Negli ultimi mesi sta diventando un po’ più semplice vedere dal vivo della musica originale a Roma. Questo potrebbe accadere per molte ragioni differenti, ma in parte è certamente dovuto all’evoluzione “tarda” di una scena underground i cui musicisti, che per anni hanno portato avanti alcuni discorsi musicali ricevendo giudizi positivi dalla critica e da parte della stampa specializzata, magari stufi di ricevere molti complimenti e molte meno opportunità, stanno cercando nuove strade per uscire dalla condizione di semi-anonimato che, nonostante le buone qualità messe ampiamente in luce, era arrivata a sembrare semi-cronica in questa città. Bisogna inoltre dare atto ad alcuni vecchi e nuovi locali, di non aver ancora rinunciato a proporre della musica inedita e non facilmente “commerciabile” il che sta rendendo un minimo più semplice, almeno negli ultimi tempi, per le band più estrose e poco omologabili, trovare degli spazi in cui esibirsi con un minimo di regolarità. La performance del 18 Gennaio al Circolo degli Artisti di No Hay Banda Trio e Thrangh rientra ampiamente in questa casistica e ci ha permesso di vedere all’opera due tra le band più interessanti del nostro panorama, in un locale sufficientemente grande, attrezzato e soprattutto bello pieno, il che non guasta mai. I Thrang hanno dato inizio alle danze proponendo la loro inconfondibile formula di gusto ed ironia, avvalendosi di un repertorio che sembrerebbe quanto mai riduttivo definire con la sola parola “Jazzcore” (ormai ricorrente ed indissolubilmente legata, per quanto concerne Roma, al nome, del resto estremamente prestigioso, degli Zu). Il combo, condotto dalle sapienti dinamiche di Alessandro e Tommaso si è mosso agevolmente tra le strumentali Asa Nisi Masa, Cobra Verde e Camadogi, avvalendosi di un sound davvero di tutto rispetto (in questo il Circolo stesso sta facendo dei veri “passi da gigante” rispetto al passato) e mostrando la consueta maestria nel “far suonare” i propri strumenti alternando il fortissimo ed il pianissimo, il pari ed il dispari con la sicurezza dei maestri; ribadendo (ma ce n’era bisogno?) a chiunque non fosse un amante del genere, che il Jazz non è affatto musica per archeologi, basta vederlo dal punto di vista degli anni in cui viviamo e fare lo sforzo di cercare una propria espressività che punti oltre gli “standards” o il solo repertorio degli anni ’60. Con Menelicche e Sagapa la band prende commiato da un pubblico estremamente soddisfatto della prestazione, che applaude, oltre all’ottimo lavoro dei componenti già citati, anche la classe di Fabrizio e Gabriele alla chitarra e al sax. Il turno del Nohaybanda Trio arriva subito dopo, e la band è accolta da una mezza ovazione, probabilmente anche a causa della fama “pregressa” di cui godono molti dei suoi componenti, per il lavoro svolto nei propri altri e vari progetti musicali. Il trio guida fin da subito il pubblico attraverso i suoi paesaggi irreali, folkloristici, strani, in cui il richiamo asimmetrico del sax di Marcello giunge all’orecchio a volte come un rumore, e in altri momenti quasi come una chitarra distorta, e contemporaneamente sussurra come farebbe il jazzista: con la classe e l’intenzione che mostra chi da anni si misura ai massimi livelli del genere, ed ha suonato con molti dei professionisti più apprezzati. Fa quasi sorridere riconoscere, per coloro che vedevano il trio per la prima volta, un certo stupore nel constatare come Fabio suoni chitarra e basso contemporaneamente, come ampiamente descritto nella recensione dell’esordio discografico della band su queste stesse pagine, ma questo stupirebbe certamente meno chi avesse visto, e non sono pochi, in giro per internet, lo stesso Reeks misurarsi (live, all’Auditorium!) con una quantità di strumenti ben più proibitiva, e risultati altrettanto egregi. Il trio, trascinato dal drumming di Gabriele, (il cui stile rimane lodevolmente sospeso tra due dimensioni differenti e quasi opposte, abbastanza da non sembrare mai banale o già sentito) ha spaziato per lunghi minuti tra i suoi cavalli di battaglia. Inutile sottolineare la, del resto ormai abituale, ovazione seguita ai primi accordi di Giostraio Rom (canzone che sembra avere la singolare qualità di mettere d’accordo davvero i gusti di tutti: dal metallaro, allo showgazer, al jazzista) collegata alla prima parte di Bastardi Alieni Ridateci Elvis, per l’occasione privata della “rock ‘n roll suite” finale. A seguire Hot Rodeo, la title track del disco, Tsuzuku, e Il Tukatì dopo la quale l’applauso è sorto spontaneo e rumoroso, a dimostrare come nessuno si fosse pentito di aver “pagato il prezzo del biglietto”. Se questa è la piega che potrebbe prendere la musica a Roma, abbiamo forse motivo di ritenere che in un modo o nell’altro le cose possano migliorare abbastanza nel corso dei prossimi anni: noi ce lo auguriamo senz’altro. Ad maiora.
Setlist
Thrangh:
Asa Nisi Masa
Cobra Verde
Camadogi
Menelicche
Sagapa
Nohaybanda Trio:
Bastardi Alieni Ridateci Elvis + Giostraio Rom
Hot Rodeo
Tsuzuku
Il Tukatì
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