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10/10/24
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ITALIAN THRASH METAL MILITIA - La recensione
09/11/2020 (1973 letture)
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To thrash: percuotere, battere, bastonare. Letteralmente, un genere che prende a sberle l’ascoltatore. C’è chi dice che la prima canzone thrash sia stata Stone Cold Crazy dei Queen, ma alla fine la gara a chi è arrivato prima, in questo senso, conta poco. Come accade quasi sempre, la musica non nasce dal silenzio, ma da altro che viene ripreso ed elaborato: nel caso del thrash metal, parliamo da un lato del movimento esplosivo dell’heavy metal mondiale, la NWOBHM e dall’altro lato del movimento di protesta allora musicalmente più estremo, l’hardcore. Dall’unione di queste due correnti, che peraltro si sono comunque influenzate a vicenda fin da subito, finendo per litigare spesso come fratelli, per poi continuare a crescere l’una accanto all’altra, ritrovandosi amiche o nemiche a seconda del momento, come Loki e Thor nelle leggende scandinave, nasce il thrash metal. Ovverosia, la velocità dell’hardcore, la sua rabbia, la sua corrosiva denuncia politica e sociale e le costruzioni strumentali dell’heavy metal, la sua potenza, la sua superiore vena tecnica e la sua capacità di mutare e adattarsi. Un pacchetto completo, che ha poi a sua volta e a stretto giro, ibridato e dato vita ad altri due generi ancora più estremi, il death e il black metal. Il tutto, in pochissimi anni: ovverosia dalla fine degli anni Settanta ai primissimi anni 80, per quanto riguarda i progenitori delle due correnti, considerando poi l’uscita di demo e album fondamentali e già propriamente thrash tra il 1982 e il 1986 e un continuo sviluppo durato almeno fino ai primi anni 90, per incontrare qui una prima crisi, una mutazione verso nuovi orizzonti e ritornare infine nella forma di revival del genere classico tra la fine del primo decennio del 2000 e i giorni nostri. Un genere nato negli Stati Uniti e poi velocemente esportato, in particolare in Gran Bretagna e, soprattutto, Germania, ma che ha conosciuto una diffusione veloce in tutta Europa e da lì, piano piano, in tutto il Mondo. E l’Italia?
ITALIA, ITALIA….. Per l’Italia parliamo quasi sempre di importazione da parte di alcune ristrette frange di musicisti attenti alle correnti straniere, di generi musicali nati altrove. Un ritardo culturale mai davvero colmato, anche se il Belpaese aveva avuto un primato mondiale nella ricchezza e qualità della scena prog rock assieme alla scena britannica e che era però stato velocemente dilapidato nella seconda metà degli anni Settanta, con pochi grandi Maestri che proseguiranno la loro attività e sempre e comunque a costo di un "addomesticamento" che ne snaturò grandezza e alterità, tornando a premiare l'eterno cliché di Sanremo o, in alternativa, un pop colto e ibridato dalla new wave o da altre correnti straniere. Il resto furono solo avanguardie, come i mai troppo lodati Death SS e le altre formazioni heavy che timidamente cominciarono a spuntare in tutta Italia, senza però riuscire mai a creare una vera scena nazionale e, soprattutto, senza mai riuscire a scrollarsi di dosso un dilettantismo di base che porterà spesso i gruppi italiani a non avere formazioni stabili, a firmare contratti assurdi, ad affidarsi a case discografiche inadeguate, a studi di registrazione e produttori senza la minima competenza nel genere e a scontrarsi mediamente contro un muro di diffidenza, se non aperta ostilità, da parte dei gestori dei locali e della gente comune. Una situazione che determinò l’impossibilità per i gruppi nazionali di crescere davvero, di confrontarsi con la realtà musicale internazionale dell’epoca e, soprattutto, di fare quella gavetta sui palchi che ha fatto e farà sempre la differenza nel creare l’identità e la solidità di gruppo e nel dare una prospettiva di vita. La verità è che troppo spesso i musicisti italiani sono stati e sono tuttora dei dopolavoristi, che suonano per passione mentre fanno altro e la mancanza di un pubblico e di una continuità operativa, così come di una impostazione professionale, hanno spesso marchiato a fuoco i gruppi italiani anche all’estero: per decenni, nessuno dava credibilità a gruppi metal provenienti dall’Italia, patria del mandolino, di Volare e di tutti quei cantanti melodici che suonavano per i connazionali emigrati in tutto il Mondo. Eppure, anche in Italia esistevano ed esistono delle eccellenze che semplicemente non si possono ignorare e quelle eccellenze sono -come sempre- solo la punta dell’iceberg di un movimento enorme, spesso ignorato e sicuramente poco conosciuto. Ecco quindi che negli ultimi anni, finalmente, diversi giornalisti ed esperti del settore, hanno cominciato a navigare in quell’underground sfortunato ed eroico che è stato il movimento metal in Italia, raccontandoci storie che i più non hanno mai sentito; anche quando si affrontano i nomi che sono riusciti faticosamente a emergere, la verità è che in tanti non sono riusciti o non hanno voluto approfondire davvero la loro discografia, limitandosi ad un "rispetto" di facciata, che poco poi ha a che vedere con l’amore e il supporto.
ITALIAN THRASH METAL MILITIA Dopo uscite importanti come quelle legate al nome di Gianni Della Cioppa (Italian Metal Legion) o di Eduardo Vitolo (Sub Terra), ecco che tocca proprio al thrash metal e alla scena italiana prendersi gli onori della ribalta, con un’uscita interamente a essi dedicata, curata da Giorgio Monaco. Psichiatra e già autore di Guida al thrash metal (2018) e di Heavy. Dal blues del Mississippi al black metal norvegese (2019), entrambi editi da Arcana, Monaco è stato redattore di Metallized e raccogliendo molto materiale online e facendosi forza anche di diverse pubblicazioni cartacee, ha quindi realizzato un lungo e interessante viaggio alla scoperta della Italian Thrash Metal Militia. Un viaggio che inizia giustamente col primo singolo degli storici Bulldozer, Fallen Angel, del 1984 e termina con Sect of Faceless dei Reverber del 2020. Nel mezzo troviamo quasi centoventi album e demo esaminati di quasi altrettante band, con qualche grosso nome che ritorna lungo la strada, in perfetto ordine cronologico. Interessante quindi la scelta di dare una visione estremamente ampia di quella che è stata la scena italiana, praticamente in quasi ogni regione, andando a spulciare anche demo e formazioni locali che hanno dato un contributo più o meno importante, ma sempre estremamente sentito. Naturalmente, grande attenzione viene dedicata alla sacra triade costituita da Bulldozer, Necrodeath e Schizo, ma è evidente che il tentativo è quello di rendere una visione di ampio respiro, che cogliesse tutto il movimento nazionale, nonostante la suddivisione in schede, come lo stesso autore rileva nell’introduzione, potesse in qualche modo frammentare al lettore un’immagine che invece cerca di essere unitaria. Non sfuggirà infatti il tentativo compiuto da Monaco di legare i vari scritti con continui rimandi ad altre schede, con anticipazioni di quanto seguirà e riprese di quanto invece già detto, grazie al criterio cronologico che appunto mette in fila le uscite e rende l’idea di un percorso che, per i più, si concludeva dopo un demo e nient’altro e, per pochi, significava arrivare al sospirato debutto, per poi perdersi nuovamente o subire quei continui cambi di formazione che minano inevitabilmente un gruppo in cerca di continuità. E’ così che alla prima eroica fase ottantiana, costituita quasi esclusivamente da gruppi emergenti dalla breve durata e dalla scarsa fortuna discografica, che spesso portano con sé un DNA tipicamente hardcore, genere da sempre radicato nel suolo italiano come ben esemplificato dai leggendari Raw Power, segue piano piano una crescita che porta poi ai primi anni Novanta e a quella che avrebbe potuto essere la grande stagione del metal italiano. Nomi come Broken Glazz, In.Si.Dia, Braindamage, Alligator, Kaos Lord, Jester Beast, Headcrasher, Tossic, S.N.P., Flash Terrorist e le superstar Extrema, assieme a tanti altri, così come case discografiche come Contempo e Dracma Records, hanno segnato un passaggio fondamentale in Italia, un momento in cui davvero sembrava che finalmente per il metal fosse arrivato il momento di mettere radici profonde, definitive e professionistiche. E poi? E poi sono arrivati gli anni Novanta e il movimento metal mondiale è andato in declino, così come il thrash metal, che ha continuato a crescere quasi esclusivamente nella nuova formula del groove, mentre i generi estremi a cui aveva dato vita hanno raggiunto la maturità rubandogli la scena e relegandolo nel cantuccio. Ecco che anche in Italia qualcosa si inceppa e non è un caso se, anche nel libro, il decennio che va dal 1995 al 2005 vede pochissime schede, per poi riprendere quota in maniera prepotente dal 2006 in poi, in corrispondenza dell’arrivo dell’ondata revival, anche grazie al lavoro di etichette importanti per l’Italia come la Punishment 18, che lanciano una nuova ondata di band di valore, dagli Hyades ai Game Over, dagli Ultra-Violence ai National Suicide, dai Methedras ai Bunker 66, dai Death Mechanism ai Brain Dead, dai Vexovoid ai Devastation Inc. e così via. Senza naturalmente dimenticare i ritorni degli storici Schizo e Bulldozer (inevitabile ricordare anche qui il recente ritiro dalle scene di A.C. Wild), così come degli Extrema e dei sempre potentissimi Necrodeath.
UNA EPOPEA SILENZIOSA La lettura di Italian Thrash Metal Militia è quindi un piacevole viaggio in oltre trentacinque anni di storia metallica italiana che centra il proprio sguardo sulle uscite discografiche lasciando al lettore il compito di ancorare storicamente le varie schede al momento discografico italiano e mondiale. Forse in tal senso, l’introduzione dell’autore, nel presentare l’opera, coglie già quello che è il principale limite dell’uscita, lasciando però non risolto il nodo. Di positivo, c'è invece che si può evitare di centrare l’attenzione su chi è rimasto fuori o piuttosto su chi è dentro "invece di": l’intenzione non è quella della rappresentazione enciclopedica e il lettore potrà portare all’elenco quello che ritiene mancare, dato che il nostro underground rimane, quasi incredibilmente, uno dei più ricchi. Senza regalare nulla, la profondità della ricerca è tale che la lettura della storia di gruppi anche davvero mai sentiti o comunque mai forse usciti davvero dalla dimensione locale, costituisce di per sé un grande motivo di interesse. La scrittura asciutta, mai retorica e ridondante e invece veloce di Monaco riesce insomma, assieme alla bella e appassionata prefazione del nostro Francesco Gallina, a donare un’aura emotiva che non puzza di "vecchia cartolina ingiallita" di parenti mai conosciuti, ma di epopea paradossalmente quasi silenziosa, mai davvero sbocciata e ancor meno celebrata e per questo ancora "viva" e ingenua, eroica e sincera, fatta di manifestini ciclostilati, di concerti in venue improbabili, con attrezzature improvvisate, pubblici incerti e ridotti all’osso, registrazioni al limite dell’udibile, con tecnica strumentale magari rivedibile, di cassette e mangianastri, autoradio a volumi impossibili e quella voglia di sognare in grande con mezzi praticamente assenti, che ha costituito e costituisce spesso ancora oggi la realtà di fin troppe band nazionali. Magari i mezzi tecnologici non saranno più gli stessi e certo oggi il pregiudizio nei confronti delle band italiane per molti versi è stato superato, ma questo non ha significato il superamento del deficit culturale italiano verso il rock duro e, tanto meno, ha colmato l’assenza di una vera scena e di una professionalità che, anche in tempi di Covid-19, ci dice quanto il fare il musicista non sia ancora oggi visto come un mestiere in Italia. Figuriamoci per un musicista rock.
Ben vengano insomma pubblicazioni del genere, che supplendo con un encomiabile lavoro di raccolta alla scarsità di informazioni relativamente a tante realtà, ci aiutano a capire quanto fosse penetrato ovunque l’amore per questa "musica strana" che ancora oggi unisce migliaia di appassionati, magari slegati tra loro e ancora oggi "pecore nere" rispetto al mainstream imperante, ma non per questo passivi e sconfitti da una situazione generale tanto più grande di loro. Senza Storia non c’è futuro e chissà che riscoprire questi pionieri nazionali non costituisca scintilla per alzare ancora una volta la fiamma e il testimone e imparare a valorizzare oggi il grande patrimonio musicale che, nonostante tutto, ha raggiunto in questi giorni forse il suo livello massimo in assoluto in termini di valore e qualità complessivi.
::: ::: ::: RIFERIMENTI ::: ::: :::
AUTORE: Giorgio Monaco
TITOLO: Italian Thrash Metal Militia
EDITORE: Arcana Edizioni
PREFAZIONE: Francesco Gallina
COPERTINA: Flessibile
PAGINE: 219
ISBN: 978-8862318396
PREZZO: € 16,50
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Grazie per questo libro. Penso sia importante lasciare una qualche traccia di quel che gli appassionati, in Italia, hanno lasciato agli appassionati. Alcuni Album sono perle che ancora ascolto regolarmente. |
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Ho letto il libro l ho trovato molto interessante e ben scritto... Visto che arriva ad i giorni nostri min sono stupito di non aver trovato band come gli hypnotetical che sono sotto etichetta da diversi anni, airhead, cerebral infest, mindwild, powerfull e menace. I primi sono tutt ora attivi e vantano di un discreto successo anche all estero, le altre più famose tra gli anni 90 e 2000. Comunque Consiglio l acquisto è un buon prodotto, un saluto |
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...luigi...non te la prendere….ma non bisogna dare la colpa ai "dinosauri"...le nuove generazioni cercano musica facile...che si usa e si getta…..non volevo certo attaccarti…. |
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Poche “parole” per dire ciò che non ho detto!! Credo, infatti, che tu non abbia capito affatto quale fosse il senso del mio discorso… In realtà, anche se penso che alcuni giovani siano “superficiali”, io non ho ritenuto di doverne parlare e mi sono invece soffermato su altre questioni che tu evidentemente non hai compreso. Pazienza. |
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...tante parole...per dire che i giovani sono superficiali...che seguono mode effimere...e si perdono questa grandiosa musica…..peggio per loro…...meglio per pochi che per tutti….in fondo e' insito in questo genere di musica…. |
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3a parte. Sul fronte interno al genere direi che esistono luci ed ombre, solo che molto spesso si fa fatica ad individuare le seconde o addirittura non si ha l’onestà o la capacità di farlo. Penso, infatti, che i limiti e le contraddizioni del metal dipendano in larga parte da un pubblico obnubilato dai suoi dogmi, fiero amante del mercato e delle sue logiche (anche quelle più deleterie) e mentalmente vecchio, e di conseguenza incapace di fornire alle nuove leve le motivazioni necessarie per avvicinarsi a questo fantastico genere ed apprezzarne le innumerevoli qualità. Ciò che questi metalheads hanno da offrire ai giovani è una versione romanzata del metal in formato bignami e avente per protagonisti i soliti nomi, molti dei quali hanno fatto furore negli anni ’80 ma che oggi non hanno sostanzialmente più nulla da dire. Se tu speri o auspichi che un giovane possa apprezzare il tuo genere di riferimento, devi essere in grado di dirgli ciò che rappresenta il genere oggi e dargli i dovuti riferimenti musicali, quelli attuali degli anni ’20, non quelli degli anni ’80. E questo molti metalheads non sono in grado di farlo. Se da una parte, però, il metal patisce il fatto di avere un pubblico caratterizzato da un certo conservatorismo e da un’evidente ristrettezza mentale, dall’altra può contare sull’attività meritoria degli artisti, visto che ci sono un’infinità di bands che si affacciano oggigiorno sul mercato e hanno voglia di suonare e promuovere questo tipo di musica (in tutte le sue innumerevoli forme). Da questo punto di vista la questione generazionale viene meno (non esiste proprio!), perché l’apporto che i giovani danno al metal sia in termini di quantità (con il numero di nuove pubblicazioni), sia in termini di qualità (con l’evoluzione del genere) è notevole, oltre che indiscutibile. Quindi, per concludere, se il metal fa fatica a trovare un posto di rilievo nel panorama musicale, una grossa responsabilità ce l’hanno anche gli stessi metallari che pretendono di dover propinare ai giovani una versione edulcorata ed obsoleta del genere, con annesse romanticherie formato anni ’80; per quanto mi riguarda, costoro rappresentano la zavorra che il genere dovrà portarsi dietro ancora per qualche anno, almeno finché saranno in circolazione i loro artisti di riferimento (i dinosauri, per intenderci)… |
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2a parte. Innanzitutto, sono convinto del fatto che gli artisti che gravitano nel circuito metal siano ben integrati nel mercato perché adoperano i canali di distribuzione di uso comune (a cominciare dalle famigerate piattaforme digitali), per cui da questo punto di vista sono accostabili (seppur con le dovute differenze vista, per esempio, la predilezione per il formato fisico) ai musicisti di altri settori o generi. Quindi il fattore tecnologico, e più in generale le modalità di presentazione della musica, non incidono negativamente sulla capacità di diffusione del genere, proprio perché sono (purtroppo, aggiungo io) standardizzate, uguali per tutti. Da un punto di vista culturale (a livello cioè di tematiche trattate, messaggi, filosofia, approccio, ecc.), invece, penso che il metal (soprattutto nelle sue diramazioni più estreme) sia naturalmente destinato ad attrarre una fetta minoritaria di ascoltatori (ma questo è un’ovvietà, lo sappiamo) e che il gap che c’è sempre stato rispetto al grande pubblico, negli ultimi decenni è presumibilmente aumentato, sia perché l’evoluzione stilistica del genere ha riguardato e coinvolto prevalentemente il settore underground (è lì che sono nate e continuano a nascere le cose più interessanti) mentre si è affievolito nel contempo l’aspetto (per così dire) circense del metal da classifica, sia perché con ogni probabilità in altri generi (in particolare nell’hip hop) la proposta musicale di molti artisti è perfettamente allineata con i tempi che stiamo vivendo che sono dominati da una superficialità che è ben rappresentata dal linguaggio dei social. |
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@ Lizard (n. 22): non credo vi convenga scrivere un “articolo apposito”, dal momento che l’argomento non sembra suscitare l’interesse dei visitatori del sito, forse perché come dici tu è “piuttosto vasto” … Comunque, ho letto il report dei Wolfmother (quello del 2016) e se ho bene interpretato le tue parole ritieni sostanzialmente che il genere si sia rinchiuso in sé stesso e non sia più in grado di esercitare il proprio fascino sulle giovani generazioni. Allora, dal mio punto di vista, il tema della visibilità del metal corrisponde ad un non-tema, nel senso che il fatto che il genere sia chiuso verso il mondo esterno oltre che essere opinabile da un punto di vista oggettivo (in base a che cosa si può dire che il metal sia più o meno aperto verso l’esterno?), lo è anche da un punto di vista meramente pratico, poiché se anche volessimo abbracciare questa tesi essa non sarebbe sufficiente per spiegare il mancato supporto degli ascoltatori più giovani. In un epoca dominata dai supporti tecnologici, in cui tutto (musica compresa) è alla portata di tutti, possiamo davvero pensare che la mancata connessione tra metal e giovani (se davvero esiste) sia imputabile al fattore identitario di un genere che vuole rinchiudersi in se stesso?? O detta in altri termini, è possibile che all’interno di una società digitalizzata e iper-connessa come quella attuale un genere musicale possa perseguire la strada dell’auto-isolamento? Io credo di no. E credo anche che la questione sia piuttosto complessa (ma lo sai anche tu) e vada analizzata su più fronti, i quali sono (diciamo così) sia interni che esterni al genere. Provo ad abbozzarne alcuni. (continua) |
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Leggo nella recensione della contempo...ho un bel ricordo della contempo, lo scorso anno prima di questo infame virus andai come ogni anno a farmi un fine settimana a firenze e decisi che dovevo procurarmi i dischi dei tossic, andai alla contempo, i proprietari gentilissimi alla fine dopo un giorno di ricerche nei loro magazzini trovarono tutti i dischi dei tossic e il giorno dopo andai a prenderli e in più mi regalarono anche un paio di volantini commemorativi di uno show fatto dai tossic alla contempo. |
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Non ho letto tutti i commenti. Ok che anch'io di coglionate ne scrivo, ma chi ha detto che in 15 anni le uscite erano tutte uguali ha pestato una bella merda, come si dice dalle mie parti |
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Giusto duke, la variante è che negli anni '80 per fare uscire un disco dovevi avere una bomba per le mani visto anche i costi, di porcate su audiocassetta come demo ce ne erano abbastanza Oggi è molto più semplice ed economico produrre e "farsi conoscere" per cui ci troviamo tante band brave ma tantissime inutili. |
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...ogni genere musicale ha il suo ciclo....era normale che prima o poi finiva....ora c'e' il revival del thrash..tutto nella norma..poi ....e' vero che tante bands erano diverse tra di loro....ma parliamo delle piu' grandi....il mercato discografico era comunque invaso da tanti piccole produzioni cloni e derivate..... |
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@Luigi: l'argomento è piuttosto vasto e credo che forse meriti un discorso a sé stante. Ho scritto una risposta molto lunga, che proprio per questo la pagina non riesce a caricare e comunque non riuscivo a sintetizzare quello che avrei voluto dire. Se hai pazienza, intanto ti rimando a un report che che ho scritto, dei Wolfmother, nelle cui considerazioni conclusive ho affrontato diversi temi da te sollevati. Ne riparleremo, magari con un articolo apposito. Grazie, intanto per lo stimolo. |
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@ Lizard: ora mi aspetto che tu possa provare a “monopolizzare la conversazione”… |
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Solo per la cronaca...i primi veri pezzi thrash della storia li hanno incisi i Deep Purple con doppietta Burn + Highway Star altro che Queen.
Riguardo alla scena thrash metal italiana e' meglio stendere un velo pietoso...solo in Germania sono riusciti a creare una scena alternativa a quella USA, grazie alla serieta' e professionalita di bands ed etichette. |
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Molte band si sono snaturate per seguire il filone del momento, io credo spinte dai produttori, della serie caccio i soldi ma fai quello che ti dico. Conta vendere in pratica, altrimenti album come force of habit sono quasi incomprensibili. |
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Mah... 15 anni di uscire simili tra loro?!? Assolutamente in disaccordo. Tra l’83 e il 93 il thrash era tutt’altro che un genere uniforme. Anzi, c’erano un sacco di bands diversissime tra loro e con una forte e precisa identità stilistica . Ride the Lightning era simile a Among the Living? Reign in Blood simile a The New Order? Assolutamente no. E poi vogliamo parlare di Megadeth, Annihilator, Nuclear Assault, Exodus, Overkill, Kreator, Dark Angel, Coroner, Voivod, Celtic Frost, Suicidal Tendencies, Death Angel, Watchtower e Mekong Delta, Sacred Reich, Vio-Lence, e chissà quante me ne dimentico. Tutte thrash bands, ma tutte diverse tra loro. Crisi del thrash? Non sono stati certo i thrashers (“la gente”) a stufarsi del thrash, semplicemente qualcuno “dall’alto” (case discografiche, radio, agenti discografici, giornalisti, ecc... ecc... tutto un mondo al di sopra delle bands) ha deciso che, nel nuovo decennio bisognava promuovere altri generi (il che ha una sua legittimità, ci mancherebbe) e che su diversi movimenti che avevano radici negli eighties non valeva più la pena puntare come in passato (vedi anche l’hard rock in generale). Ma la scena thrash era tutt’altro che stantia in quel momento. Molte bands poi hanno cercato di cambiare per sopravvivere e mantenere un contratto, i risultati (spesso ragionati a tavolino) non sono stati dello stesso valore, e ciò ha dato un ulteriore colpo di grazia a quella scena... |
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L ultima band che ha detto ancora qualcosa nel thrash a mio parere sono gli Hypnosia prima del revival fine anni 90 primi 2000. Poi una serie di album piacevoli chi più chi meno sfornati dalle band più famose del genere. |
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La crisi del thrash a cosa è dovuta? Al fatto che dopo quindici anni di uscite molto simili tra loro o comunque molto simili ad altre la gente si è stufata. Poi ovviamente si è andato verso un revival perché a 20 anni dall'esplosione di una cosa c'è sempre il suo revival |
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Non lo comprerò perchè da tempo ho smesso di leggere. Ricordatevi SEMPRE però che il THRASH è il metal, lo dico da vecchio sclero, da un malato di metal come me, che è ancora sotto shock per la chiusura dei bar in Emilia....se volete leggere compratelo, sarà sicuramente interessante. Thrash fino alla morte dicevano, ora e sempre. AMEN. |
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...bel libro....grandi bands....purtroppo spesso sottovalutate....ma di gran qualità...molto valide....inserito nella lista della spesa... |
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Meglio, anzi mi piacerebbe che riuscissi a procurartelo e mi dicessi che cosa ne pensi, sarei curioso di una tua opinione lizard. Io leggerò questo appena uscito. |
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Andiamo avanti, dai... |
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Lizard sinceramente non capisco il tuo sarcasmo al commento numero 5. Ho solamente consigliato un altro libro che ho letto all'epoca, dove le informazioni delle band che hai menzionato nella recensione, che sono prettamente anni 80, sono spiegate e approfondite molto bene. Sicuramente anche questo sarà un ottimo lavoro, ma ho solamente dato degli spunti diversi per come approfondire il tema trattato. |
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Di italiano all'estero è molto stimato il punk e l'hardcorepunk. Sempre sommerso nell'underground di questi stili naturalmente.
Cosa che invece nell'Heavy Metal non è mai successa a parte negli ultimi anni con pochissime band. Mi ricordo ancora, parlando con Saverio (bassista degli Astaroth - metal band romana) dopo la pubblicazione del loro ep d'esordio edito dalla Rave On che mi diceva dei numerosi complimenti dalla casa discografica e del... “peccato che siete italiani”.
Per quanto riguarda il Thrash la cosa è leggermente diversa dato la quasi monopolizzazione Usa, tedesca e britannica hanno coperto tutto quello che c'era da coprire. Ciò nonostante band come Necrodeth, Raw Power e Extrema hanno avuto un discreto numero di fans fuori dall'Italia. In questo libro sono curioso di sapere quali demotape sono citati |
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@ Lizard: |
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@ Indigo: quello della ricerca dei “colpevoli” è una pratica assai diffusa nell’ambiente metal, purtroppo; se le cose non vanno o non sono andate in un certo modo la colpa è da attribuire a qualcuno e si parte con la caccia alle streghe… |
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Ciao Luigi, grazie mille del tuo commento, che in buona parte condivido anche. Preferirei che fossero altri a risponderti, perché le tue domande sono molto interessanti e non voglio monopolizzare la conversazione. Faccio solo una precisazione, dovuta: come scritto, il libro non parla solo del passato, ma arriva fino al 2020, quindi si parla -diffusamente- anche del presente. @Indigo: grazie mille, sei molto gentile. Nessun "colpevole", almeno non esplicitato: come dicevo nell'analisi, il libro è centrato sulle schede degli album e mi sono permesso io di inferire che le poche schede di quel decennio corrispondessero essenzialmente al periodo di "crisi" del genere, che anche in Italia ha diradato le uscite. |
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In generale, non amo questo tipo di pubblicazioni e non ne comprendo l’utilità, tanto più se si considera il fatto che sembrano nascere come i funghi, ruotano sempre attorno agli stessi argomenti (i soliti generi/stili ) e hanno un’impostazione pressoché univoca (la presentazione di un tot numero di bands e dischi). “Senza storia non c’è futuro”, certo, e chi può dire il contrario? Però, credo che l’idea di guardarsi indietro, seppur sacrosanta e irrinunciabile, se perpetrata a lungo e in maniera unidirezionale non sia esente da rischi e limiti, il principale dei quali è rappresentato dalla sottovalutazione e mancata conoscenza del presente; questo, intendiamoci, in termini generici e al netto dell’importanza di alcune pagine meno note della storia musicale. Per il resto, penso che il “deficit culturale italiano verso il rock duro” corrisponda anche ad un deficit culturale che è tipico del nostro mondo/ambiente, nel senso che se nel nostro paese permane ancora oggi una certa ostilità o diffidenza rispetto al genere metal è perché è lo stesso pubblico metal italiano ad essere ingabbiato in schemi, tradizioni e tendenze che rimandano inevitabilmente alla nostra storia musicale e al nostro modo di intendere la musica. Se sono gli stessi metallari nostrani ad essere tradizionalisti, conservatori, amanti della forma canzone, di tutto ciò che è orecchiabile, e poco inclini ad accettare le novità, gli stravolgimenti stilistici e le sregolatezze della musica, cosa ci aspetta che facciano gli altri ascoltatori (quelli, per così dire “comuni”)?? Il “pregiudizio nei confronti delle band italiane per molti versi è stato superato”, certo, ma siamo sicuri che le formazioni nostrane (quelle più meritevoli, ovviamente) godano del supporto o della semplice stima del pubblico italiano?? Ma non sarà anche per questo che non esiste “una vera scena”…!??
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thrasher: ti consiglio un libro anche io, se posso. Si chiama "Italian Thrash Metal Militia", è uscito da poco, aggiornato al 2020. Dovrebbe esserci la recensione da qualche parte nel DB. |
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Consiglio enciclopedia hard n heavy a cura di Beppe Riva aggiornata ad ottobre 1991. Li vi è una sezione italiana dove si trovano tutti i gruppi storici dell epoca. Un saluto |
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Bellissima recensione e argomento davvero interessante. Leggo che il periodo 1995-2005 ha segnato una crisi anche del thrash nostrano, l'autore per caso fa i nomi dei "colpevoli "? Chiedo perché quel decennio è proprio quello in cui imperava il nu metal e conoscendone ogni aspetto so che qui in italia non si è mai formata una vera e propria scena ma solo qualche gruppo rimasto per lo più underground. O è colpa dell'alternative rock? In ogni caso giusto raccontare e celebrare la storia del thrash nostrano! Chiudo con una nota di amarezza: ancora oggi lo stereotipo dell'italiano all'estero, specie in America, è quello della pizza,mandolino e quelle canzoni di 70 anni fa..basta fare un esempio stupido: il programma TV little big italy., che tristezza. |
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Molto interessante ripercorrere la “nostra” storia. Grande! |
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