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HELLFEST - DAY 1 - Clisson, Francia, 21/06/2013
02/07/2013 (3397 letture)
Ancora una volta l’Hellfest ha rappresentato il ritrovo estivo di metallari da tutta Europa, se non dall’intero globo, fosse stato per loro un tanto atteso ritorno nella magica terra di Clisson o che sia stata per loro la prima volta (come per il sottoscritto), quella che in parte, nel profondo, ti cambia un po’ per sempre, un modo meraviglioso e indimenticabile di celebrare la propria passione più grande, davanti alle luci di palchi come sempre calcati dai nomi più grandi, davanti a un pubblico numerosissimo, tutti con le corna alzate, tutti disposti a fare tanti chilometri e dormire in una tenda barcollante per ritrovarsi tutti assieme, riuniti indipendentemente dalla propria provenienza ad ascoltare la musica dei propri idoli, a divertirsi, a vivere il Metal nella sua forma più pura. Ecco il racconto dell’Hellfest 2013, da parte di chi ha avuto il piacere di viverlo.

THE DAY BEFORE
Tornare per tre anni di seguito in un posto significa davvero che in quel posto ti trovi bene. ’Hell ain’t a bad place to be’ cantava qualcuno qualche anno fa e alla fine non aveva tutti i torti. Quindi, pronte le valigie, preparati tenda e sacco e pelo, partiamo ancora una volta per Clisson, Regione della Loira Atlantica, Francia, patria dell’Hellfest. Questa volta, il viaggio è un po’ più lungo del solito, ma la compagnia è allegra e nonostante tutto, sembra che 18 ore non siano poi così drammatiche, tant’è che l’arrivo in città sotto un cielo grigio e pesante sembra davvero un piacevole ritorno a casa. Espletate le formalità all’ingresso, ci lanciamo verso il campeggio che va già riempiendosi. Montiamo la tenda e per prima cosa consumiamo un lauto pasto. Ci dirigiamo quindi all’ipermercato nel quale troviamo già un’amplissima legione di metalheads che hanno già preso d’assalto le generosissime scorte di birra approntate. Che ormai l’Hellfest sia diventato un evento da cui tutti traggono vantaggio è palese: 2000 sono le persone che ci lavorano nei giorni precedenti e in quelli successivi per far funzionare la macchina organizzativa, i negozi preparano tutti dei pacchetti speciali per i partecipanti, che si tratti di cibo, beveraggi, magliette, materiale da campeggio, CD, memorabilia di vario genere. L’ipermercato stesso è tappezzato di striscioni col marchio del festival e un grande “benvenuti” è attaccato all’ingresso in francese, tedesco e inglese (niente italiano e spagnolo, sarà per la prossima volta). Come detto la folla è già numerosa e potete immaginare le scene e i siparietti che si creano con la divertita popolazione locale che assiste a questa pacifica e rumorosa invasione (fa sempre un certo effetto sentire centinaia di persone urlare in growl o a comunque a voce piena “rock’n’roll!!!!” cinque-sei-sette volte all’interno di un ipermercato, assordando tutto e tutti). Il campeggio ha più o meno mantenuto l’impostazione dell’anno scorso, ma stavolta la zona-colazione e cibarie è fortunatamente ampliata, tra l’altro con un bar nel quale si trovano anche le bottiglie di vino ufficiali dell’Hellfest (6€ per 75 cl. di muscadet, vino tipico della zona, con tanto di etichetta riportante tutti i loghi dei gruppi che si esibiranno nella tre giorni). La zona docce risulta molto più dotata dell’anno precedente (6€ per tre giorni), ma sfortunatamente chiuderà dopo la mezzanotte, lasciando aperta solo la zona dei lavelli. Unico neo, i già pochi bagni all’interno del campeggio sembrano ancora più ridotti (saranno invece molti di più quelli all’interno dell’area concerti). Dopo aver fatto conoscenza con alcuni dei nostri simpatici vicini di tenda, stremati dal lungo viaggio e dopo esserci sistemati per bene, al primo imbrunire decidiamo di riposare, in vista del primo giorno di concerti. Ma il resto del campeggio non sembra pensarla allo stesso modo e fino alle quattro di mattina le urla, la musica pompata a tutto volume e i molti già “carichi” a sufficienza si fanno sentire in tutti i modi. Ma Morfeo in questo caso è clemente e fino alle nove di mattina, riusciremo più o meno a riposare.

DAY 1
Ci svegliamo con ancora la testa piena del casino della notte, ma dopo una capatina alle docce e una buona colazione siamo pronti. La mattinata si preannuncia già interessante, anche se in realtà, il nostro primo obbiettivo è il regno delle Meraviglie: l’Extreme Market. Alla dieci l’arena concerti viene ufficialmente aperta e corriamo così all’ingresso, ancora una volta riconoscibile sottoforma di facciata della Cattedrale del Metallo. La fila e la perquisizione dello staff dell’Hellfest sono velocissimi e siamo presto dentro, in tempo per la prima esibizione di quest’edizione. Tocca proprio ad una band francese darci il benvenuto, sono i debuttanti 7 Weeks.

7 WEEKS – VALLEY STAGE
La band francese ha da poco dato alle stampe il debutto Carnivora ed è visibilmente emozionata nel momento in cui sale sul palco, davanti ad un già nutrito pubblico. Il loro alternative metal intinto di stoner e psichedelia non tarda però a farsi apprezzare sin dalla prima traccia Acid Rain, opener granitica seguita a ruota dalla titletrack dell’album Carnivora, che col suo refrain cantabile non manca di essere apprezzata. La voce di Julien Bernard sembra risentire un po’ la collocazione mattutina e non riesce ad emergere in modo determinante, ma anche l’esecuzione della lunga e desertica Let Me Drown dimostra che la band ha delle buone carte da giocare e l’applauso finale del pubblico risulta del tutto meritato e non figlio del ben noto nazionalismo francese. Da rivedere senz’altro quando avranno accumulato un po’ più di esperienza.

SSS/BLACK SPIDERS – MAIN STAGE 02 E 01
Dopo l’esibizione dei 7 Weeks ci rechiamo di corsa presso l’Extreme Market, regno degli stand più svariati, tra CD, maglie e t-shirts, fino all’abbigliamento metal da bambini, spille, borchie e cinturoni di proiettili. Passiamo così un’ora ben più che piacevole, nella quale ho anche occasione di incontrare il “collega” Nicolò Brambilla ‘Nicko’, anche lui in trasferta con i suoi amici. Dopo un primo veloce giro (torneremo più volte sotto il tendone del market, ma intanto esco con una agognata t-shirt degli amati Trouble) torniamo ai concerti e ci rechiamo al Main Stage 02 dove si stanno esibendo gli SSS. Fautori di un thrash/hardcore combattivo ed impegnato i nostri hanno raccolto un discreto numero di persone; siamo comunque ancora lontani dai numeri che vedremo del weekend. La proposta per quanto ottimamente suonata e convincente da un punto di vista attitudinale, risulta davvero molto derivativa e tutto sommato scorre via senza infamia e senza lode, salvo per l’ottima canzone di chiusura, decisamente superiore alle altre. Cinque minuti e sul Main Stage 01 arrivano i Black Spiders; accolti con un sostanziale scetticismo, i nostri dimostrano invece di sapersela cavare alla grandissima, con una proposta che raccoglie i favori i favori degli amanti dell’hard rock e del southern. Con un sound pesante e un triplo attacco chitarristico, i nostri risultano accattivanti e melodici, grazie anche alla bella voce del frontman e non tardano a ritagliarsi una mezz’ora di gloria, grazie ad un pubblico ottimamente predisposto e già piuttosto caldo. Buona prova. Ma è già tempo della prima vera sorpresa del festival: tocca ai canadesi Vektor salire sul palco.

VEKTOR – MAIN STAGE 2
A scaldare il pubblico a Clisson nelle primissime ore del festival, per la primissima volta live in Europa, sono i giovani statunitensi Vektor, un quartetto progressive thrash spesso accostato ai “fratelli maggiori” Voivod per sonorità e tematiche sci-fi. In realtà i Vektor si dimostrano rapidamente essere una delle realtà più interessanti del panorama thrash attuale, presentandosi come una band fresca, ricca di inventiva e originalità, nonché di tecnica e di un arsenale di pezzi davvero impressionante. Il pit di fronte ai Vektor si popola rapidamente e il pubblico è sinceramente coinvolto e interessato alla loro esibizione, di tutta risposta impeccabile per precisione chitarristica, compattezza ritmica e abrasività delle vocals. La loro musica è ricca di cambi di tempo e articolata, come si è potuto sentire in Tetrastructural Minds; non poco spazio è però lasciato alla tecnica, senza mai sacrificare un’aggressività propente e tagliente, come quella di Deoxyribonucleic Acid. Chiudono con una più catchy e thrashosa Asteroid, trovando piena accoglienza da parte del pubblico, già coinvolto in un ampio circle pit.
Terminata la strepitosa esibizione dei Vektor (un vero peccato che siano stati collocati così presto al mattino), toccherebbe agli Hardcore Superstar sul Main Stage 01, ma decidiamo di andare a mangiare e ci rechiamo così all’area degli stand alimentari che quest’anno sono stati raccolti tutti vicino al boschetto, a metà strada tra i due Main Stage e il Warzone, il palco dedicato all’hardcore/punk. Gli stand si sviluppano lungo due vialetti paralleli, al termine dei quali troviamo l’area ristoro con lunghe tavolate e panchine e oltre una lunga fila di bagni. Si tratta di almeno una quarantina di stand alimentari, anche se forse quest’anno la varietà è leggermente inferiore e abbondano hamburger e patatine fritte. I bar e gli stand del merchandising ufficiale, invece, come da programma sono sparsi lungo tutta l’arena concerti e si nota che stavolta ciascun palco ha almeno due file di bagni a disposizione (mai troppi in realtà). Già dal venerdì si registra, infine, una affluenza probabilmente superiore a quella degli anni precedenti, anche se poi secondo le stime ufficiali, in realtà i biglietti staccati alla fine saranno 112000, appena al di sotto dei 115000 dell’anno precedente.

HOODED MENACE – ALTAR STAGE
Sul palco Altar, quello di norma dedicato al death Metal, i finlandesi Hooded Menace danno inizio agli oscuri rituali con un death metal cupo e funereo, appesantito da importanti influenze doom metal, che riportano facilmente alla mente gli Asphyx nelle parti più lente. Nonostante la brevità dell’esibizione, il quartetto incappucciato (come da tradizione del gruppo sul palco) dimostra di padroneggiare con maestria la maestosità infernale di un death Metal devoto alle sue accezioni più cupe e cavernose; non certo immediati, ma decisamente pesanti: una buona esibizione dunque.

HEATHEN – MAIN STAGE 02
Terminato il pasto corriamo al Main Stage 02 sul quale sono appena saliti Bay Area thrashers Heathen. Attendevamo con gusto la loro esibizione e la band non delude affatto le aspettative, di fronte ad un pubblico inizialmente non numerosissimo, che cresce però col passare dei minuti. E’ Dying Season ad aprire le danze e da subito si percepisce il grande affiatamento raggiunto dal gruppo, mentre i volumi vengono prontamente equilibrati e le coppia di asce Altus/Lurn comincia ad intessere le complicate trame dei brani. Segue Control By Chaos, ma mentre temiamo che l’esibizione si concentri solo sull’ultimo album, ecco che David White annuncia l’opener di Victimis of Deception, la tellurica Hypnotized. E’ poi il turno di No Stone Unturned durante la cui esecuzione inizia a cadere una fitta pioggia. Ma il pubblico dell’Hellfest è ormai rodato ai repentini cambi atmosferici dell’area e nessuno si scompone. Chiude così il buon set dei californiani la consueta Death By Hanging, cantata a pieni polmoni dai presenti.

SAXON - MAIN STAGE 01
Veloce cambio palco e ci spostiamo subito per l’esibizione dei Saxon. Passati di recente anche in terra italiana, gli inossidabili guerrieri inglesi presentano qui il nuovo album Sacrifice, aprendo le danze proprio con la titletrack. Byff e soci contano ormai da tempo su uno zoccolo durissimo di fans esaltati e così la loro esibizione è da subito incandescente e praticamente priva di smagliature, con un Nigel Glockler potentissimo dietro le pelli. Ai pezzi del nuovo album si affiancano i classici Motorcycle Man, Heavy Metal Thunder, The Power & the Glory, Denim and Leather, Princess of the Night e la conclusiva Wheels of Steel. Byff dal canto suo sembra aver scoperto qualche segreto e la sua esibizione è addirittura in crescendo, chiudendosi in maniera egregia, condita dai classici fischi e dalla solita incontenibile energia. E’ sempre un piacere rivedere questa grande grande band nel suo elemento naturale. Long live Saxon!

AURA NOIR – TEMPLE STAGE
Sul palco Temple, invece solito ospitare i nomi black metal del festival, si esibiscono nel primo pomeriggio i veterani norvegesi del black/thrash ottantiano, quello truce e blasfemo figlio dei Sodom e dei Venom: anche dopo ben 20 anni di carriera, i leggendari Aura Noir ricordano bene quali siano le loro intenzioni musicali e non sembrano – giustamente – voler trovare alcun compromesso. Il risultato è una sequela di pezzi thrash sporchi e aggressivi, graffianti nell’incedere imbastardito dalle influenze più estreme. Peraltro militano nel gruppo Blasphemer, uno dei chitarristi storici dei Mayhem, e Apollyon, attuale bassista degli Immortal. Non c’è che dire, se non “Black thrash attack!!!” per citare gli Aura Noir stessi.

HELLYEAH/EUROPE – MAIN STAGE 02 E 01
Approfittiamo dell’esibizione degli Hellyeah per riprendere fiato e gustare la birra locale comodamente sdraiati sul prato. Il gruppo di Vinnie Paul e soci raccoglie un pubblico numeroso e partecipe ma, non me ne vogliano i loro fans, la loro esibizione è la più insopportabile e inutile fiera dei cliché sentita in tutto l’arco del festival. Questa sorta di Pantera senza talento rovescia tanti kilowatt e tanto sudore sul palco quanto sterile, monolitica e derivativa appare la loro proposta. Un vero peccato, considerando il pedigree dei membri di questo super(?)gruppo. Sinceramente fatichiamo ad arrivare in fondo a questi cinquanta minuti interminabili.
Arriva il momento per gli Europe di salire sul palco e anche per loro davanti al Main Stage 01 si registra il pieno, ma per la prima volta dalla mattina, qualcosa nei suoni non appare perfetto. Difficile dire cosa, in effetti, dato che tutti gli strumenti sono udibili e distinti, forse il vento, ma la musica dei cinque appare un po’ svuotata e inoffensiva, anche rispetto a quanto sentito da pochi mesi nella loro calata italiana. La scaletta proposta ricalca essenzialmente quella proposta nel recente tour con Riches to Rags e Firebox tratte dall’ultimo Bag of Bones a scaldare i presenti, seguite poi da alcuni dei numerosi classici della band tra cui Scream of Anger, Supertitious, Girl from Lebanon e Rock the Night, durante la quale il pubblico presente si scatena finalmente. A chiudere il set ci pensano una applaudita Last Look at Eden e ovviamente l’immancabile The Final Countdown. Buonissimo concerto quello offerto dagli Europe al quale forse è solo mancata un po’ di grinta. Diamo la colpa al vento, per questa volta.

BETWEEN THE BURIED AND ME – ALTAR STAGE
Il quintetto statunitense sale sul palco con una proposta unica e interessante rispetto alla programmazione della giornata: si può discutere a lungo sullo stile del gruppo, che varia dal metalcore (o mathcore, come viene a volte nominato) al progressive e al metal sperimentale, ma è chiaro che intendano proporre musica eclettica, ricca di inventiva e influenze diverse mescolate tra loro. La preparazione dei musicisti è ottima e non faticano a destreggiarsi in pezzi intricati, freddi e precisamente calcolati, ma non certo incapaci di suscitare interesse anche verso ai meno avvezzi alle sonorità del gruppo e l’esibizione trova un riscontro interessante.

TESTAMENT – MAIN STAGE 02
Nuovo cambio di palco e mentre torniamo al Main Stage 02 inizia il concerto dei Testament. La band di San Francisco presenta ai calorosissimi fans l’ultimo album Dark Roots of Earth con una vera e propria esibizione di forza. I volumi, inizialmente un po’ confusi, trovano velocemente un settaggio letale e praticamente sin da subito non c’è scampo per nessuno. La violenza sprigionata dai cinque è annichilente, quasi da death metal band e non bastano i belli e melodici assoli intessuti da Skolnick a lenire le legnate provenienti dal resto della band. Chuck Billy è al solito padrone della scena ed anche se a livello vocale si attesta ormai quasi sempre su un growl acido, la sua prestazione è senz’altro positiva. A fianco dei nuovi brani, tra i quali citiamo almeno una devastante True American Hate e la trascinante Native Blood, i nostri trovano il modo anche di recuperare qualche brano dal proprio passato come Practice What You Preach, Into the Pit ed Over the Wall. Si può però anche notare qualche strana sbavatura durante l’esecuzione di The New Order, nella quale non si capisce se sia Billy o piuttosto un devastante Gene Hoglan a mancare un paio di rientri, con conseguente taglio della linea melodica. Strano errore per un gruppo di questa caratura, seppur del tutto perdonabile, visto che in conclusione non inficia minimamente la resa di uno show a dir poco provante.

ASPHYX – ALTAR STAGE
La leggenda olandese del death metal torna a calcare (per fortuna mia e dei presenti) il palco dell’Hellfest, promettendo nuovamente una scarica di adrenalina e headbanging sfrenato al ritmo incalzante di un death monolitico e impietoso, appesantito da rallentamenti funerei che sono diventati un marchio di fabbrica per il gruppo in questione. La partecipazione del pubblico non tarda a farsi sentire sotto gli incitamenti di un carichissimo Martin Van Drunen. Aprono con la storica Vermin, per poi pescare anche pezzi dagli ultimi due acclamatissimi album, quali Scorbutics, Death… The Brutal Way e Deathhammer. Tra i pezzi storici, le maestosamente eseguite Last One on Earth, M.S. Bismark e la monolitica Asphyx (The Forgotten War). Riff taglienti e batteria al cardiopalma che si intrecciano con parti lente e pesantissime, in cui la distorsione delle chitarre spazza via qualunque cosa. Gli Asphyx danno un’altra preziosa lezione di devozione al death metal nel senso più puro, bellicoso e mortuario del termine.

TWISTED SISTER – MAIN STAGE 01
Chi ha seguito le news provenienti dal sito ufficiale dell’Hellfest, ricorderà una sorta di strano balletto sulla collocazione dei Twisted Sister e dei Whitesnake, con le band che si scambiano nel corso dei mesi il posto in scaletta. Alla fine, deve averla vinta il buon David Coverdale e così ai Twisted ‘Fuckin’ Sister resta l’esibizione pomeridiana, mentre anche il sole finalmente fa capolino. L’energia della band newyorchese è proverbiale, così come il carisma inimitabile di Dee Snider, che non manca di ironizzare facendo notare che “c’è così poco tempo e così tanti culi di altre band da rompere”. Il gruppo non ha certo bisogno di inventare niente e così ecco che una lunga serie di classiconi si fa strada con numerosi estratti da You Can’t Stop Rock’n’Roll e Stay Hungry che viene riproposto quasi per intero, per il sommo gaudio di un pubblico al vero e proprio delirio collettivo che al termine di We’re Not Gonna Take It continua a cantare il ritornello più e più volte, costringendo Jay Jay French ad interrompere il proprio intervento per ricominciare a suonare. E’ ancora l’istrionico Snider a tenere la folla scherzando sul fatto che la folta chioma bionda sulla sua testa sono i suoi veri capelli e non una ‘fottuta parrucca’. Il cantante si avventura poi ancora nell’espediente di voler fare alzare in piedi tutti i presenti, e dimostra quanto la sua sana arroganza di strada continui ancora a fare di lui uno dei più grandi frontman di tutti i tempi. Horns Up per i Twisted Sister, a tutt’oggi una delle band più divertenti e coinvolgenti al mondo su un palco.

PRIMORDIAL – TEMPLE STAGE
I Primordial, attesissimi dal devoto pubblico di fans davanti al palco del Temple, riservano purtroppo il primo dispiacere della giornata, benché indipendentemente dalla loro volontà: infatti il quintetto Celtic/Black Metal irlandese arriva in ritardo a causa della mancata puntualità della linea area, perdendo preziosi minuti dell’ora a disposizione. La band sale in tutta fretta sul palco e comunque non risparmia colpi, procedendo in un esibizione impeccabile, in grado di trascinare con la sua energia ma anche fare emozionare il pubblico grazie alla bellezza dei passaggi melodici e atmosferici (in particolare in The Coffin Ships). La voce meravigliosa di Alan, assolutamente pulita su una base musicale invece sporca, rappresenta una contrapposizione unica che vale ai Primordial un’originalità e un’efficacia live che non ha paragoni nell’ambito estremo. La conclusiva Empire Falls è a dir poco da brividi, e il vocalist e frontman non risparmia la sua inconfondibile teatralità nelle movenze per intensificare il legame emotivo che scorreva dal palco a noi astanti, incredibile.

CEREMONIAL OATH – ALTAR STAGE
I Ceremonial Oath sono un gruppo storico del panorama death metal svedese, ingiustamente passato in sordina, dato che contribuirono assieme agli At The Gates alla definizione del suono caratteristico del melodeath scandinavo all’inizio degli anni ’90, contando nella propria formazione storica personaggi noti del panorama metal: alle chitarre Anders Iwers dei Tiamat e Oscar Dronjak degli Hammerfall, nonché Jasper Stromblad, fondatore degli In Flames , al basso. Come spiega il cantante Oscar, la reunion è stata il pretesto per tornare a suonare il loro vecchio materiale e divertirsi e benché la formazione nel complesso debba ancora scrollarsi un po’ di ruggine addosso, i musicisti sanno tenere il palco alla grande e il sound proposto è compatto, aggressivo e trascinante, ma articolato e musicalmente appassionante; in particolare, viene proposto interamente il primo full-length The Book of Truth. Ad animare il finale, Tomas Lindberg degli At The Gates si unisce ai connazionali per cantare personalmente la cover Submit to Death dei leggendari Grotesque, gruppo death metal in cui lo stesso Lindberg militò in gioventù.

WHITESNAKE – MAIN STAGE 01
Dopo esserci presi un’altra pausa durante l’esibizione dei Kreator, torniamo al lato del Main Stage 01 per il concerto dei Whitesnake. E’ in realtà solo l’amore per quello che fu questa band a portarci qui, consapevoli di quanto sta per andare in scena. Già dall’opener Give Me All Your Love Tonight appare infatti evidente quello che tutti sappiamo già: David Coverdale non ha più voce. In maniera totale e purtroppo fin troppo evidente. Il grande singer infatti conserva solo una discreta tonalità bassa, ma non appena prova appena a cambiare tono, subito la sua disastrata gola produce una sorta di gracchio sgraziato e sconfortante, che viene coperto con mestiere dai cori del resto della band e dall’immancabile e francamente patetico ricorso al supporto del pubblico. Tolto questo, lo show è sicuramente piacevole e d’altra parte parliamo di una band composta da musicisti di livello strepitoso, con il duo delle meraviglie Aldrich/Beach alle chitarre che ci delizia tra esecuzioni impeccabili e assoli fulminanti e lo scatenato e grandissimo Tommy Aldridge dietro le pelli, con la consueta e straripante energia culminante nell’ormai grigia cesta di capelli. Il set offre vari classici, ma è paradossalmente l’esecuzione di Forevermore, titletrack dell’ultimo album, a far scattare i primi brividi. Chiusura di set con le immancabili Fool for Your Loving, Here a Go Again e Still of the Night. Poco da dire: musicisti ottimi, grandi canzoni, ma Coverdale è ormai imbarazzante e lo rileviamo con la morte nel cuore.

CARPATHIAN FOREST – TEMPLE STAGE
I Carpathian Forest, quintetto black metal norvegese, sono noti per il loro approccio esplicito e morboso a questo genere: sfoggiano un’immagine degna del più solido cliché da blackster, con tanto di croce rovesciata e machete impugnati dal carismatico vocalist Nattefrost e non mancano nemmeno fiammate e scintille sul palco in diversi momenti dell’esibizione. Suonano senza fronzoli né compromessi un black metal abrasivo, in linea con la vecchia scuola norvegese, senza sdegnare influenze thrashy e talvolta un’attitudine crust, a sporcare il suono tagliente e adornato da lyrics nefande e perverse. Un pizzico di ironia ed esagerazione non manca certo nei Carpathian Forest, è evidente, ma il loro assalto musicale è da prendere assolutamente sul serio, dimostrandosi incredibilmente detonante, grazie inoltre a ottimi suoni. I pezzi variano da parti di pura aggressività ad altre più cupe, senza mai perdere il tono energico e incalzante della loro esibizione, che non manca però di suonare in alcuni punti un po’ ripetitiva, ma assolutamente interessante. Tra gli highlight assoluti la celebre e distruttiva Black Shining Leather o It’s Darker than You Think in apertura.

SLEEP – VALLEY STAGE
Altra corsa, stavolta per tornare al Valley presso il quale avevamo iniziato la giornata. L’appuntamento è per lo show degli Sleep. Arriviamo che il concerto è in realtà già iniziato e la scena che troviamo è quella che resterà immutata sino alla fine: Al Cisneros barricato dietro al proprio basso che ogni tanto si ricorda di declamare con una voce a metà tra Ozzy Osbourne e una vecchia signora non più tanto presente, una linea melodica che appare in realtà più o meno sempre la stessa; un mastodontico e ciccionissimo Matt Pike coraggiosamente a torso nudo che spara riff con una lentezza e una pesantezza quasi intollerabile e l’ottimo Jason Roeder dietro le pelli che cerca inutilmente di dare un minimo senso di dinamica ad una musica monolitica, stordente e sicuramente stoner, ma anche maledettamente ripetitiva e, alla fine, noiosa. Si distinguono i brani tratti da Sleep’s Holy Mountain, in particolare il duo Dragonaut/The Druid, ma arrivare al termine della loro esibizione è una pura manifestazione di sadomasochismo musicale.

AT THE GATES – ALTAR STAGE
Decisamente uno dei gruppi estremi più attesi della giornata, la leggendaria band svedese non manca di soddisfare i propri numerosi fan fin dal “Go!!!” inconfondibile all’inizio dell’opener dello show, l’immancabile Slaughter of the Soul. Non servono presentazioni per loro, si tratta della line-up storica dei veri e propri pionieri del sound del death metal di Göteborg, che si manifesta interamente in una setlist impressionante: oltre agli immancabili classici tratti dal capolavoro Slaughter of the Soul, quali Cold, Suicide Nation, World of Lies e numerose altre, anche un’eccellente All Life Ends, nonché l’impressionante Terminal Spirit Disease. Nella parte centrale della scaletta, non mancano di celebrare la scomparsa di uno dei personaggi più influenti della scena Metal, dedicando a Jeff Hanneman la cover di Captor of Sin, scelta che trova una calorosa accoglienza da parte del pubblico. In chiusura, subito dopo le note di Into the Dead Sky, suoni distorti e le parole “We are blind to world within us, waiting to be born” aprono l’immancabile e acclamatissima Blinded by Fear, seguita da Nausea e Kingdom Gone per un finale davvero impagabile. La prestazione vocale è davvero ottima e anche la foga non è mancata da parte del gruppo, invero un po’ freddo sul palco ma non musicalmente. I pezzi sono compatti e veloci, mentre le loro melodie sono inconfondibili, coinvolgono i numerosi astanti; le chitarre sono taglienti, la voce abrasiva e l’atmosfera è ancora quella degli esordi, uno show incredibilmente emozionante.

GOD SEED – TEMPLE STAGE
Successivamente alla separazione nei Gorgoroth tra Infernus da una parte e King e Gaahl dall’altra, i God Seed (che hanno dovuto rinunciare al moniker originale per questioni legali) rappresentano la continuazione del gruppo da parte dello storico bassista e del cantante, proseguendo l’esperimento musicale intrapreso con Ad Majorem Sathanas Gloriam (dal quale sono stati tratti la maggior parte dei pezzi della setlist dei God Seed) nel recente album I Begin. La direzione musicale punta a un black metal dall’approccio più sperimentale (ne è un esempio Alt Liv), in cui non manca la componente atmosferica e sono privilegiati caos e oscurità rispetto alle sonorità standard del genere. In realtà, dopo la loro esibizione mi sento in parte combattuto: se da una parte la proposta musicale dei God Seed mi è sembrata interessante e in grado di trasmettere quel mood caotico che si ritrova nel loro approccio musicale, i volumi erano troppo alti e si confondevano tra loro, generando una sorta di amalgama difficilmente distinguibile di suoni, tale da rendere molto meno apprezzabile l’esibizione, fino al punto di coprire spesso la voce (d’altra parte meno potente di quanto mi aspettassi) del vocalist Gaahl. Dunque se da una parte non è mancata l’atmosfera e le luci del palco abbiano reso ancor più unica la location, l’aspetto musicale è stato meno decifrabile e godibile di quanto sperassi.

DEF LEPPARD – MAIN STAGE 01
Il salto dallo stoner annichilente degli Sleep all’hard rock vivace e poppeggiante dei Def Leppard non potrebbe essere più ampio, eppure passiamo da un Valley strapieno ad un Main Stage 01 a dir poco straripante, sul quale i tre megaschermi montati stanno già sparando immagini, mentre l’intro di We Won’t Get Fooled Again dei The Who sta coinvolgendo il pubblico. La band sale sul palco proprio durante l’intro e termina la coda del brano suonando in diretta, con Joe Elliot che si presenta sul palco con una tenuta abbastanza ridicola, con tanto di tuba e spolverino marrone. Vivian Campbell è visibilmente provato dalla brutta malattia che lo ha colpito e che è stata recentemente resa nota, ma forte di uno spirito encomiabile dimostrerà tutta la propria grandezza di uomo e musicista suonando un set praticamente perfetto assieme al compagno di reparto Phil Collen, al contrario palestratissimo e piuttosto “unto”, a dire il vero. Ma torniamo alla musica, con una vera e propria “chicca”: l’esecuzione di Wasted dal primo album On Through the Night, unica composizione in solitaria del compianto e più volte celebrato Steve Clark. Tocca poi a Let’s Get Rocked, accolta da un boato dal pubblico e dopo a Foolin’, per un concerto che è già un trionfo, sin dalle prime note. Seguono la cover di Action e soprattutto una doppia Bringin’ on the Heartbreak seguita da Switch 625. E’ emozionante per chi conosce la storia di questa band, vedere finalmente Rick Savage e compagni arrampicarsi sull’imponente scenografia e restituire con grande classe e precisione i cori e le varie parti di canzoni che hanno segnato un’epoca e quando cala il buio e sullo schermo appare un lungo (a dirla tutta, troppo lungo) filmato che riassume l’inizio della carriera della band ed il percorso che portò alla registrazione del loro classico Hysteria, non resta che prepararsi a quanto sta per avvenire. La sorpresa annunciata è infatti l’esecuzione integrale proprio di Hysteria: non starò a tediarvi con una lunga teoria di titoli, visto che il disco è stato eseguito per intero. Quello che posso dire è che l’esecuzione è assolutamente perfetta, da brividi continui, anche da parte di un Joe Elliot che seppure a volte in difficoltà, porta a termine in maniera encomiabile l’esibizione. Non si riesce a citare un brano in particolare, perché tutto il disco è eseguito splendidamente, con partecipazione e trasporto tanto da parte della band, supportata anche dalle molteplici immagini (i televisori per Rocket, il countdown per Armaggedon It, l’assolo di Steve Clark da cui nacque il meraviglioso intro di Gods of War, le immagini delle rivolte per Run Riot, il video di Hysteria, le lampadine per Love and Affection), quanto da un pubblico rapito e praticamente in trance lungo tutta l’esibizione. In questo senso, a parlare sono le emozioni individuali, in una serata indimenticabile, che restituisce la grandezza di una band e di un disco che dopo il grande botto, ha pagato eccessivamente lo scotto per essersi così esposta alle critiche del pubblico del rock e che non ha mai in realtà rinnegato la propria natura, come testimoniato dall’esibizione di stasera. Il set si chiude con cinque minuti di ritardo rispetto all’orario previsto e conoscendo la precisione in materia, quando parte la musica di sottofondo, il pubblico comincia a scemare, ma le sorprese non sono finite ed evidentemente, dopo essersi messi d’accordo con il gruppo seguente (per la cronaca i Korn), i nostri tornano sul palco e chiudono alla grande con Rock of Ages e Photograph uno show da ricordare e tramandare ai posteri. Da notare, come il coraggioso e generoso batterista Rick Allen sia stato costretto sin da metà dello show in poi a suonare con una mascherina per l’ossigeno sul volto. Se l’espressione “cuori di leone” ha un significato ebbene, vale appieno per i membri del ‘Leopardo Sordo’.

SIX FEET UNDER – ALTAR STAGE
Pur essendo i Six Feet Under, progetto dell’ex storico cantante dei Cannibal Corpse, Chris Barnes, una band dalla storia piuttosto controversa e spesso definita sopravvalutata, l’esibizione all’Hellfest ha avuto un bilancio più che positivo. Ne stato indicatore anche l’affollamento sotto il loro palco, benché fosse l’1.05 di notte e ci fossero molte facce assonnate, prontamente risvegliate da Barnes e soci: i Six Feet Under si sono presentati con una line-up quasi totalmente rinnovata, giovane e tecnicamente preparata, che ha saputo condurre uno show che, complici i suoni potenti e presenti, mi ha decisamente convinto. Da una parte il suono dei vecchi pezzi è un misto di riff alla Cannibal Corpse e Obituary in parti cadenzate e ritmate, mentre dall’altra i nuovi pezzi sfoggiano anche accelerazioni e strutture più articolate e mature. Prova definitiva della validità di questa formazione: la cover finale di Hammer Smashed Face, suonata accelerata rispetto all’originale pietra miliare dei Cannibal Corpse; una compattezza e una precisione che non lasciano indifferente nessuno benché siano già le due del secondo giorno, mentre la voce di Barnes è più che mai cavernosa e gutturale. Il frontman sa come incitare i presenti, senza evitare improperi e riferimenti all’altra “attività” che conduce oltre a quella musicale: “It’s f*****g time to get stoned!!!”; la sua presenza vocale è inconfondibile, sia nel growl potentissimo che nei morbosi (ma forse un po’ abusati) acuti. E si torna in tenda, stanco ma decisamente soddisfatto.


Introduzione, report di Vektor, Hooded Menace, Aura Noir, Between The Buried And Me, Asphyx, Primordial, Ceremonial Oath, Carpathian Forest, At The Gates, God Seed e Six Feet Under a cura di Nicolò Brambilla 'Nicko'

The Day Before, report di 7 Weeks, SSS/Black Spiders, Heathen, Saxon, Hellyeah/Europe, Testament, Twisted Sister, Whitesnake, Sleep, Def Leppard, a cura di Saverio Comellini 'Lizard'



Steelminded
Giovedì 4 Luglio 2013, 18.18.33
15
Io mi sono fatto il Graspop quest'anno, terza serata. Davvero un bel festival! Con Iron Maiden di punta e dei grandissimi Testament
Nerchiopiteco
Giovedì 4 Luglio 2013, 17.26.39
14
Grande festival, come tutti gli anni ormai; peccato non esserci stato; mi rifarò ad agosto col festival Leyendas del Rock, ritroverò pure parte del bill!!!! Immensa rosicata, però, per i Manilla Road
Lizard
Giovedì 4 Luglio 2013, 16.36.30
13
I Kreator li ho visti 200 volte e comunque ci siamo goduti Hordes of Chaos e il finale. Gli Hardcore Superstar li ho ascoltati mentre mangiavamo, non mi sembrava elegante parlarne tanto per dire qualcosa voi riderete ma prendersi un'ora per mangiare a sedere a volte e' indispensabile se vuoi arrivare a fine giornata senza strisciare sui gomiti
the Thrasher
Giovedì 4 Luglio 2013, 15.05.04
12
Quoto Matocc! e anche durante gli hardcore superstar
Matocc
Giovedì 4 Luglio 2013, 14.25.08
11
ragazzi vi voglio bene ma... prendersi una pausa durante i Kreator!! piango
Lizard
Mercoledì 3 Luglio 2013, 8.50.06
10
@Vesper-Jana: in effetti ci siamo "scontrati" all'Extreme Market comunque, per quest'anno sei perdonata, ma l'anno prossimo...
The Preacher
Martedì 2 Luglio 2013, 23.10.40
9
Ma con che set ha suonato il batterista ddei Vektor? Tanta stima!
jek
Martedì 2 Luglio 2013, 20.46.58
8
Come sempre c'è solo l'imbarazzo della scelta. Avrei visto molto volentieri i Vektor. Grande esperienza e grande report, onestamente con la mia memoria al 3-4 gruppo andrei in palla.
Vesper-Jana
Martedì 2 Luglio 2013, 18.09.26
7
Eeeh..l'Hellfest, peccato non esserci stata quest'anno.. Ehi Saverio, ma Nicolò sei riuscito ad incontrarlo oppure no?
stacchi
Martedì 2 Luglio 2013, 14.40.27
6
I Leppard!! Uno dei miei gruppi preferiti di sempre. Fecero una grande esibizione anche al Download di due anni fa...
Lizard
Martedì 2 Luglio 2013, 14.33.58
5
Che devo dirvi? Io adoro Sleep's Holy Mountain e se ho scelto di vedere loro invece di Helloween o Carpathian Forest che suonavano in contemporanea, un motivo ci sarà stato... Però, non mi hanno dato quello che speravo. O meglio... Forse me lo hanno dato fin troppo e in maniera fin troppo unidirezionale.
-Cobray
Martedì 2 Luglio 2013, 12.31.41
4
*per averli visti e rosico per essermeli persi Che figura!
-Cobray
Martedì 2 Luglio 2013, 12.30.34
3
Ottimo report, ma hai maltrattato troppo gli Sleep! Dai, ti invidio tantissimo per essermeli persi e tu me li snobbi così?
brainfucker
Martedì 2 Luglio 2013, 11.23.19
2
ognuno ha i suoi gusti per carità, ma un esibizione come quella di un gruppo come gli sleep è tutto tranne che noiosa secondo me, sicuramente non è adatta a tutti, ma emozionano come pochi altri
Theo
Martedì 2 Luglio 2013, 10.58.32
1
Grande report, però personalmente aspetto quelli degli altri giorni in cui ci sono gruppi che m'interessano molto
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