiva-Interfere, muscolare cavalcata tecnologica, in cui le chitarre filtrate si sovrappongono alle trame neoclassiche del pianoforte e ad inserti affilati dell'effettistica digitale, ovvero la follia a cui l’insieme delle parti del brano si prostrano; analogamente all'incipit di Sonar Bliss, quintessenza della proposta dei norvegesi, tanto violenta quanto priva di un andamento logico, schiava delle urla sgraziate di Aldrahn, maestoso nel padroneggiare le linee vocali, portando la sua interpretazione all’estremo parossistico, una vetta sulla quale cuore, tecnica e genialità, per definizione estemporanea, si incontrano per banchettare sulle rovine della tradizione.
La cosciente distruzione delle regola, visualizzando chiaramente nella mente le ragioni della propria novità, sembrano amplificare l’eco del brutale schianto con le partiture di un album indiscutibilmente superiore, almeno nell’intenzionalità e nella volizione (la tecnica presente su disco un fattore quantomeno irrilevante), essendo 666 International una rappresentazione emotivamente fedele dell’annichilimento localizzato nella piena esplosione della terza industrializzazione, paradigma della confusione anche morale immediatamente successiva alla sessione d’ascolto, allorché, squassati dal tandem drum-machine epilettica/batteria reale (gestita dal monumentale Czral, considerato dai compagni di registrazione il batterista fornito della maggior carica emotiva, proporzionale alla sua comunque straordinaria tecnica, tanto da suscitare paragoni con l’altro gigante norvegese, Hellhammer), l’utente si scopre a tentennare, sospirare, esitare, incerto se sia il caso di riprovare le sgradevoli sensazioni comunicate dal macabro rituale industriale nelle cui ritmiche pare di avvertire le ossa spezzarsi con regolare ritmicità, le carni dilaniate da impietosi ingranaggi progettati unicamente per raggiungere la completa spersonalizzazione del processo di creazione artistica.
Inutili nelle atmosfere plumbee, gli intermezzi affidati ad un debole 88 tasti, assurdo detrito risalente ad un’epoca in cui i sentimenti erano concetto conosciuto e non flebili scuse da sussurrare prima che il puntualissimo nastro trasportatore condanni la prossima vittima ad una triturazione orrenda.
666 International ridefinisce l’estremismo, scompattando la catalogazione black metal in due componenti: il primo attinente alle sulfuree evocazioni futuristiche plasmate dal quintetto, orientata alla trasmissione dell’oscurità senza compromessi, dipingendo un incubo dai tratti tremendamente attuali; il secondo concernente il metal morboso ed insopportabile, movimento del quale 666 International è primo difensore, indicando, tramite la sua tremenda inclinazione al nonsense psicopatico, la via che un folto gruppo (tra cui i nostrani Aborym) percorrerà in seguito, generando alterni risultati, senza però, raggiungere il risultato figlio del proprio tempo totalmente rivoluzionario del capostipite del sottogenere.
Lapalissianamente il successore di Monumental Possession ed il figlio naturale di Satanic Art, non è esente da critiche motivate. In primo luogo, un comune detrattore potrebbe notare la schizofrenia imperante, una malattia simile a quel disturbo affliggente i connazionali Shining, la quale causa sovente smarrimento esiziale nell’ascoltatore, colto impreparato da un passaggio totalmente incoerente. Nonostante tale sorpresa artificiosamente generata sia uno dei punti di forza della scrittura dei DHG, è indubbio il fastidio conseguente, tenuto sotto controllo solo dalla resilienza connaturata all’appassionato delle derive sperimentali. In veloce successione, seguono le altre accuse: eccessiva prolissità, uno status di uscita di culto conquistato alle spese dei quasi dimenticati Ved Buens Ende e del loro splendido Written In Waters, testi astrusi e nebulosi (lacuna sottolineata dallo stesso Yusaf, rilasciata a pochi giorni dall’uscita di Supervillain Outcast, nel 2007, nella quale il polivalente norvegese esprimeva parole di elogio verso Kvhost, in grado di scrivere liriche dai contorni definiti ed inequivocabili), riffing dipendente dalla catena degli effetti, tutti appunti piuttosto comprensibili, che tuttavia non sminuiscono l’importanza storica del terzo capitolo della discografia dei Dødheimsgard.

Un piccolo particolare: se si considera il titolo del disco a partire dalla I e proseguendo verso sinistra, si otterrà l’anno di pubblicazione rovesciato, uno dei tanti rimandi simbolici oltre alla durata di 66 minuti e 6 secondi ed alle 66 tracce che lo compongono, di cui da 56 completamente silenziose, da sommare alle 9 della tracklist ed alla hidden track.



VOTO RECENSORE
87
VOTO LETTORI
87.52 su 23 voti [ VOTA]
Kroky78
Mercoledì 27 Maggio 2020, 20.30.11
19
Ste recensioni sono uno spasso! Più vai avanti a leggere e più rimani sbalordito di come sia possibile tirare fuori una tale quantità di metafore strampalate! "paradigma della confusione anche morale immediatamente successiva alla sessione d’ascolto". Embè, a chi non capita di non sapere più cio che è bene e cio che è male dopo aver ascoltato un disco! 😂😂😂. Vabbè, comunque sembra che me lo devo procurare sto disco, sono fermo ai primi 2.....
zakyzar
Sabato 10 Giugno 2017, 14.49.08
18
freddo come una lama ,violento come un ciclone,incorporeo come l'aria..appena il puzzle sonoro sta per essere risolto ecco che una sferzata gelida scompone tutti i tuoi calcoli trasportandoti ora in un incubo black per poi arrivare ad un pianoforte rilassante ,appena ti tranquilizzi ecco che spunta fuori un tappeto elettronico pesante come un macigno..il viaggio finisce o almeno credi xke dopo alcuni minuti di silenzio si giunge all"epilogo...schiaccia play e ricomincia il viaggio...prodotto eccelente voto 95
LexLutor
Giovedì 12 Gennaio 2017, 17.07.11
17
Da quest'album trasuda follia inquietante. Un spettacolo goliardico luciferino imbastito in un arena illuminata da migliaia di luci artificiali. Epilettico, buffonesco e ferale. Non per tutti.
Macca
Domenica 10 Aprile 2016, 19.29.16
16
L'unico che mi piace veramente di questa band. Gli altri non mi hanno convinto appieno: Supeevillain Outcast non è male ma è inferiore di molto, più diretto e meno originale. A Umbra Omega dovrò riascoltarlo invece, ma per ora 666 International non si batte. Voto 85.
Nick .
Martedì 19 Maggio 2015, 15.10.05
15
Il mio preferito dei DHG, amore al primo ascolto
Ad astra
Mercoledì 1 Aprile 2015, 17.42.27
14
@max 80allora cambierai idea su cosa é il loro capolavoro...
max80
Mercoledì 1 Aprile 2015, 17.06.20
13
Ottimo album,ma per me Supervillain Outcast ad oggi è il loro capolavoro,non vedo l'ora di poter ascoltare il nuovo lavoro
Punto Omega (ex piggod)
Giovedì 4 Luglio 2013, 21.21.07
12
Quando uscì, rimasi esterrefatto e mi ci volle un pò di tempo per digerirlo. Ad oggi rimane uno dei miei album preferiti di metal estremo "sperimentale".
Matteo Cagnola
Giovedì 4 Luglio 2013, 20.25.03
11
Ora non ci resta che vedere i Dodheimsgard live (con Troll, Hetroertzen) a Romagnano Sesia il 22 ottobre
Moro
Giovedì 4 Luglio 2013, 13.29.37
10
disco stupendo. Davvero la ri-definizione del genere... interessante perchè all'epoca QUESTA roba qui veniva chiamata "post-metal". cioè quello che c'era dopo il metal, in connotati prettamente apocalittici. Perfetto l'allineamento con Rebel Extravaganza. La spina di pesce si allargherebbe anche al disco dei Thornz e a Grand Declaration of War dei Mayhem (esperimento poco riuscito ma che col passare degli anni ha guadagnato punti).
gamba.
Domenica 30 Giugno 2013, 11.27.24
9
grazie per averlo recensito! lo cercavo da un po', era stato citato in una recensione qui, qualche tempo fa, ma purtroppo lo avevo perso per strada... mi metto all'ascolto.
vichingone col martellone
Domenica 30 Giugno 2013, 11.03.16
8
vichingo ma tu ti consideri un critico di musica?ma cosa vuoi aver capito di sto disco..che ridere
Gasta
Sabato 29 Giugno 2013, 14.59.31
7
Gran figata. 90.
Mickey
Sabato 29 Giugno 2013, 14.57.07
6
Merita molto anche l'Ep Satanic Art, dove hanno cominciato a sperimentare.
Mickey
Sabato 29 Giugno 2013, 14.56.56
5
Merita molto anche l'Ep Satanic Art, dove hanno cominciato a spimentare.
Mickey
Sabato 29 Giugno 2013, 14.28.11
4
Finalmente anche loro: che dire, un disco anarchico che non guarda in faccia a nessuno e senza precedenti (apparte il discod ei Mysticum). Ancora oggi suona nuovo e personalmente è uno dei miei album "Black" preferiti. Bella recensione, concordo con quanto detto.
Bloody Karma
Sabato 29 Giugno 2013, 12.40.07
3
concordo con il vichingo...solo adorazione, oltre che a dimostrare che i DHG hanno dimostrato di potersi evolvere senza sputtanarsi...
waste of air
Sabato 29 Giugno 2013, 11.40.34
2
Ce l'ho! Prima edizione! Disco pazzesco.
il vichingo
Sabato 29 Giugno 2013, 11.09.29
1
Nessun commento, solo adorazione.
INFORMAZIONI
1999
Moonfog Productions
Black
Tracklist
1. Shiva-Interfere
2. Ion Storm
3. Carpet Bombing
4. Regno Potiri
5. Final Conquest
6. Logic
7. Sonar Bliss
8. Magic
9. Completion
Line Up
Aldrahn (Voce, Chitarra)
Vicotnik (Chitarra)
Mr. Magic Logic (Tastiera, Pianoforte)
Apollyon (Basso)
Czral (Batteria, Chitarra)
 
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