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HELLFEST - DAY 3 - Clisson, Francia, 23/06/2013
04/07/2013 (2968 letture)
DAY 3

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Dopo le grandi ed emozionanti esibizioni dei giorni scorsi, la domenica, terzo ed ultimo giorno di concerti, si presentava ricca di band interessanti, ma priva di un headliner di peso, come era stato per i giorni precedenti. Poco male, in realtà. Tempo per annotare che, come tutti gli altri giorni, il personale dell’Hellfest passa per tutto lo sterminato campeggio (ricordiamoci che parliamo di 112000 biglietti venduti) a ritirare i sacchetti della raccolta differenziata, tenda per tenda, lasciandone di nuovi. Come anche per il Wacken, questo sistema consente di avere un campeggio tutto sommato pulito e ordinato, anche grazie all’ottima educazione della popolazione francese in merito, al di là dei singoli. Sempre come nella lezione di Wacken, alle porte del campeggio troviamo un box dell’organizzazione presso il quale è possibile portare direttamente i sacchetti, ricevendo in cambio uno o più gettoni, che sono la “moneta” spendibile all’interno dell’arena concerti per l’acquisto delle bevande ai bar. Un sistema ottimo e dal quale c’è solo da imparare, come da imparare (lo diciamo da anni, ormai) è il sistema della cauzione sui bicchieri o sulle brocche distribuite all’interno. Al di là di chi di fatto “compra” i bicchieri come memorabilia per portarli a casa con un solo euro di cauzione, per il resto, è impossibile trovare un solo bicchiere per terra, con questo sistema. In buona sostanza, si paga 4€ per il bicchiere di birra o 13€ per la brocca da un litro e mezzo, dopo di ché, ogni birra ripresa all’interno dello stesso bicchiere o brocca costa un euro meno ed è possibile eventualmente farsi rimborsare i soldi (in gettoni) della cauzione, se si restituiscono uno o più bicchieri al bar. Inconcepibile quindi vedere spesso in Italia i veri e propri tappeti di bicchieri di plastica rotti al termine dei concerti, che qua sono totalmente assenti, grazie a questo semplice stratagemma. Siamo convinti che non ci voglia del genio per capire quanto sia vantaggioso questo sistema sotto ogni punto di vista (basti considerare quante tonnellate di rifiuti si risparmiano e che business si può creare sugli stessi bicchieri e brocche con i disegni e il marchio del festival, che vengono acquistati anche come ricordo) e quanto converrebbe imparare dalle esperienze estere. Al solito, basta volerlo fare.

LEPROUS – TEMPLE STAGE
Aprono la giornata alle dieci e mezza precise i cinque giovani ma preparatissimi norvegesi Leprous, che propongono ai mattinieri dell’Hellfest un amalgama vario ed eclettico di influenze e suoni che compongono un prog metal intenso, vario e maturo. Interessanti i pezzi dal nuovo Coal, mentre colpiscono ancora di più gli estratti del precedente Bilateral. Poche gestualità da band, piuttosto un freddo rapporto col pubblico, a cui danno però prova di precisione, tecnica e fresca inventiva; la voce è da pelle d’oca, decisamente una band da tener d’occhio.

HAEMORRHAGE – ALTAR STAGE
Sull’Altar si passa al deathgrind grezzo e diretto degli spagnoli Haemorrhage, che salgono sul palco vestiti coerentemente alle loro tematiche splatter, con camici da chirurgi, mentre il cantante, a torso nudo, salta da una parte all’altra completamente coperto di sangue. Una presentazione colorata per una trentina di minuti di aggressività musicale: velocità, compattezza e anche un pizzico di grezzume; in fin dei conti, un suono derivativo dei vari Carcass, General Surgery o Exhumed, ma sufficiente a intrattenere con un po’ di sana violenza gore i presenti.

KRISIUN – ALTAR STAGE
Il pomeriggio sotto il tendone blu comincia con qualche nome che proprio non scherza, e che quasi dispiace vedere suonare a mezzogiorno; ciò nonostante, gruppi come i Krisiun non scendono a compromessi quando si tratta di suonare death metal e anche con solo 30 minuti a disposizione, i tre brasiliani mettono a ferro e fuoco l’Altar. Tra i pezzi delle release più recenti, non manca anche qualche classico come Kings of Killing, titolo che peraltro i Nostri si meriterebbero. Riff morbosi e vocals infernali, su un incessante martellamento di blast beat e doppia cassa; dopo 23 anni di devozione al death metal, sanno bene come suonare e lo dimostrano egregiamente.

PRONG – MAIN STAGE 02
Dopo l’esibizione dei Leprous, incredibilmente posizionati alle 10.30 di domenica mattina, approfittiamo per l’ultimo passaggio all’Extreme Market per gli acquisti di rito. Il tempo corre veloce ed è già il momento di recarsi presso il Main Stage 02 per l’esibizione dei Prong. Gruppo seminale quello di Tommy Victor, che ha saputo evolvere il thrash fino alle soglie dell’industrial, risultando al contempo progenitore anche del groove e del NuMetal. La band è in forma smagliante e sin dall’apertura pesta e macina riff a profusione con un chiaro piglio thrash, mentre la bella voce di Victor si staglia nell’aria, dimostrando da subito che stiamo parlando di un gruppo di qualità superiore. La copertina del terzo album Beg to Differ campeggia alle spalle dei musicisti ed è infatti l’opener di quell’album For Dear Life a dare il via all’esibizione, seguita da Unconditional, tratta da Prove You Wrong e dalla titletrack di Rude Awakening, ma c’è spazio anche l’album di mezzo, Cleansing, da cui vengono estratte Whose Fist is This Anyway e Snap Your Finger, Snap Your Neck. Peccato per l’esclusione di Prove You Wrong da una scaletta comunque equilibrata, per un’esibizione ottima, corredata dai continui salti di Victor e del bassista, che non si sono risparmiati un attimo. Assolutamente da rivalutare.

INQUISITION – TEMPLE STAGE
Gli Inquisition sono un duo colombiano dedito a un black metal alienato, abrasivo ed evocativo e pur essendo arrivati a festeggiare quest’anno i 25 anni di attività, resta un gruppo di culto ingiustamente sconosciuto ai più. Ma come altre volte in queste 3 giornate, il pubblico dell’Hellfest non sembra essersi dimenticato di chi ha riservato tanta dedizione alla musica estrema e quando gli Inquisition salgono sul palco, l’afflusso di pubblico è davvero importante. Sebbene avessi qualche dubbio rispetto all’efficacia sonora data la presenza esclusiva di chitarra (con voce) e batteria nella formazione, il muro sonoro sprigionato è invero sorprendentemente potente e pienamente in grado di trasmettere l’oscurità dei pezzi intricati che propongono, tra cui l’ottima Desolate Funeral Chant o Astral Path to Supreme Majesties, più diaboliche che umane. Quella degli Inquisition è un’esibizione black metal senza compromessi: nessun cenno al pubblico, sorriso; statici e impassibili scaraventano sulle nostre orecchie 40 minuti di follia.

CRYPTOPSY – ALTAR STAGE
Attesissimi (almeno per quanto mi riguarda) i leggendari Cryptopsy, colonna portante mondiale della brutalità, purtroppo relegata a uno spazio pomeridiano che sta stretto al talendo strabordante del quartetto (o almeno tale dopo la recente dipartita del chitarrista Jon Levasseur). In verità dei disumani Cryptopsy del passato rimane solo un mostruoso Flo Mounier, che sembra migliorare ogni anno che passa. Come purtroppo ho capito, il numero di metalheads all’Hellfest interessati agli show death metal è incredibilmente inferiore a quelli che hanno partecipato agli show black sull’altro palco (mi è stato infatti relativamente facile seguire band –anche headliner- in prima fila sull’Altar, cosa che raramente mi è capitata sul Temple); detto ciò, anche un band come i Cryptopsy si trova davanti a un pubblico secondo me ingiustamente meno numeroso di quello di altre band, ma in fin dei conti, è l’esibizione dei nostri che conta, e se tra i primi pezzi della setlist inseriscono Benedectine Convulsion, la pelle d’oca è assicurata; se ho dato quel poco che restava del mio collo sul breakdown di Graves of the Fathers, la scaletta continua impietosa. Il medley da Blasphemy Made Flesh lascia pochi superstiti. La precisione strumentale è incredibile e rende il tiro dei Cryptopsy davvero devastante; sono invece un po’ meno convinto della voce di Matt, non così potente nel gutturale, a cui spesso aggiunge uno squeal (sempre in exhale) che ho trovato poco aderente al marciume originale delle vocals nei pezzi di Lord Worm. Verso il finale, una sanguinaria Slit Your Guts, mentre Phobophile chiude lo show tra urla, crowdsurfing (richiesto dallo stesso Matt) e applausi meritatissimi. Terroristi del brutal.

GRAVEYARD – VALLEY STAGE
Ci fermiamo per una meritata pausa pranzo, ma il nostro obbiettivo è nuovamente il Valley, presso il quale attendiamo con ansia l’esibizione dei Graveyard. Rispetto ai “cugini” Witchcraft, il gruppo di Joakim Nilsson si fa forte dell’intera propria discografia e così dopo l’opener di Lights Out, An Industry of Murder, si passa direttamente a Hisingen Blues, per poi tornare a Seven Seven. il suono, come praticamente per tutte le esibizioni, è ottimo e la prestazione della band fenomenale: Nilsson tiene banco con una prova vocale praticamente perfetta, ma è l’intera compagine a brillare per dinamica e compattezza. Il pubblico gradisce eccome e le ovazioni al termine dei brani si sprecano, così come il praticatissimo crowd-surfing, praticamente una costante di tutto il festival (tanto per gli Sleep, quanto per i Manilla Road o addirittura per gli ZZ Top). Dall’ultimo Lights Out vengono estratte anche Slow Motion Countdown ed Endless Night, mentre da Hisingen Blues ancora Ain’t Fit to Live Here e Buying Truth (Tack & Forlat. Chiude Evil Ways un’esibizione corroborante, divertente e maledettamente riuscita. Grande concerto.

PIG DESTROYER – ALTAR STAGE
Quando i Pig Destroyer salgono sul palco, il pit davanti all’Altar si colora di gente che poga indossando maschere strane e gente alticcia che si prende a spallate – dunque un clima più che caloroso per il quartetto di Washington, che colpisce violentemente con il suo grind schizzato e a tratti nevrotico. Se infatti i riff suonano decisamente old school (con ovvi riferimenti a Brutal Truth e Napalm Death), il suono dei Pig Destroyer è innervosito dai synth elettronici (anche di carattere noise) gestiti direttamente da uno dei 4 membri sul palco, che si occupa solo dei samples, mentre la band è priva di un bassista. La carica è davvero furiosa e il cantante si muove con grande energia sul palco urlando a pieni polmoni i testi folli che caratterizzano il songwriting del gruppo. Pezzi previ e carichi di rabbia, decisamente uno show energico e sorprendente.

DANKO JONES – MAIN STAGE 01
Un po’ indecisi sul da farsi, usciamo fuori e, in attesa dell’esibizione degli Spiritual Beggars, decidiamo di restare sul prato del Main Stage 01 sul quale si sta esibendo Danko Jones. Il rocker canadese è un habitué del festival e non manca di incitare più volte la folla arringandola ripetutamente per “farsi invitare anche l’anno prossimo”. Il suo show è basilarmente rock’n’roll ad alto voltaggio, con ripetuti e divertenti sketch dalle chiare allusioni sessuali. Il nostro sembra comunque divertirsi un mondo e non manca di far valere il proprio carisma, seppur accentuando fin troppo il ricorso al dialogo col pubblico (diciamola così: bene i ringraziamenti a tutte le altre band presenti in cartellone; bene sottolineare e salutare i grandi musicisti che ci hanno ahimè lasciati, compreso “Mr Jeff Hannemann, ma ad un certo punto, suona!). In ogni caso, pur ammettendo di non conoscere affatto i suoi album, non si può negare che la band ci sappia fare e che sul palco trovi la sua dimensione migliore, grazie a brani tutto sommato semplici, ma appiccicosi e dalla presa immediata. Chiude Cadillac un buonissimo spettacolo che comunica un certo benessere e che tra tanti, è andato via come una bella birra fresca.

IHSAHN – TEMPLE STAGE
Con tanto di presentazione da parte di quello che credo fosse il tour manager dell’ex chitarrista degli Emperor, Ihsahn sale sul palco (in un look ben più “elegante” di quello sfoggiato con il suo gruppo classico) accompagnato da tutti i musicisti dei Leprous, che sono la sua live band, mentre si occupa di tutti gli strumenti nei suoi album in studio. La sua proposta musicale, oltre a fondarsi su una solidissima preparazione musicale, è eclettica, ricca di influenze e sfumature che la rendono difficilmente definibile, andando dal prog all’estremo attraversando melodia e dissonanze, ma rendendo bene live, grazie alla compartecipazione di ben tre chitarristi, tra cui lo stesso Ihsahn, che si occupa delle vocals harsh insieme al vocalist dei Leprous, che copre invece le voci pulite e la tastiera.

SPIRITUAL BEGGARS – VALLEY STAGE
Visti più volte nel corso degli anni, gli Spiritual Beggars rappresentano comunque una vera e propria garanzia e un appuntamento da non perdere per gli amanti di sonorità seventies “vitaminizzate”. Il gruppo di Michael Amott, tornato recentemente alla ribalta con l’ottimo Earth Blues, presenta una line up ormai solida con Apollo Papathanasio che rileva dietro il microfono il posto che fu dell’indimenticato Spice e dell’altrettanto valido JB oggi impegnato al 100% con i suoi Grand Magus. Praticamente perfetto comunque l’inserimento del singer greco, che si dimostra anche frontman di buonissimo livello, incitando il pubblico più volte e calandosi con ottimi risultati nelle vesti di entrambi i suoi predecessori. Il concerto si apre con Left Brain Ambassadors e ripercorre quasi per intero la carriera del gruppo, andando a pescare brani un po’ in tutta la discografia e se in alcuno casi forse l’organo hammond di Per Wiberg e il basso di Sharlee D’Angelo rischiano di saturare pericolosamente i suoni, per fortuna la chitarra di Amott riesce sempre a librarsi in splendidi assoli dal taglio melodico e “spaziale”. Una parola anche per l’ottimo Ludwig Witt alla batteria, un vero piacere da guardare e ascoltare. Si prosegue con Wonderful World, Fools Gold e Young Man, Old Soul, One Man Army e la nuova Wise As a Serpent. L’apoteosi, quasi inaspettata, si raggiunge però con una perla tratta dal primo album della band, Blind Mountain, che accende la folla di un entusiasmo enorme. Persino esagerato, con alcuni dei presenti che si lasciano andare ad atteggiamenti sopra le righe che per fortuna non riescono comunque a rovinare l’atmosfera gioiosa registrata per tutto il festival. Chiude come da pragmatica un’incandescente Euphoria, per la felicità di tutti. Appuntamento già rinnovato, alla prossima!

MISERY INDEX – ALTAR STAGE
I Misery Index continuano il filone iniziato dei Pig Destroyer sull’Altar con il loro deathgrind compatto e aggressivo, a metà tra il death/brutal metal dei Dying Fetus e il grind abrasivo dei Napalm Death. L’energia del loro show è tangibile, benché la loro performance sul palco sembri più statica del loro invece strabordante muro sonoro. Diversi gli estratti dall’ultimo Heirs to Thievery, molto acclamato dalla critica e dai fan del gruppo. La sezione ritmica lascia raramente respirare e il pogo è intenso, mentre subito dopo il loro show, corro di tutta fretta al Mainstage 02 per vedere i Voivod!

VOIVOD – MAIN STAGE 02
Approfitto dell’esibizione della band del buon Newsted per tornare alla tenda a riprendere un po’ le forze, in vista di una delle esibizioni più attese del festival, quella dei canadesi Voivod. Al mio ritorno trovo proprio il buon Jason che con la sua band sta dando fuoco agli ultimi botti sul Main Stage 01 con l’esecuzione del classico Whiplash. Approfittiamo del gran pubblico che il bassista ha attirato a sé per posizionarci praticamente in seconda fila sul lato sinistro del palco dei Voivod e non possiamo fare a meno di notare un tipico accento accanto a noi:

-Italiani?
-E certo! E se non ci siamo noi a tenere alto questo nome del cazzo dell’Italia!! Ma quando ce lo sogniamo un festival così, a casa nostra?
- Eh.. Mai…
- Tra 2000 anni!
- Appuntamento nel 4013 allora ragazzi (risate)


Siamo pronti e con una bella brocca di Muscadet per le mani, quando ci accorgiamo che dall’altro lato, abbiamo i Vektor al gran completo! Immancabile foto di rito, che dice tutto dell’entusiasmo che questi ragazzi dimostrano per i propri connazionali e –in parte- Maestri ispiratori. Pronti? Via… La band irrompe sul palco ed è Target Earth a dare il via alle danze. Davanti a noi si posiziona un Daniel Mongrain in stato di grazia. Il biondo chitarrista si rivela un vero simpaticone, ridendo beato per tutto il concerto, con la faccia di chi sta davvero vivendo un sogno. Le sue dita corrono veloci sul manico della chitarra per un’esibizione impeccabile, sotto ogni punto di vista. Dal canto suo, Snake è il solito marpione e tra centomila smorfie e svariate decine di metri percorse in lungo e largo sul palco, il suo timbro acido e stralunato imperversa sulle costruzioni asimmetriche dei suoi compagni e sulle dissonanze tipiche di uno stile unico e irripetibile. Seguono a ruota Ripping Headaches e una Psychic Vacuum da vero godimento. Ancora Tribal Convictions e le nuove Kluskap O’Kom e Mechanical Mind mostrano una band affiatatissima e compatta, con Blacky e Away che non possono fare a meno di godersi la situazione sorridendo a loro volta sornionamente, per quello che è senza dubbio uno degli show più belli ed intensi del festival. Tempo di sorprese, quando il “solito” Phil Anselmo che aveva assistito all’intero show con la faccia di chi sta davvero godendo come un matto, riesce finalmente a farsi strada, brandendo il microfono e interpretando assieme a Snake la celeberrima cover di Astronomy Domine (occhio agli attacchi Phil!!), salvo poi uscire abbracciando per mezz’ora tutti quanti e ripetendo la genuflessione del giorno prima all’indirizzo di Blacky e Mongrain. Thank you Phil saluta un divertito e sorpreso Snake, ma le sorprese non sono finite e per l’esecuzione dell’inno Voivod ecco che sul palco, con i propri ex-compagni, sale proprio Jason Newsted per un gran finale di show. Miglior concerto di questa edizione? Impossibile dirlo, ma certo i Voivod sono una band infinita, anche senza il compianto e insostituibile Piggy.

WINTERSUN – ALTAR STAGE
C’è davvero un quantità impressionante di persone sotto il palco di Jari e soci che mettono immediatamente in luce le potenzialità della formazione, macinando pezzo per pezzo un epico intreccio di melodie, soli, riff e parti atmosferiche che contraddistinguono il suono sinfonico del melodeath dei Wintersun. Sia che si tratti degli estratti dal classico disco di debutto, sia dal nuovo e tanto atteso Time, l’esecuzione è perfetta, fluida, precisa e il risultato emozionante. Non mancano parti al fulmicotone come in Winter Madness (dall’assolo al cardiopalma) o Beyond the Dark Sun, mentre si apprezzano le parti melodiche e acustiche di pezzi come Time, ognuno valorizzato da suoni impeccabili, sovrastati dalla potente voce di Maenpaa.

CLUTCH (?) – VALLEY STAGE
Dopo esserci goduti l’esibizione trionfale dei Gojira sul Main Stage 01, ci apprestiamo a tornare al Valley per un altro appuntamento fondamentale di questo fest: l’esibizione dei Clutch freschi di pubblicazione del nuovo Earth Rocker. Ma, una volta entrati sotto il tendone, indovinate un po’ chi troviamo sul palco? Ebbene sì, ancora lui, Mr Prezzemolo, Phil Anselmo! Pensiamo a questo punto di essere stati drogati e scagliati in una dimensione nella quale Phil Anselmo è una sorta di essere dotato di ubiquità capace di fare ed essere qualunque cosa, neanche fosse Chuck Norris e, invece, la spiegazione è ancora più particolare. Come lo stesso Anselmo rivela, i Clutch sono stati costretti ad annullare l’esibizione e numerose altre date del tour per gravi problemi non meglio specificati (si scoprirà poi che si è trattato di un’emergenza familiare). E’ così che per amicizia nei confronti della band e per non deludere il foltissimo pubblico accorso, l’intera formazione dei Down assieme ad altri amici ha deciso di intervenire per uno show speciale, totalmente improvvisato. Si parte con due megaclassici della formazione di New Orleans, Rehab e Swan Song, che scatenano il delirio tra il pubblico, che ha evidentemente capito la situazione e ha comunque deciso di godersi questo inedito fuori programma. A questo punto, Jimmy Bower esce da dietro la batteria e imbraccia la chitarra per l’esecuzione di un paio di brani della propria band, gli Eyehategod, con lo stesso Anselmo alla chitarra, mentre Pepper Keenan passa al basso e la ragazza di Bower si prende cura -alla grande- delle strazianti vocals per Sisterfucker (Pt 1) e Blank, anch’esse accolte da un gran boato del pubblico. Altro giro, altra corsa: Bower torna dietro alla batteria e questa volta a prendere in mano le redini è Kirk Windstein che ribadisce l’eccezionalità della situazione e invita ancora ad applaudire i Clutch; tocca quindi ai suoi Crowbar per l’esecuzione di High Rate Exctintion e Conquering. Erano anni che non risentivo il vocione di Windstein e devo dire che il suo barbone grigio da nanetto da giardino è una delle cose che più contrastano con la musica prodotta da questo gigante dello sludge. Altro cambio e questa volta tocca a Pepper Keenan ed ai suoi Corrosion of Conformity, con l’immancabile Jason Newsted che sale sul palco per l’esecuzione di una terremotante Clean My Wounds, salutata con enorme foga dal pubblico, seguita da una dilatata e pesantissima Albatross, che manda tutti in delirio. Quando Phil Anselmo torna sul palco, tutto il tendone urla come un solo uomo PANTERA! PANTERA! PANTERA!, ma il singer zittisce tutti annunciando una vecchia canzone ed è la splendida Bridge of Sighs di Robin Trower a chiudere questo incredibile e anomalo set. Anselmo invita tutti a urlare ancora per i Clutch e molti intonano in realtà il refrain di Walk. Dimostrazione di forza e professionalità enorme per i Down, che si rivelano comunque umili e appassionati membri della “scena” nel miglior modo possibile. Grande grande band e complimenti a Mr. Anselmo.

DARK FUNERAL – TEMPLE STAGE
Il terzo giorno tocca anche agli svedesi Dark Funeral, per l’eccezionale occasione riunitisi con il cantante originale Emperor Magus Caligula, il quale offre peraltro una prestazione vocale assolutamente eccezionale. Impeccabile la prestazione del batterista, mentre la compattezza dell’esecuzione dà giustizia ai pezzi luciferini del gruppo, sia a quelli classici tratti dai primi lavori (Secrets of the Black Arts e Vobiscum Sathanas in scaletta), sia quelli più recenti, tra cui My Funeral scelta come chiusura. L’aggressività è valorizzata dall’atmosfera e l’aspetto scenico eccellente e il risultato è davvero ottimo; da ricordare è la dedica al recentemente scomparso ex-chitarrista Blackmoon, a cui dedicano una furiosa Open the Gates.

MOONSPELL – ALTAR STAGE
I Moonspell rappresentano uno degli acts più attesi e interessanti della giornata; il combo portoghese propone infatti un gothic metal che mescola influenze estreme e melodiche e risulta essere potente e roccioso, ma anche ricco di epicità e tensione emotiva, fin dalla opener Axis Mundi, uno dei tanti estratti dall’ultimo disco Alpha Noir proposti live e che ben rendono giustizia all’ancora feconda creatività del gruppo. La voce è carica e potente e le chitarre rimbombano massicce in procedere inarrestabile di ottimi riff, macinati impeccabilmente. Non mancano i classici da Irreligious e Wolfheart a soddisfare i molti fan (si nota anche una bandiera portoghese nelle prime file); per il finale, la splendida Alma Mater e Full Moon Madness.

DANZIG – VALLEY STAGE
Nei lista cambi di palco più inspiegabili della storia, troviamo quello che ha coinvolto Glenn Danzig e i Ghost. Il cantante americano era infatti schedulato per l’esibizione come headliner sul Main Stage 02 a chiusura del festival, ma in seguito a motivi non meglio spiegati, la sua esibizione ha luogo tre ore prima sul confortevole palco del Valley, con conseguente spostamento dei Ghost nel ruolo di headliner. Buon per loro e buon per noi, dato che lo stesso Danzig dice che diversamente lo show non avrebbe avuto luogo. Lo show si apre con SkinCarver e, per fortuna, ogni paura sulla tenuta di Glenn viene presto fugata. Il cantante è in formissima e la sua voce anche. Tiene il palco con decisione, saltando qua e là e incitando la folla che risponde con grande trasporto sulle note di classici quali Twist of Cain, Am I Demon, Blood and Tears e l’attesa Dirty Black Summer. E’ a questo punto che lo show rivela la sua annunciata sorpresa: sul palco irrompe (e mai verbo fu più azzeccato) il gigantesco e palestratissimo Doyle, membro originario e ‘originale’ dei Misfits per uno speciale set dedicato alla fondamentale band punk statunitense. Il chitarrista è una vera furia e passeggia incessantemente per tutto il palco, circumnavigando gli altri musicisti costantemente e violentando il proprio strumento con un volume incredibile. Ecco quindi Death Comes Ripping, Vampira, I Turned Into a Martian, Skulls, Astro Zombies e la famosissima Last Caress, che vengono sparate in rapida sequenza con Doyle che, al termine di ogni brano, esce dal palco per poi rientrarvi furioso e incontrollabile come da immaginario collettivo. L’energia è a mille e il pubblico non può che essere altrettanto galvanizzato da questa graditissima svolta. Purtroppo, la fedele (?) macchina fotografica mi abbandona e non ho modo di mostrarvi le foto di questo evento né dei concerti successivi. Doyle esce dal palco e Danzig e i suoi riprendono il controllo dello show per il bis Not of this World e, naturalmente, Mother. Ma quando sembra che tutto sia finito, riecco Doyle che salta sul palco per Bullet e per la definitiva chiusura con follia collettiva affidata a Die Die My Darling, che ammetto di aver cantato saltellando come un ragazzino.

MARDUK – TEMPLE STAGE
Primo headliner del Temple, i panzer del black metal scandinavo tornano a mettere a fuoco e ferro l’Hellfest con una carica impressionante; la line-up attuale è ben oliata e Morgan, stentoreo, macina riff su riff ben supportato dalla sezione ritmica. Mortuus al microfono convince pienamente e incita un pubblico che – ormai alla mezzanotte del terzo e ultimo giorno – accusa la stanchezza di un weekend indimenticabile; ciò nonostante, non manca la voglia di alzare le corna verso i Marduk, che giocano qualche carta davvero interessante, prima tra tutte una famelica Christraping Black Metal o l’inarrestabile Blooddawn, nonché i cavalli di battaglia del quartetto in sede live, quali Slay the Nazarene o Materialized in Stone. Mortuus si piega verso il pubblico, carico e iracondo, pronto a spremere fino all’ultima goccia dell’energia degli astanti, fino ad annunciare la conclusiva e immancabile Wolves, ancora una volta pezzo migliore dello show, che fomenta un grande moshpit davanti al palco.

HYPOCRISY – ALTAR STAGE
La leggendaria band di Peter Tatgren si trova davanti un pubblico numeroso ma quasi allo stremo delle forze, ma non fatica a risvegliarlo dopo pochi pezzi. Il melodeath alienato e unico degli Hypocrisy è tagliente e aggressivo, sia che si tratti dei nuovi pezzi (moltissimi infatti gli estratti da End of Disclosure) che dei classici, quali l’immancabile Fractured Millennium o Fire In The Sky, alla quale il pubblico partecipa cantando sul ritornello già fomentato dalla prestazione degli svedesi. Peter, generalmente piuttosto freddo con il pubblico, ne nota la stanchezza e ci fa sorridere con una battuta in qualche modo ricca di umanità e accondiscendenza “Do you guys have an hangover? Me too… Please don’t feel alone!” per poi ripartire alla carica con i riff abrasivi e distruttivi di una violentissima e inaspettata Necronomicon, tratta da Osculum Obscenum. Per la chiusura, la storica Roswell 47 e non ci si può astenere dal cantare uno dei classici assoluti del death metal, e Eraser, ormai cavallo di battaglia della band, che la dedica a Phil Anselmo, probabilmente ancora a bordo palco, come spessissimo durante il resto del festival. Il pubblico canta il ritornello su incitamento dello stesso Peter, che poi lascia il palco tra scrosci di applausi.

NAPALM DEATH – ALTAR STAGE
Riuscito finalmente a mettere qualcosa di sostanzioso (e unto) sotto i denti, mi metto in una posizione tattica: prima fila al centro per i Napalm Death, giusto per vedere quanto avrebbe retto ancora la mia schiena; nel frattempo, da lontano, i Cradle of Filth (con la voce –che ormai va scemando- inconfondibile di Dani Filth) chiudono lo show con Her Ghost in the Fog. Quantomeno, ho la certezza che i sovrani del grindcore stanno per salire sul palco. E’ proprio sulla registrazione storica di Multinational Corporations che Shane Embury, Mitch Harris e Danny Herrera salgono sul palco tra le urla dei fan presenti. Giusto per l’inizio della successiva Everyday Pox (uno dei tanti estratti dall’ottimo Utilitarian) Barney si lancia sul palco muovendosi come in preda a convulsioni e urlando a pieni polmoni, trasmettendo energia anche solo guardandolo, caratteristica che accomuna tutta la band e che ha reso incredibilmente memorabile la loro esibizione. I pezzi nuovi sono davvero compattissimi e dimostrano anche un’indubbia evoluzione tecnica; da ricordare l’ottima The Wolf I Feed. Tra i molti pezzi tratti da fasi diverse dell’ormai trentennale carriera dei grinder inglesi, classici da pelle d’oca come From Enslavement to Obliteration o Suffer The Children, e la stanchezza sembra sparire. Lasciano una parte della scaletta da dedicare a Scum: tra le diverse proposte, da ricordare la schizzatissima Life? e l’acclamata You Suffer, episodio divertente. Segue la violentissima cover dei Dead Kennedys, Nazi Punks Fuck Off, introdotta con perizia di dettagli sul suo significato da Barney, cosa che farà per molti pezzi della serata. Il tempo sta per finire ma ai Napalm Death importa poco, riescono a infilare altri due pezzi e la conclusiva Siege of Power, ultimo momento di pura violenza musicale del festival, dopodiché, si torna in tenda per l’ultima volta.

GHOST – MAIN STAGE 02
Dopo lo show di Danzig, ci fermiamo all’Altar per l’esibizione degli Hypocrisy che, per inciso, sono stati grandiosi e hanno letteralmente spaccato di brutto, dimostrando di essere davvero uno dei più grandi act death metal visti in questi giorni. In attesa dell’esibizione dei Ghost, promossi come headliner, decidiamo di dedicarci sanamente all’alcool e andiamo per l’ultima volta al bancone della “cantina” del muscadet per un brindisi caloroso, vista anche la temperatura che sta scendendo clamorosamente (ci ritroveremo attorno ai 12° di lì a poco), mentre i Volbeat conducono il loro show di successo sul Main Stage 01.
Sappiamo tutti che i Ghost sono un gruppo destinato a dividere. Furbi, opportunisti, pompati, venduti, sopravvalutati. Tante le cose che si possono dire su di loro, peraltro senza tema di essere smentiti. D’altra parte, una certa curiosità la riescono comunque a sollevare, non fosse altro, per la pesante iconografia che hanno sollevato e messo in scena, con l’uscita del loro secondo album Infestissumam. Un disco che peraltro si rivela decisamente più “commerciale” e orecchiabile –e forse anche meno ispirato- del predecessore. Ma siamo qua, mentre l’umidità e il freddo cominciano a farsi sentire e una bellissima luna piena occhieggia tra le nuvole. Scenario perfetto, mancherebbe solo la nebbia. L’entrata in scena è sicuramente d’effetto, con i membri della band incappucciati e invisibili dietro le maschere scure e Papa Emeritus II che, da perfetta coreografia entra sul palco e braccia alzate, come chiamando alla Messa satanica. Per Aspera Ad Inferi riempie subito le casse, mostrando un suono perfetto, profondo e potente, sul quale i musicisti intessono le loro costruzioni sonore e le armonie vocali dominano. Il contrasto tra la musica volutamente oscura e ispirata ai modelli Mercyful Fate e Blue Oyster Cult e la voce pulita di Papa Emeritus II, con le sue melodie retrò e gelidamente pop, è una delle chiavi di lettura più interessanti della musica dei Ghost. E’ qui che si gioca in gran parte il duello tra chi apprezza la band e chi invece la considera solo un furbo prodotto di marketing. Perché, diciamolo, la band suona strabene, rivelando di essere estremamente solida da questo punto di vista e di meritare assolutamente l’inaspettato ruolo di headliner. La band spazia tra le canzoni del primo e del secondo album con naturalezza e anche se lo stacco si avverte, con le composizioni di Opus Eponymous decisamente più articolate, non si può non apprezzare il fatto che ciascuna canzone goda di una propria identità precisa e che sia affatto semplice e scontata nel suo divenire. Con Clavi Con Dio, Prime Mover, Elizabeth, vanno via alla grande, con Papa Emeritus II che si concede poche e freddissime parole, con un evidente sforzo di impostazione, che testimonia come nulla sia stato lasciato al caso. Ottima anche la resa di Secular Haze col suo sei ottavi diabolico e solo il gran freddo ci tiene avvinghiati e fermi, mentre lo show va avanti, quasi rasentando la perfezione, come in una sorta di strano sogno. Ma ecco che accade l’imponderabile: all’inizio di Genesis la tastiera improvvisamente si ammutolisce ed anche se il gruppo continua evidentemente a suonare, fuori dal palco le casse sono mute. Ci vuole qualche secondo perché tutti si rendano conto che qualcosa non va. Tutti, tranne la band, che continua imperterrita a suonare, finché qualcuno non avverte i musicisti, che si fermano e silenziosamente escono dal palco. E’ a questo punto che notiamo che, indovinate un po’… Sì, proprio lui, Phil Anselmo è a bordo palco, carico come al solito a godersi lo spettacolo. Per fortuna, il piccolo inconveniente viene risolto velocemente e dopo aver riguadagnato lo stage, come niente fosse, il gruppo prosegue con Year Zero e Ritual, riprendendo esattamente e con la stessa classe il discorso interrotto. Arriviamo così al momento dei bis e tocca a Ghuleh/Zombie Queen, uno degli highlight indubbi della serata, preparare il pubblico per il saluto definitivo che arriva con Monstrance Clock. Lo show è finito, l’incantesimo è rotto, l’Hellfest edizione 2013 si conclude qui.
Mi resteranno per sempre i minuti successivi, nei quali la folla immensa del pubblico, noi tutti uniti, esce dall’area concerti verso il camping come un esercito in movimento e, improvvisamente, dal silenzio e dalle retrovie un grido liberatorio parte, investendo tutta la colonna, che urla e scarica la propria adrenalina. Una emozione difficile da spiegare eppure così semplice, pura e fortissima. All’ingresso del campeggio, ci attende il palco secondario del Metal Corner, con una fondamentale For Those About To Rock (We Salute You), dedicata evidentemente dallo staff del festival al pubblico e alle band che hanno onorato questa splendida edizione. Ma proprio nel momento in cui la retorica rischierebbe di prendere il sopravvento, ecco un ragazzo di fronte a noi che dice 'For those about to sleep' con un tono beffardo e consapevole al tempo stesso, che non può non strappare una risata. Buonanotte Hellfest, grazie e… Chissà che non ci si veda ancora.

CONCLUSIONI
Finisce così (anche se si interpongono una notte in bianco e un lungo viaggio di rientro) la splendida edizione 2013 dell’Hellfest: nomi incredibili e un’organizzazione impeccabile in grado di gestire ben 112 mila partecipanti su un’area vasta e ben attrezzata. Personalmente, non possiamo che dirci soddisfatti, e credo che la nostra contentezza sia ben trasparsa dalle parole di questi tre sudati report, che speriamo abbiate gradito. Ogni festival estivo è un’esperienza che lascia qualcosa di indelebile, soprattutto se è il primo (come per me), oppure uno dei molti, ma che è sempre in grado di divertire ed emozionare a suo modo. Il primo commento a caldo alla domanda “Beh, com’è stato?” da parte mia è stato un leggero “E’ la cosa più Metal che esista!”, ma in effetti è stato davvero uno dei modi più intensi, stancanti ed emozionanti (nonché memorabili) di vivere questa passione. Non ci resta che aspettare il prossimo anno!

Report di Leprous, Haemorrhage, Krisiun, Inquisition, Cryptopsy, Pig Destroyer, Ihsahn, Misery Index, Wintersun, Dark Funeral, Moonspell, Marduk, Hypocrisy, Napalm Death e conclusioni a cura di Nicolò Brambilla 'Nicko'

Introduzione, report di Prong, Graveyard, Danko Jones, Spiritual Beggars, Voivod, Clutch, Danzig, Ghost, a cura di Saverio Comellini 'Lizard'



Radamanthis
Giovedì 4 Luglio 2013, 20.50.16
10
@Lizard: certo, ovvio, ci mancherebbe...la mia "critica" è dettata solamente dalla preferenza viscerale che ho per queste band piuttosto che per i Ghost BC che proprio non sopporto e per cui non avrei certo speso più di 2 righe (mentre probabilmente mi sarei soffermato un pò di piuù su quei geni dei Wintersun) ma alla fine si sa...de gustibus anche per i report, ci mancherebbe!
The Preacher
Giovedì 4 Luglio 2013, 13.47.11
9
@Lizard grazie mille per i chiarimenti! I Gojira sono un grande gruppo live, peccato che ve li siate persi ma in mezzo a cotanto ben di dio ci sta anche! Sui Ghost non ho letto il report perchè la band mi interessa poco, rimedio subito!
Lizard
Giovedì 4 Luglio 2013, 12.53.43
8
Ah dimenticavo: @The Preacher: come avrai forse letto, per i Ghost si è trattato di un cambio di orario e palco causato da una richiesta precisa di Danzig che avrebbe dovuto fare da headliner del Main Stage 02, subito dopo i Volbeat e che ha richiesto invece lo spostamento. Per loro si è trattato chiaramente di un discreto salto di visibilità, ma che piacciano o meno, a me hanno dato l'impressione di aver saputo gestire benissimo l'occasione, offrendo un concerto di spessore e livello. Poi, si può davvero dire di tutto di loro
Lizard
Giovedì 4 Luglio 2013, 12.48.32
7
@Radamanthis: hai ragione, purtroppo come immaginerai non è possibile vedere tutto e spesso è capitato di scegliere gruppi che non si sono mai visti o che difficilmente vengono in Italia. Ma per gli Avantasia almeno avevamo realizzato da poco sia un'intervista che un live report, quindi mi sono sentito meno in colpa
brainfucker
Giovedì 4 Luglio 2013, 12.36.43
6
okok @lizard, avevo capito male(ovviamente come dici te, nello scrivere a volte non si rende pienamente un concetto)..bel report cmq!!siete sempre i migliori!
Radamanthis
Giovedì 4 Luglio 2013, 12.22.23
5
Bellissimi questi 3 gg di report da voi raccontati, ottimo lavoro...peccato solo che non avete avuto occasione di mettere due righe e di ascoltare i concerti di Helloween e Avantasia (a meno che siano sfuggite a me...), il top che il power metal possa avere! Vebbè...peccato perchè già successe lo scorso anno con Unisonic.
Lizard
Giovedì 4 Luglio 2013, 12.15.31
4
@Brainfucker: bel gesto assolutamente, alla fine pur con il dispiacere di non aver visto i Clutch, comunque è stata un'esibizione interessante. Quanto al finale, devi anche considerare che gli applausi per i Clutch erano stati chiesti e ottenuti già diverse volte e comunque non è che tutti hanno cantato Walk fregandosene dell'invito. Purtroppo, cercando di dire il più possibile si finisce a volte per adre magari un'impressione fuorviante a chi legge @The Preacher: non ho scritto dei Gojira perché non ho visto l'intero show, dato che si accavallava proprio con quello dei Clutch/Down e non conoscendo affatto il gruppo, non mi sembrava corretto sprecare due parole di circostanza senza entrare nel merito. Ho scritto esibizione trionfale perché (meritatamente, sia chiaro) il pubblico di casa ha fatto davvero il diavolo a quattro per loro e trovandosi in ottima posizione di scaletta e sul Main Stage 01 hanno raccolto davvero una grossa folla. Comunque, hanno suonato alla grande e pur non conoscendoli, devo ammettere che sono uno di quei gruppi che sin da subito comunicano l'idea di avere davvero qualcosa da dire. Spero di avere in parte rimediato
The Preacher
Giovedì 4 Luglio 2013, 10.51.48
3
Come mai non avete scritto sui Gojira? Comunque ottimo report e evento strepitoso, i Cryptopsy li avrei davvero voluti vedere! Però i Ghost headliner... mah
brainfucker
Giovedì 4 Luglio 2013, 10.42.30
2
bellissimo gesto da parte dei down che si dimostrano ancora una volta dei veri musicisti invece che le solite rockstar snob del cazzo(e considerando il loro curriculum potrebbero permettersi tutta l'altezzosità del mondo)..assolutamente da incenerire il pubblico che di fronte a una richiesta di applauso per i clutch se ne esco con un coro inneggiante a walk. a quanto pare non siamo solo noi italiani ad essere dei coglioni irrispettosi
evil never dies
Giovedì 4 Luglio 2013, 9.55.08
1
complimenti , si respira l'entusiasmo dell'evento attraverso questi report.
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