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OVERLOAD - Il mondo attorno alla Musica
14/12/2012 (2910 letture)
UN, DUE, TRE
Ed eccoci al terzo episodio di Overload, serie di documentari-inchieste dedicate all'analisi di alcune situazioni specifiche del mondo della musica che stanno parecchio a cuore a questa testata ed a tutti gli appassionati. Dopo aver dedicato la prima puntata alla piaga -e sottolineo "piaga"- delle tribute band con Overload 1 e la seconda ai talent-show con Overload 2, il buon Daniele Farina, autore di queste inchieste, rende ora disponibile la terza parte, anche stavolta a titolo gratuito sulla piattaforma Youtube.

STRANE COINCIDENZE
So che sarà difficile da credere e che le coincidenze cominciano ad essere troppe, ma vi assicuro che anche se sapevo di dover scrivere questo pezzo da un po', fino a quando non ho guardato Overload 3 la scorsa settimana, non conoscevo l'argomento affrontato. Ebbene, sarà un curioso scherzo del destino oppure una semplicissima serie di coincidenze, ma dopo aver deciso di scrivere il pezzo sulle case discografiche mi sono dapprima imbattuto in O Casta Musica, il libro di Fabio Zuffanti dedicato anche a questo argomento, e poi ho scoperto che la terza parte di Overload trattava di nuovo la stessa materia. Coincidenza o meno che sia, il documentario ci offre l'occasione di continuare a trattare di un tema che con tutta evidenza sta a cuore a moltissimi dei nostri lettori, e di farlo con lo sguardo di alcuni insiders per vedere e sentire se il loro qualificato parere ha o meno qualcosa da aggiungere all'argomento.

REPETITA IUVANT
Stilisticamente parlando nulla di nuovo c'è da aggiungere, ed è ovvio che sia così, dato che si tratta di una serie e non avrebbe alcun senso modificarne la cifra stilistica in itinere. Spazio quindi alle solite interviste montate in modo da dare un certo filo logico alle dichiarazioni di tutti, (sia concordanti che discordanti), talvolta a doppio schermo sullo stesso personaggio. Il tutto per conferire un ritmo sostenuto ad un filmato che, sia per questioni di approccio didascalico che per questioni di budget, si poggia sulla parola e non su altro, e di questo ha quindi bisogno al fine di poter reggere per tutti i cinquantuno minuti della sua durata. Passando ai contenuti veri e propri, questa volta sono in difficoltà nel fornirvi una loro descrizione, ciò non perché si tratti di qualcosa di oscuro e/o mal gestito dall'autore, ma perché (e qui ritorno al discorso delle coincidenze del paragrafo precedente), Overload 3 non fa che ribadire i concetti da noi espressi proprio in queti giorni sull'abdicazione totale del ruolo delle case discografiche e su quello deleterio svolto coscientemente dalle radio, con la differenza che i vari punti di vista -in massima parte convergenti- sono espressi non da un pinco pallino come me, ma da una serie di personaggi che sono professionalmente nel mondo della musica, il cui elenco completo troverete come di consueto in coda al pezzo. A questo proposito voglio ancora una volta ribadire come siano sinceramente irritanti le dichiarazioni di gente come Mara Maionchi ed Enrico Ruggeri, che criticano la situazione riconoscendone le storture, ma agiscono assecondandone il meccanismo. Personalmente credo che questo atteggiamento abbia un nome preciso: ipocrisia.
C'è però una critica che mi sento di muovere all'intera serie, e riguarda l'assenza dei sottotitoli alle interviste in inglese. Non che siano particolarmente difficili da tradurre, ed anche chi ha solo una conoscenza superficiale della lingua riesce perlomeno ad afferrarne il senso generale, ma esiste comunque un discreto numero di persone che non parla la lingua dei Tudor -cosa del resto non prevista per legge- che in questo modo non può seguire la discussione nel suo complesso, e questa è una grave pecca se consideriamo che l'inserimento dei sottotitoli non avrebbe comportato un aggravio di spesa, con conseguente sforamento del budget.

LA MUSICA AL TEMPO DI PRO TOOLS
Dopo un breve riepilogo di quanto visto in Overload 1 ed Overload 2, ed una prima parte dedicata alla critica del download selvaggio e delle sue conseguenze (anche questo argomento pluri-affrontato da Metallized, ad esempio qui), ed al rapporto tra arte ed industria, si passa al discorso vero e proprio sulle radio. Volete sapere cosa si dice? Né più né meno quello che abbiamo già detto noi, e con "noi" intendo ancora una volta tutti, ossia staff di Metallized e lettori. Più interessante la considerazione circa il fatto che MTV, emittente che ritorna spesso tra i vostri commenti quando si parla di certi argomenti, sia stata mutata nella sua essenza dall'avvento di Youtube, ma per gli approfondimenti in merito vi rimando alla visione di Overload 3, peraltro proprio su Youtube. Si passa poi ad analizzare le possibilità di scelta offerte dall'attuale mercato, o meglio, delle possibilità di scelta non offerte dall'attuale non-mercato, ma anche questo è un argomento che in questi giorni dovrebbe esservi familiare. Interessante poi la considerazione del rapper Nesli circa il mondo come casa discografica potenziale, ossia sul corretto sfruttamento delle immense possibilità offerte dalla rete nel settore dell'autoproduzione, ed anche stavolta -sono ripetitivo, lo so, ma è così- argomento e punto di vista incontrato proprio nei nostri dibattiti di queste settimane. Più interessanti le dichiarazioni dei vari protagonisti sul fatto che un tempo esistevano locali che "creavano" le band valide, mentre oggi si prendono solo gruppi cover, e quelle di Pagnacco sulla presenza dell'heavy metal sulla RAI negli anni 80 (chi c'era si ricorderà dei molti passaggi di band nostrane sulle reti nazionali), e su come è mutata la situazione al giorno d'oggi. Poi tocca ad Enrico Ruggeri fare delle giuste considerazioni sul rapporto tra rock e potere, solo che fatte da lui non risultano poi così congrue. Arriviamo successivamente alla parte più avvincente della discussione, non a caso "firmata" da Mario Riso ed Andrea Gè, che già negli episodi precedenti furono autori di importanti dichiarazioni. Il primo insiste ancora sulle pesanti responsabilità del pubblico nel diffondersi della non-cultura che ammanta la nostra società, ed il secondo che, già lucido analista della situazione relativa alle cover band ed in totale dissonanza con i membri dei Queenmania in cui milita, dichiara che in pratica la gente ha ciò che si merita, ciò che chiede. Non a caso buona parte delle sue dichiarazioni sono rilasciate singolarmente. A questo punto Overload 3 vive forse il momento migliore della serie, con le fustiganti dichiarazioni di Riso, e Pagnacco (sempre molto diretto), circa i limiti di una scena che è fatta da musicisti che non provano più insieme, che incidono per blocchi i loro dischi/demo, che non sono più capaci di eseguire parti intere in una volta sola in studio, che non sanno più jammare e sperimentare tra loro arrivando a sviluppare uno stile personale. Gruppi che fanno tutto con Pro Tools senza vedersi, senza dare sapore alla propria musica e senza dargli qualità, il tutto nel segno dell'italiano che subisce tutto e non rielabora nulla. Senza contare il fatto che le moderne tecnologie hanno dato accesso a tutto per tutti, compreso il poter fare musica, ma questo ha inesorabilmente abbassato il tasso qualitativo generale, con sempre meno musicisti realmente dotati e sempre più gente che si improvvisa col supporto della tecnologia, col risultato che talvolta i concerti dal vivo si rivelano estremamente deludenti, proprio perché la musica è il risultato artificiale di un programma, e non del sudore sullo strumento. Devo ridirlo ancora? Sì, anche questi sono argomenti cari a questa testata.

GENERAZIONI LADRATE
In conclusione, (ma Overload non finisce qui come credevo, visto che nei titoli di coda si legge To Be Continued e che un quarto episodio sulle band underground ed i loro problemi è già in programma), un terzo capitolo della serie che mantiene la media qualitativa fin qui tenuta. Un lavoro che conferma la propria cifra stilistica, che continua a dar voce nel bene e nel male agli stessi personaggi ormai ben conosciuti (per questo non ho citato molto i singoli intervenuti), e che in definitiva non è che un'altra voce che si aggiunge allo sdegno che si accumula da parte dei veri, irriducibili appassionati, nei confronti di un mondo sempre più ostile a chi non si allinea ad un modo di fare che tende inesorabilmente alla calma piatta spacciata per Arte. La cosa peggiore è che i figli di queste generazioni non sapranno nemmeno cosa si sono persi, e trovo tutto questo semplicemente criminale.

Sono intervenuti:
Alchemy Divine
Ambra Marie
Cristina Scabbia
Paul Di'Anno
Enrico Ruggeri
Extrema
Fabrizio Palermo
Mara Maionchi
Mario Riso
Nesli
Pino Scotto
Blackie Lawless
Neal Schon
Roberto Tiranti
Sergio Pagnacco
Dennis Stratton
Stefano Verderi



Radamanthis
Venerdì 14 Dicembre 2012, 11.46.04
4
Si Raven, ho visto ma sinceramente non le avevo lette e mi sono basato sulla sintesi che hai messo come cappllo introduttivo a quest'articolo...forse è per quello che non ho colto nel segno l'articolo, oltre ai vari fattori esterni (neve, Cristina, Di Anno...) Comunque già pensavo nel pome di leggermeli dall'inizio così d'aver più chiaro il tutto!
Raven
Venerdì 14 Dicembre 2012, 11.24.35
3
Trattasi di semplice recensione di un documentario che, per combinazione, tratta argomenti che stiamo sviluppando in questi giorni. Hai visto le puntate precedenti?
Radamanthis
Venerdì 14 Dicembre 2012, 11.14.48
2
Ma Cristina con le mani che segno fa? Comunque non è che ho capito molto il senso dell'artocolo, forse offuscato dalla foto della bella Scabbia ma mi sono perso via più volte nella lettura senza coglierne il concetto sino in fondo...Non so se sta volta il buon Raven non è stato chiaro come al solito, se è che dalle 7 di stamattina spalo neve o se è la foto di Cristina che a quest'ora della giornata crea effetti indesiderati; o più probabilmente è la maligna presenza del mio tanto non amato Paul Di Anno lassù a destra che mi indispone rendendomi intollerante...
Lizard
Venerdì 14 Dicembre 2012, 10.05.25
1
L'ho visto e devo dire che oltre che ben fatto, lo spaccato che ne emerge è davvero chiaro e ben approfondito. Gran bel lavoro di editing e post-produzione, anche se concordo con Francesco che qualche sottotitolo non avrebbe guastato, anche se per fortuna tutti parlano in modo piuttosto lineare e chiaro. Poco da dire, questo è lo Stato dell'Arte e non si vede uno sbocco, se non un lento e continuo avanzamento su questa linea, la quale porterà inevitabilmente al crollo del mercato discografico e alla nascita di qualcosa di nuovo. Personalmente ritengo che il ruolo di promozione e selezione operato dalle case discografiche fosse indispensabile ed altrettanto indispensabile sarebbe il promuovere e produrre solo band realmente capaci di suonare. Il che provocherebbe necessariamente una diminuzione feroce del numero di uscite che è il vero effetto cancerogeno dell'attuale anarchia.
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