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Danzig - Black Laden Crown
30/05/2017
( 4607 letture )
Quando, pur provenendo da un ambiente che della distruzione delle icone ha fatto una religione si diventa comunque tale, un’attesa di ben sette anni per un nuovo disco di inediti è davvero lunga. Talvolta troppo, rispetto a ciò che si ha davvero da dire. Se si eccettua un lavoro come Skeletons, privo di inediti, le sette primavere trascorse dal precedente Deth Red Sabaoth rappresentavano un lasso di tempo inaccettabile per chi considera Danzig come un artista semplicemente necessario sulla scena. L’attesa è ora finita, dato che l’arrivo sul mercato di Black Laden Crown colma proprio questa lacuna.

Il nuovo oscuro, sferragliante e non certo ammiccante album firmato Danzig è presentato al pubblico da una cover di stampo fumettistico disegnata da Simon Bisley (direttamente dalla Verotik, casa editrice di fumetti con a capo lo stesso Glenn Danzig), che si raccorda con le foto promozionali, nelle quali la modella risulta notevolmente più interessante rispetto al disegno. Già dalle prime note, però, cominciano ad emergere alcune criticità che si confermeranno, purtroppo, da qui alla fine. Il suono è volutamente Lo-Fi, come si conviene ad un’opera del genere e ad un personaggio con la storia musicale di Glenn, ma la registrazione “spalmata” lungo un arco di tempo molto lungo risulta notevolmente frammentaria, a tratti addirittura altalenante anche nella sua resa lontana dalla media moderna. Eppure, l’immediatezza e la sincerità della registrazione, priva di alcuna sovrastruttura e basata su una ricerca dell’effetto “raw” che, sulla carta, si sposa benissimo con la filosofia che sta alla base di Black Laden Crown, sarebbe anche la scelta più giusta, se non fosse per i difetti che specificheremo. Ciò che si sente da questo CD sono chitarre, basso, batteria, percussioni, la voce sinistra di Glenn e stop; that’s all, folks. Questo “all”, però, include anche alcune sproporzioni tra uno strumento e l’altro, col basso spesso sacrificato dal suono delle chitarre molto ribassate, e addirittura tra una canzone e l’altra. L’utilizzo di ben quattro diversi batteristi (non è stata una scelta, ma una necessità causata dal protrarsi della lavorazione) non aiuta poi a dare coesione al disco. Tutto questo, però, potrebbe anche passare in secondo piano o addirittura dare carattere al lavoro, se questo fosse qualitativamente di buon livello. L’album, infatti, può risultare per alcuni versi comunque affascinante se si considerano i singoli pezzi, ma nel suo complesso risulta troppo monocorde per colpire davvero nel segno. A partire dall’intensa Black Laden Crown, minimale marcia luciferina sulla quale la voce sghemba di Danzig si innesta alla perfezione, si avverte già che un altro problema del disco riguarda la lunghezza dei brani, spesso eccessiva nonostante i cambi finali di ritmo, schema peraltro abusato nel corso dei circa cinquanta minuti di durata dell’album. Eyes Ripping Fire è basata su un riff semplice, sulla solita voce acida e sgangherata che regge tutto (con pregi e difetti) ed echi “doorsiani” che si riascolteranno molto spesso lungo la scaletta. Altro riff piuttosto basico per la sinistra Devil On Hwy 9, non trascendentale ed ancora basata più sul mestiere di Glenn che altro. Approccio Lo-Fi senza ritegno per Last Ride, uno stralunato blues ancora di matrice doorsiana nell’interpretazione vocale e poi un cambio di suoni, che si fanno inizialmente liquidi e malinconici con The Witching Hour, la quale poi muta in un mid-time acido e semplice, ma non privo del tipico fascino maledetto che Danzig possiede di certo. But a Nightmare parte lenta, facendosi più solenne nell’incedere, pur senza colpire più di tanto; almeno fino al consueto cambio di ritmo che attira l’attenzione, ma solo per il cambio in quanto tale e non per meriti particolari. Ancora la lezione dei Doors più lisergici in sottofondo con Skulls & Daisies, brano lento e molto Danzig che potrebbe essere anche il più riuscito del lotto, al netto di una durata ancora eccessiva. Discorso abbastanza simile, ma in salsa più pesante per Blackness Falls, altro pezzo che termina in fade out dopo il consueto aumento dei BPM nella parte conclusiva. Il sipario si chiude con Pull the Sun, discreto acid heavy dai ritmi contenuti, molto caratterizzato da quel mood indolente e polveroso da highway semi abbandonata che attraversa tutto l’album e che spesso Glenn Danzig ha proposto nei suoi lavori.

Black Laden Crown non è un album memorabile ed i sette anni di attesa sono eccessivi rispetto a quanto Danzig è riuscito ad offrirci, ma non è un totale disastro. Discontinuo; con una sfilza di batteristi impegnati praticamente sempre e solo a tenere il tempo senza alcun guizzo personale; con il basso -a tratti suonato dallo stesso Glenn- sempre poco evidente e la voce talvolta ad esserlo troppo sia come volumi che come qualità; ripetitivo e schematico per gran parte del suo svolgimento tanto da far quasi provare compassione per i musicisti in studio, dal curriculum legato a realtà di ottimo livello. Insomma: non certo un capolavoro dal punto di vista della scrittura pura, troppo lungo nel minutaggio rispetto ai contenuti (una decina di minuti in meno avrebbero probabilmente prodotto un miglioramento netto) e registrato in modo criticabile a prescindere dai suoni, coerenti con la filosofia e le scelte specifiche del personaggio. Eppure, Danzig riesce almeno per brevi tratti ad affascinare ed a farlo proprio con quella voce ormai lontana dai tempi migliori, con qualcuno di quei riff funerei e malefici, con certi assoli di Tommy Victor un po’ più in focus degli altri e soprattutto con tanto, ma tanto mestiere. Il bicchiere, alla fine, è per tre quarti vuoto e questo non è certo un buon segno, con Glenn Danzig che resta un gran personaggio e Black Laden Crown che galleggia attorno ad una risicatissima sufficienza; e non è un “6” più o meno politico che ci si attendeva da lui dopo una lontananza così lunga.



VOTO RECENSORE
60
VOTO LETTORI
69.9 su 10 voti [ VOTA]
Screwface
Mercoledì 8 Aprile 2020, 12.58.47
12
Danzig dovrebbe convincersi ad affidarsi ad un produttore professionista, invece che tentare di fare ciò che non è nelle sue corde... Nel 2017 non è possibile uscire con un disco con questi suoni... A livello di brani, salvo Devil on Hwy 9, Last Ride, Witching Hour, Pull the Sun. Il resto suona troppo riciclato da vecchi brani e privo di ispirazione, ma almeno con una produzione degna avrebbe potuto risultare tutto più ascoltabile...
Aceshigh
Domenica 3 Settembre 2017, 16.34.46
11
Album discreto, qualitativamente in linea con le ultime produzioni. Ovvio : i primi 4 album sono un'altra cosa. Secondo me le prime quattro tracce sono le peggiori, dopo le cose migliorano...
Raven
Sabato 24 Giugno 2017, 22.36.47
10
a breve avrai qualcosa
Giaxomo
Sabato 24 Giugno 2017, 21.33.26
9
Raven cacciami tra i rispolverati l'omonimo e Lucifuge! 😉😉
Metal73
Sabato 24 Giugno 2017, 21.25.04
8
Cresce ad ogni ascolto , album favoloso tra i migliori di Glenn .... 80 pieno !!!
Selenia
Mercoledì 31 Maggio 2017, 14.27.23
7
Dispiace dirlo per uno dei miei preferiti, ma è veramente terribile, non si salva proprio..
InvictuSteele
Mercoledì 31 Maggio 2017, 12.49.00
6
Ho sempre giustificato Danzig, dopo i primi 4 capolavori ha cominciato a sperimentare nei seguenti lavori e, seppur non arrivando a livelli eccelsi, ho apprezzato il suo coraggio e la sua voglia di rinnovarsi. L'ultimo album di inediti Deth Red Saboath mi era piaciuto abbastanza, un ritorno al passato, molto autocitazionista ma ispirato. Skeletons invece era uno schifo, brutte cover, registrate in modo penoso, e poi il nuovo album. Concordo con la recensione, un disco appena sufficiente, prodotto non bene, con la voce di Danzig invecchiata, anche se sempre magica. Le canzoni appaiono un po' troppo statiche e schematizzate, pur essendo buone prese singole, però ecco, non ci sono grossi guizzi né sferzate, è un album piatto, monotono e con tanti déjà-vu. Però al 6 ci arriva.
d.r.i.
Mercoledì 31 Maggio 2017, 12.17.16
5
zzzzzz, un tentativo di revival di se stesso mal riuscito. Voto non oltre il 50
freedom
Mercoledì 31 Maggio 2017, 9.38.19
4
Bello, scarno e sporco. Atmosfere cupe e malate come al solito. Produzione secondo me molto bella con l'unica pecca della voce effettivamente a momenti troppo alta. Danzig per quanto mi riguarda è sempre una garanzia. Voto 75.
divusprinceps
Martedì 30 Maggio 2017, 22.47.59
3
dopo il quarto album Danzig ha preso una china bruttissima, dotata di ripidità altalenanti, ma comunque negativa...qui siamo ad uno dei punti più bassi. Idee scarse, suoni veramente poveri, voce risicata, ma sopratutto Tommy Victor che è fastidiosamente inascoltabile. Non ha gusto, ripete sempre gli stessi schemi e annoia, annoia annoia...Rimpiango John Christ ogni giorno della mia vita
metal 73
Martedì 30 Maggio 2017, 22.32.18
2
a me questo album piace .....Lo ascolto con piacere trasuda DANZIG da tutti i pori. Sicuramente non é ai livelli dei primi album , ma non é affatto brutto. Con un missaggio migliore sicuramente avrebbe avuto qualche punto in più. Voce troppo alta rispetto agli strumenti, per il resto ....mi piace voto 70 .
Metal Shock
Martedì 30 Maggio 2017, 21.22.17
1
C`era una volta Danzig.....quattro album uno piu` bello dell`altro, poi il nulla,, artista che trascina avanti un non gruppo ed artisticamente non ha piu` nulla da dire. Questo disco vale proprio poco, i tempi di Lucifuge sono lontanissimi.
INFORMAZIONI
2017
AFM Records
Heavy/Doom
Tracklist
1. Black Laden Crown
2. Eyes Ripping Fire
3. Devil On Hwy 9
4. Last Ride
5. The Witching Hour
6. But a Nightmare
7. Skulls & Daisies
8. Blackness Falls
9. Pull the Sun
Line Up
Glenn Danzig (Voce, Chitarra ritmica, Basso)
Tommy Victor (Chitarra solista, Basso)
Joey Castillo (Batteria, Percussioni)

Musicisti Ospiti:
Johnny Kelly (Batteria, Percussioni)
Karl Rockfist (Batteria, Percussioni)
Dirk Verbeuren (Batteria, Percussioni)
 
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