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ONCE UPON A TIME - Black Sabbath, la marcia oscura
04/03/2014 (3381 letture)
Il 1970 è un anno di cruciale importanza nella storia della musica dura, ed in particolare per tutto quello che oggi consideriamo heavy metal: è in quei dodici mesi, infatti, che gli inglesi Black Sabbath lanciano sul mercato i loro primi due dischi, seminali nella costituzione di un sound sempre più potente e oscuro, proteso all’ispessimento di una proposta radicata nel blues e via via irrobustita anche dall’opera dei loro connazionali Led Zeppelin e Deep Purple. La scintilla scatenata dai quattro di Birmingham fa esplodere un movimento a catena che si estenderà fino ai nostri giorni, un Big Bang di proporzioni clamorose che andiamo a rivivere attraverso Once Upon A Time, una nuova rubrica nata con l’obiettivo di approfondire in maniera più precisa e focalizzata gli argomenti di maggior interesse già analizzati nella serie Correva l’Anno. Ripercorrendo le varie annate che hanno scandito la cronologia mondiale dell’heavy metal, dunque, sarà possibile incentrare la nostra attenzione su personaggi, dischi e situazioni meritevoli di un trattamento più corposo rispetto a quanto fatto nell’altra sede, nella quale ci si concentra invece sulla globalità degli avvenimenti coincisi con la singola annata in questione. Si abbassino le luci ed avanzi l’oscurità, dunque: tornano sulle nostre colonne i Signori del Buio, i padri dell’heavy metal: semplicemente i Black Sabbath, la band destinata a cambiare la storia della musica rock.

LA GENESI DEL BUIO: INFANZIE DIFFICILI E INCIDENTI PROFETICI IN ACCIAIERIA
1970. Lontani rintocchi di campana, il rumore della pioggia su un desolato mulino nella campagna inglese. Tuoni. Un riff tetro e poderoso che squarcia le tenebre, un’angosciante e cantilenata narrazione vocale, quasi proveniente direttamente dagli inferi: è così che i Black Sabbath emergono dall’oscurità latente, sancendo un punto di svolta epocale nella storia della musica dura. Mai nessuno aveva osato tanto: testi fortemente occulti e un sound pachidermico, tetro, lento come lo scorrere dei secondi quando il panico impazza ed il terrore gela il sangue nelle vene. Tutto nasce nella città industriale di Birmingham, ancora martoriata dalla decadenza del dopoguerra: quattro ragazzini di diversa estrazione cercano nella musica la fuga dal fumo delle ciminiere, avvicinandosi a modo loro allo spirito rivoluzionario perpetuato dai movimenti sessantottini. Non c’era spazio per pace e amore, nelle loro menti, ma solo rabbia e voglia di rivalsa per una vita iniziata nella povertà, sotto cattivi auspici. Bill Ward era il batterista, un ragazzo amante dei libri e della cultura; Geezer Butler -un freak amante dell’occultismo e autore della maggior parte dei testi- reggeva il basso, anche se si era avvicinato alla musica come chitarrista. Tony Iommi, il più talentuoso di tutti, reggeva la chitarra e scriveva riff giganteschi, tanto da meritarsi presto la fama di riffmaker; dai suoi mastodontici ed erculei giri di chitarra avrebbero tratto ispirazione intere generazioni, portando qualcuno ad affermare che qualsiasi riff metal si possa scrivere non sarà mai innovativo o originale, perché da qualche parte, sicuramente, Tony Iommi avrà già scritto qualcosa di simile chissà quanti anni or sono. L’ultimo dei prescelti per portare l’oscurità ed il terrore tra la gente comune era Ozzy Osbourne, il più complessato tra loro. Un ragazzino povero, dislessico, solo e vessato da tutti, già autore di una tragicomica sequela di atti poco comuni che gli erano costati anche qualche giorno di prigione. Aveva provato ad impiccarsi, il giovanissimo Ozzy, ammaliato dalla musica dei Beatles; aveva rubato un televisore da un negozio e si era inciso sulle falangi le lettere del proprio nome, dava fuoco alla sorellina e si recava nella casa di una vicina squilibrata e ultrasessantenne -vedova di guerra- per consumare le sue prime esperienze sessuali. La sua futura moglie e manager, Sharon, racconterà così l’adolescenza difficile del folle consorte, che in più di un’occasione tenterà di strangolarla pur riconoscendole un amore eccezionale ed una gratitudine eterna per averlo aiutato a limitare i propri eccessi incontrollabili: ‘Ai tempi della scuola, spesso Tony prendeva Ozzy e gliele suonava di brutto. Era forte e bello grosso e i suoi avevano un po’ di quattrini. Era figlio unico, mentre Ozzy aveva due fratelli e tre sorelle e non era certo uno che si sapeva difendere, così spesso gliele suonavano. I vestiti che Tony indossava erano stati comprati apposta per lui, non doveva andare a scuola con le mutandine della sorella. Ozzy proveniva da una famiglia disagiata, veniva dal nulla. Un barattolo di zuppa allungata per sei ragazzini: quella era la cena. Ozzy non aveva l’uniforme scolastica, lo mandavano a scuola in pigiama e con gli stivali di gomma; quelli però lo rispedivano a casa perché non era vestito in maniera adeguata e non si era neanche lavato. Così lui se ne stava seduto in qualche area urbana distrutta dalle bombe, perché all’epoca l’Inghilterra era ancora sotto le macerie dei bombardamenti. E quando invece a scuola c’era davvero era il buffone della classe, perché quello era l’unico modo per sopravvivere. Quando non sei uno che legge o che scrive e sei l’idiota della scuola, quello che tutti prendono in giro, come fai a sopravvivere? Diventi l’amico di tutti facendo il buffone. È così che ha imparato a manovrare la gente, cosa che gli è toccato fare per tutta la vita’. Paradossalmente, però, è proprio il bulletto Iommi a rischiare di dover appendere lo strumento al chiodo prima ancora di dare un senso concreto alla sua attività. Il dramma coincide col suo ultimo giorno di lavoro in una vecchia acciaieria: ‘In quel periodo lavoravo come saldatore in una fabbrica. Il venerdì mattina sono andato a lavorare, il mio ultimo giorno di lavoro, e all’ora di pranzo ho detto a mamma che non ci sarei tornato per il turno di pomeriggio. Ma lei mi ha detto che dovevo tornarci e finire il lavoro per bene. Così ho fatto, sono tornato a lavoro e poi mi è crollato il mondo addosso. C’era questa signora che piegava le lastre di metallo con una macchina e poi io le saldavo assieme. Lei quel giorno non era venuta al lavoro, così mi avevano messo al suo posto. Non avevo mai lavorato a quella macchina, e non sapevo come usarla. Era una grossa pressa a ghigliottina, comandata da un pedale. Sistemavi la lastra e schiacciavi il pedale, e quella scendeva di colpo, piegando il metallo. La mattina era andato tutto bene. Al ritorno dalla pausa pranzo, ho schiacciato il pedale e la pressa mi è piombata proprio sulla mano destra. Tirando istintivamente indietro la mano, mi si sono staccate le punte delle dita’. Il ragazzo non si arrende e, dopo aver ascoltato un disco di Django Reinhardt -chitarrista rom che era rimasto menomato- decide di costruirsi delle protesi in casa: ‘Mi procurai un flacone di sapone Fairy Liquid, lo fusi facendone una palla e poi aspettai che si raffreddasse. Poi lo scavai all’interno con un saldatore adattandolo alla forma del mio dito. Lo modellai ancora un po’ con un coltello, presi della carta vetrata e ce la passai sopra per ore per ricavarne una specie di ditale. Trovai una vecchia giacca dalla quale tagliai un pezzo di pelle, cercai di ritagliarla in modo che avesse la forma adatta a ricoprire il ditale e poi la incollai sopra. La feci asciugare e quando la provai pensai: ‘Porca troia, grazie a questo affare ora sono in grado di toccare le corde!’ Quando salivo sul palco mi avvolgevo del nastro chirurgico attorno alle dita, ci mettevo della Supercolla e ci applicavo quegli affari tenendo premuto per un po’’. PER APPROFONDIRE: Correva l’anno: 1970.

BLUES, CREAM, HENDRIX E JETHRO TULL: COME NASCE IL WALL OF SOUND
Iommi costituisce con Ward il primo embrione della band e trova in un negozio di dischi l’annuncio di Ozzy: ‘Ozzy Zig cerca gruppo. Possiede amplificazione propria’. Nonostante le renitenze iniziali, i tre decidono di collaborare e Ozzy porta nella band anche Butler; inizialmente viene scelto il moniker Polka Tulk Blues Band e la line-up prevede sei elementi, con tanto di tastierista e sassofonista. Ricorderà Iommi qualche anno dopo: ‘Geezer non sapeva suonare il basso, perché quando iniziammo non era un bassista ma un chitarrista. Ma la chitarra la suonavo già io, così lui passò al basso e durante la nostra prima prova suonò le note di basso sulla sua Telecaster. Alla fine si comprò un basso, ma anche così pareva che non avremmo combinato granché’. Ben presto i ragazzi decidono però di abbandonare le cover blues e iniziano a comporre musica propria, accorgendosi che sassofoni e tastiere sono superflui: rimangono dunque in quattro e mutano nome in Earth, anche se questo causa diversi equivoci a causa dell’esistenza di un gruppo pop col medesimo nome. La scelta di virare su qualcosa di più personale e riconoscibile avviene dopo un’esibizione in un locale che pensava di aver assoldato i ‘veri’ Earth. Il pubblico ascoltò basito la musica malata ed insalubre di questi quattro pseudo-hippy, i quali adottarono il titolo di un film italiano visto su una locandina: Black Sabbath, di Mario Bava, in italiano I Tre Volti della Paura. Anche i testi erano dediti ad una certa cultura horror, come spiegherà Ozzy: ‘Cosa ti aspetti con un nome come Black Sabbath? Sulla copertina dell’album non c’era certo un bel mazzolino di fiori. All’inizio decidemmo di scrivere roba inquietante perché noi non pensavamo affatto che la vita fosse tutta rose e fiori, quella storia per noi era una stronzata colossale. Così decidemmo di scrivere musica angosciante. Poi ci mettemmo a leggere libri di occultismo e ci rendemmo conto che non era roba che trovavi solo nei film, ma esisteva davvero. C’era una cosa chiamata occulto. Capimmo in cosa stavamo andando a ficcarci solo quando iniziammo a riscuotere successo e tutti quei fottuti pazzi cominciarono a mandarci delle lettere. Nessuno di noi aveva avuto a che fare con l’occultismo in prima persona. Quei matti ci chiedevano di andare a suonare alle loro messe nere e altre cerimonie del genere. Io lasciai quella roba fuori dalla mia vita, quindi non ne ero spaventato; se invece ti ci vai a impelagare sei un vero idiota del cazzo. È un mondo col quale non ti conviene metterti a giocare, o prima o poi ti ritroverai nella merda’. In realtà, prima di trovare una stabilità definitiva, Iommi trascorre un breve periodo nei già acclamati Jethro Tull, che lo avevano chiamato tra le proprie fila; gli altri componenti dei Black Sabbath non si opposero perché sapevano che per Tony era un’occasione da non sprecare, ma dopo aver accumulato un notevole bagaglio di esperienze il chitarrista decise di tornare alla base, preferendo dedicarsi ad un gruppo tutto suo. Aveva dunque le idee già molto chiare, come ricorda Ian Anderson dei Jethro Tull: ‘Tony era all’inizio della sua carriera chitarristica, prima della nascita dei Black Sabbath; lo proiettammo con notevole premura all’interno della dimensione dei Jethro Tull, perché adoravamo il suo modo di suonare. Lui rappresenta ciò che noi chiamiamo “il prototipo” dell’heavy metal. Il suo stile chitarristico e i riff monofonici che creava non erano una cosa completamente originale, ma l’evoluzione naturale di quell’improvvisazione molto libera e dal sapore blues che aveva caratterizzato band come i Cream fino ad un paio di anni prima’. Per Butler, l’esperienza di Iommi nella band di Anderson fu essenziale per il prosieguo di carriera del quartetto di Birmingham: ‘Vedemmo il modo in cui lavoravano i Jethro Tull senza credere ai nostri occhi: andavano in studio alle nove del mattino e lavoravano tutto il giorno fino alle cinque, come in qualsiasi altro mestiere in cui segui lo stesso orario. Capimmo che quello era il modo giusto di fare le cose, non è che te ne puoi andare in un pub, provare per un’oretta e poi ubriacarti. Devi essere concentrato e prenderla sul serio. Ciò che vedemmo ci diede il calcio in culo di cui avevamo bisogno, spronandoci a fare le cose per bene’. Il blues era, secondo Butler, l’ispirazione maggiore dalla quale partire per andare a costruire il proprio dark-sound: ‘Amavamo gruppi come Jethro Tull e Led Zeppelin, i Cream e Hendrix, ma sapevamo che avremmo dovuto inventarci qualcosa di nuovo se volevamo farci notare. Così scoprimmo che il blues era una forma musicale molto valida, che potevamo usare come base per qualsiasi altra cosa volessimo fare, visto che girava solo su dodici battute e tre note. Sul palco avevi tutta la libertà di improvvisare. La naturale evoluzione della cosa, poi, ci portò a fare roba più pesante’. In Tony Iommi si era ormai accesa la fatidica lampadina: ‘Mi misi a creare riff e scrivere canzoni. un giorno suonai un riff davvero pesante, quello che alla fine sarebbe diventato Wicked World; poi scrissi Black Sabbath, che era qualcosa di veramente insolito per l’epoca e si dimostrò un vero e proprio apripista. La prima volta che lo suonai mi si drizzarono i peli sulle braccia e pensai: ‘Ci siamo’! Fu come se qualcuno mi avesse detto: ‘D’ora in poi è questa la strada che dovrai percorrere’. Da lì nacque il resto del disco e ogni tassello trovò la sua giusta collocazione’. Il suono della protesi di Iommi sulle corde della sua chitarra produce un suono gelido e cupo, così il ragazzo decide di proseguire su quella strada e va a comporre riff sempre più oscuri. Ne nascono composizioni corpose, dilatate nella ritmica, lente e ossessive; i riff di Iommi sono corposi e granitici, lenti, maciullanti; il basso di Butler e la batteria di Ward costruiscono un inscalfibile e poderoso wall of sound, scenario terrificante per una musica soffocante, spaventosa e tetra come mai si era udito prima. I testi inquietanti e l’angoscia filtrata dalla voce nasale di Ozzy Osbourne completavano il tutto con un ulteriore tocco di decadenza e disagio. Gli assoli blues di Iommi erano tempestosi fiotti di note ribollenti, l’equivalente di un sadico orgasmo raggiunto al culmine del Sabba: quei quattro ragazzi avevano messo in piedi una Creatura nuova e temuta dalla gente per bene, cantavano di sofferenze e disagi sociali e avanzavano con un piglio funereo capace di terrorizzare chi, fino a quel momento, si era dilettato con stili sonori ben più leggeri. Se band come Led Zeppelin o Deep Purple avevano gettato i semi primigeni, i Black Sabbath avevano compiuto il passo definitivo per traslare dall’hard rock figlio del blues ad una forma primordiale di heavy metal, anche se ancora per qualche tempo nessuno lo avrebbe chiamato così. PER APPROFONDIRE: Black Sabbath, i Signori delle Tenebre.

BLACK SABBATH E PARANOID, I DUE DISCHI CHE CAMBIARONO LA STORIA
Black Sabbath esce il 13 febbraio 1970 -data significativa, considerata l’accezione negativa che il numero 13 riveste nella cultura anglosassone- e rivolta lo scenario musicale in tutto e per tutto. L’agghiacciante marcia funebre della titletrack e i riff mastodontici della pachidermica NIB, i suoi assoli fibrillanti ed intensi, la performance sofferente di Ozzy, l’enorme quantità di riff rocciosissimi sciorinata nell’arco dei trentotto minuti di durata del platter, il luttuoso muro sonico imbastito dalla sezione ritmica e la presenza tangibile del basso -fino a quel momento semplice strumento di accompagnamento- rendevano il disco l’uscita più potente e tenebrosa mai accolta da pubblico e stampa, anche se non mancava qualche episodio ancora vicino all’hard rock e pertanto più catchy. Le atmosfere rarefatte di Sleeping Village o il riffone ipnotico di Wicked World, l’andamento caracollante e l’altrettanto massiccio riff di The Wizard o la possente Behind the Wall of Sleep costituivano non solo la pietra portante sulla quale sarebbe stato costruito l’intero movimento heavy metal, ma rappresentavano anche il primo esempio di doom metal esistente, con le loro cadenze cimiteriali e la notevole robustezza dei suoni, pur resi più fluidi e armonici dalle meravigliose scale blues di Iommi. Ozzy non ha mai nascosto la sua ammirazione per l’abilità compositiva di Iommi: ‘Stavo sempre a dire a Tony: ‘Come fai a sapere quali corde stai toccando se non hai sensibilità nelle dita’? Per me è una cosa pazzesca. Ci è capitato spesso di discutere o litigare per i motivi più disparati, ma su una cosa non ho mai cambiato né cambierò mai idea: nessuno al mondo scrive riff hard rock migliori di quelli di Mister Iommi. Quando suonavamo insieme pensavo sempre che non avrebbe mai potuto inventarsi un riff migliore dell’ultimo che avevo sentito e invece ogni volta superava se stesso’. L’album d’esordio passa alla storia come quello capace di codificare alla base l’intero movimento heavy metal, tanto nel contesto occulto che viene creato grazie ai testi quanto dal punto di vista tecnico ed esecutivo, come afferma Chris Broderick dei Megadeth: ‘Black Sabbath è un classico esempio di tritono. Parte sulla tonica, va sull’ottava e poi sul tritono. Si tratta della distanza che c’è tra un tono e l’altro e il tritono è conosciuto come quinta bemolle. All’orecchio si traduce come un intervallo di tempo assai dissonante. La maggior parte della gente quando lo sente prova una sorta di brivido, è una tonalità che evoca un’atmosfera e uno stato d’animo molto particolari. È adattissimo al metal’. A settembre la band riesce a pubblicare un secondo disco, Paranoid, ancor più potente e definito del debut. Il materiale composto era talmente tanto da potersi garantire una seconda uscita, qualitativamente ancor migliore della precedente; ricorda Butler: ‘Visto che suonavamo molto spesso in giro, avevamo materiale sufficiente solo per il primo album, circa un’oretta di musica in tutto; perciò dovemmo inventarci roba per riempire le altre sette ore in cui dovevamo suonare ogni giorno. Ci mettemmo a jammare sul palco e pian piano concepimmo la maggior parte dell’album Paranoid. Così quando uscì il primo disco avevamo già scritto il novanta per cento del secondo’. In Paranoid le composizioni si fanno ancora più granitiche e i riff acquisiscono uno spessore ancor più vigoroso: la corpulenta e cadenzata opener War Pigs e la pressante Iron Man, col suo riffone enorme, erano poderosi esercizi di arcaico e maciullante heavy-doom metal, scuri come la pece, lenti, opprimenti e ossessivi, di fronte ai quali la testa si muoveva inesorabilmente a tempo. La stessa Iron Man presentava una struttura articolata e alcune sezioni più dinamiche, rivelando la notevole ricerca stilistica insita nel songwriting di livello dei giovani inglesi, come ricorderà Butler: ‘Non volevamo che Paranoid avesse sempre lo stesso sound e lo stesso ritmo dall’inizio alla fine, come invece facevano molte band dell’epoca’. La titletrack era più vivace e divenne in breve tempo un classico assoluto dell’hard rock settantiano, anche se inizialmente Tony Iommi non l’aveva certo concepita come brano più importante del lotto: ‘Il titolo del secondo disco non avrebbe neanche dovuto essere Paranoid. Ancora non avevamo abbastanza canzoni per riempire un album, così ci chiesero di scriverne un’altra. Mi misi da una parte durante la pausa pranzo e scrissi Paranoid. Quando gli altri tornarono gliela feci ascoltare, gli piacque e la registrammo un po’ come riempitivo. E quella cazzo di canzone divenne un pezzo amatissimo dal pubblico. L’album avrebbe dovuto intitolarsi War Pigs, ma ce lo impedirono per via della parola “pigs”. L’etichetta ci rompeva le palle per un sacco di cazzate. Così ci schiaffarono su il titolo Paranoid, che non c’entrava niente con la copertina, dove si vedeva un tizio che se ne stava lì con uno scudo e una spada. Immagina quante domande ci hanno rivolto dopo l’uscita del disco: ‘Cosa c’entra la copertina col titolo Paranoid’? Beh, niente in realtà, ma ci toccò fare così’. Il non eccelso artwork di copertina fece riflettere anche il buon Geezer: ‘A dire il vero la copertina non c’entrava niente neanche con War Pigs, credo sia la copertina più scarsa che l’etichetta avesse potuto inventarsi. È orribile. La odiavamo, ma non avevamo voce in capitolo e così dovemmo tapparci il naso. Fra l’altro War Pigs non era il titolo originario del pezzo, che invece si chiamava Walpurgis, Valpurga, una specie di Natale Satanico. Scrissi ‘General gathered in their masses’ (generali riuniti in massa) perché è quello che è Satana in realtà. La guerra era il vero Satana, non un tizio che vive sulle nuvole. Io stavo solo facendo un’analogia, che però non piacque a quelli della Warner Bros perché era una cosa troppo satanica, così cambiammo il titolo in War Pigs, che comunque suona meglio. Poi, alla fine, decisero che Paranoid era il brano più notevole, così lo scelsero anche come titolo del disco’. Anche i testi ora erano più interessanti e vari, a volte introspettivi e a volte esistenzialisti, pronti a scagliarsi contro i politicanti e quasi onirici quando costruiti sul sogno utopico di un mondo migliore. La band aveva affinato il proprio stile e si presentava più aggressiva e tenebrosa che mai: nella tracklist svettava la truce Electric Funeral, una bestia spaventosa che si aggrappava ad un riffing di proporzioni titaniche ed avanzava lenta, sfibrante, come un ipnotico esercizio di oppressione psicofisica, prima di sferzare in una veloce sezione psichedelica. Le atmosfere rarefatte di Planet Caravan, l’andatura altrettanto pesante di Hand of Doom, le melodie deprimenti di Rat Salad e il suo mood saltellante rendevano più completo e maturo il disco della definitiva consacrazione, come affermerà in seguito lo stesso Butler: ‘Penso che quando ti trovi a scrivere il tuo primo disco tu venga influenzato da tutto quello che ti circonda; credo anche che ognuno di noi abbia portato il suo stile all’interno della musica che abbiamo composto. All’inizio, dunque, tutte le varie influenze si cristallizzano in un album e a quel punto il sound si consolida in una certa maniera, non è più un misto di tante cose diverse. Quando ti rendi conto di aver trovato il tuo sound, allora puoi iniziare a muoverti in quella direzione. Credo che per noi questo sia accaduto con Paranoid’. L’iconico Rob Halford definirà così questo capolavoro: ‘Questo disco è un punto fermo, perché racchiude tutte le caratteristiche del metal; è già tutto lì: i riff, la performance vocale di Ozzy, i titoli delle canzoni, i temi dei testi. È il classico movimento di svolta’. Era il 1970, un anno cruciale per la musica dura: con due album epocali, quattro ragazzi dall’adolescenza difficile erano riusciti a cambiare il corso della Storia, aprendo di fatto una nuova era. PER APPROFONDIRE: Black Sabbath, i testi.



The Thrasher
Martedì 4 Marzo 2014, 22.01.54
8
Grazie ancora ragazzi! Di Iommi non so di preciso quanto sia andato avanti con la sua, so che in seguito l'ospedale gli forniva periodicamente delle protesi ma -se non ricordo male- spesso lui preferiva applicare delle volte ancora quelle 'autofabbricate'!
Steelminded
Martedì 4 Marzo 2014, 20.36.43
7
Fantastico rino, grande piacere leggerlo... I dettagli su ozzy veramente scabrosi, da no comment... Poi la storia della protesi di iommi, non l'avevo mai letta con tanto dettaglio ingegneristico... Presume che dopo un po si sia fatto una protesi medica, magari anche fissa... Sarei curioso di sapere per quanto tempo e andato avanti con la sua...
jek
Martedì 4 Marzo 2014, 20.32.49
6
I soliti e mai troppi complimenti a Rino sono d'obbligo.
The Thrasher
Martedì 4 Marzo 2014, 19.30.54
5
@Steelminded: grazie anche a te (e a tutti gli altri complimenti); lo stavi aspettando eh un nuovo articolo sui Sabbath!
The Thrasher
Martedì 4 Marzo 2014, 18.52.58
4
Grazie dei complimenti, Marchese! Giusto quello che dici, però con la foto di copertina del loro primo album i Black Sabbath hanno voluto dare l'idea di un mulino abbandonato e desolato che fungesse da sfondo alla loro musica oscura; poco importa che il soggetto scelto in realtà sia un luogo tra i più belli lungo il Tamigi, io ho semplicemente descritto l'immagine della copertina -e ciò che loro volevano trasmettere- per descrivere l'atmosfera spettrale che loro volevano comunicare!
Le Marquis de Fremont
Martedì 4 Marzo 2014, 14.06.40
3
Monsieur The Thrasher, lei è sempre spettacolare nei suoi articoli e mi costringe a leggerli tutti, cosa che faccio con molta soddisfazione. Merci. Volevo solo sottolineare che il Mapledurham Watermill non è proprio "un desolato mulino nella campagna inglese" ma uno dei più bei siti lungo il fiume Thames. Mi sembra che anche la copertina, sia uno degli aspetti seminali di questo disco, copiata poi da molti, oltre alla famosa croce rovesciata nell'interno della copertina con il testo "Still falls the rain...". Un capolavoro assoluto di tutti i tempi.
Steelminded
Martedì 4 Marzo 2014, 14.01.02
2
Eccolo, grandissimo, lo aspettavo e leggerò con attenzione in serata!!!
AL
Martedì 4 Marzo 2014, 12.37.57
1
mi è bastato leggere questo passaggio di baffone Butler: "dovemmo inventarci roba per riempire le altre sette ore in cui dovevamo suonare ogni giorno. Ci mettemmo a jammare sul palco e pian piano concepimmo la maggior parte dell’album Paranoid..." Immensi! bell'articolone Rino!!!
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