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STRINGS 24 - Prima Parte: Chitarristi Ad Otto Corde
14/05/2009 (2286 letture)
Di seguito ho il piacere di mostrarVi la prima parte della lunga e piacevolissima chiacchierata che ho potuto fare via Skype con Frank Caruso, chitarrista dei virtuosi italici Strings 24, di cui ho avuto modo di apprezzare grandemente il recente ed omonimo debutto discografico...

Khaine: Frank, partiamo subito con la prima domanda: come vi è saltato in testa di chiamarvi Strings 24? Non importa se io conosco già la risposta, vero? Hehehe...
Frank Caruso: Hehehe ma non c’è problema! Strings 24 nasce dal numero di corde che avevamo in mente di utilizzare: sembrerà paradossale ma l’idea iniziale nacque da quattro chitarristi che suonavano una sei corde – questa cosa fu contemporanea più o meno all’uscita della otto corde; ad un certo punto il quarto chitarrista venne meno, sia per scelte professionali che per scelte individuali, però ci era rimasto questo “24”: questo “6 x 4” che era diventato un “8 x 3” ci stava benissimo, ed è successo che abbiamo preso in pugno quest’opportunità – devo ringraziare in questo senso Ibanez che ci ha sostenuti, perché fu proprio Ibanez a darci la possibilità di provare questo strumento, di utilizzarlo, di sperimentare, ed in realtà è da qui che è nato il vero progetto, nel senso che abbiamo cominciato a studiare sonorità pensate su uno strumento: per cui non solo una composizione libera ma una composizione finalizzata all’utilizzo di una cosa nuova. L’idea era di trovare un ruolo ad uno strumento che in realtà si conosce ancora poco: ho visto anche sul web che è abbastanza raro l’utilizzo della otto corde, se non come una sette corde “allargata”, e il nostro sforzo è stato quello di andare oltre: avremmo potuto fare delle ritmiche thrash o death metal e abbassare il Si a Fa Diesis facendo dei riff molto pesanti ecc... ma abbiamo cercato di fare un’altra cosa: creare delle tessiture musicali armoniche, e non è un caso che il CD inizi con un suono clean, ossia un suono pulito: la prima nota del CD è un Fa Diesis, che è la tonalità della otto corde, ed è stato un modo forte per dire “questo strumento si può usare in un modo diverso da quello che verrebbe d’istinto fare”. La sfida è stata questa, e devo dire che Ibanez ci ha creduto: ringrazio loro e mi inchino innanzi alla loro lungimiranza perché credo che loro sicuramente non hanno bisogno di noi, ma ci stanno sostenendo e ci hanno sostenuto molto; gli Strings 24 sono endorser ufficiali di Ibanez per cui questo è un bel segno, nel senso che significa che in questo progetto ci hanno creduto anche loro e questo per noi è motivo di grande soddisfazione, vuol dire che è stata un’intuizione musicale – non mi permetto di dire intelligente – ma sicuramente innovativa, questo si.

Khaine: Sono d’accordo. Un’altra curiosità che mi passa per la testa è sul come abbiate fatto a conoscervi, cioè, questa musica è una conseguenza anche e sicuramente di un ottimo rapporto.
Frank Caruso: Si, questo è divertentissimo, te lo devo raccontare con l’ilarità che fa parte di questi racconti… allora, io e Stefano “Sebo” Xotta ci conosciamo da quando avevamo 17 anni; potrei recitare e dirti che era l’altro ieri ma non è così (risate generali, ndr); abbiamo frequentato la stessa scuola, eravamo a classi attigue e a quel tempo organizzavamo i concerti scolastici. Eravamo in compagnia insieme, si condividevano i sabati sera e qualche ragazza anche, dopodichè ognuno ha preso la sua strada e dopo 15 anni ci siamo ritrovati su myspace...

Khaine: Pazzesco!
Frank Caruso: Questa cosa è incredibile... ci siamo trovati su myspace e ci siamo scritti: ognuno di noi aveva fatto la propria carriera musicale; io ero andato avanti come autore, con i miei Arachnes, avevo fatto dischi (che faccio tuttora), lavoro per la televisione. Stefano è diventato un personaggio importante a livello di artist relation internazionale per un grosso marchio e abbiamo scoperto che in 15 anni avevamo investito la nostra passione nella nostra professione, ma in due modalità diverse: io ero diventato un animale da studio di registrazione e lui un animale da palco –infatti proprio stasera, dovevamo essere insieme, è con Steve Lukather a Milano per la sua clinic. Quindi ci siamo ritrovati e abbiamo detto: perché non facciamo qualcosa insieme? E poi, perché non allarghiamo il gruppo di lavoro? Proprio nelle settimane precedenti ci eravamo scritti con Gianluca Ferro, il terzo chitarrista, sempre su myspace; eravamo linkati e ci siamo detti: abbiamo uno stile completamente diverso ma siamo vicini (nel senso che non abitano molto distante, ndr), ci conosciamo entrambi... avevamo addirittura degli allievi comuni perché tutti e due eravamo insegnanti e alcuni allievi erano passati da un insegnante all’altro. E’ nata così, per caso, per gioco; ci siamo detti: “scriviamo delle musiche insieme”, e abbiamo scritto delle cose che inizialmente potevano sembrare disorganiche ma in realtà abbiamo avuto tutti l’umiltà di dire "quello che scrivo io lo metto in mano tua, lo arrangi tu, viceversa quello che hai scritto tu lo metti in mano mia e lo arrangio io". In questo modo siamo riusciti ad arrivare ad una condivisione di feeling, di posizioni. Ovviamente poi andando avanti coi mesi e suonando insieme è diventato un tutt’uno. Venerdì abbiamo fatto la prima data di quello che sarà il ciclo dei clinic che ci vedrà presenti su tutto il territorio e mi sono reso conto come dopo un anno di registrazioni (tenendo conto che parlo di chitarristi che suonano da vent’anni) siamo riusciti a migliorare: questo mi fa piacere perché sento che adesso i nostri bending, i nostri vibrati sono ancora più sincronizzati di quanto non potessero esserlo prima. Quindi l’idea di scrivere insieme e di crescere musicalmente insieme ci ha dato questo valore aggiunto, questa possibilità di coltivare e di studiare e sicuramente di giocare insieme perché questo, ci tengo a dirlo, è lo spirito iniziale: il divertimento. Noi abbiamo iniziato tutto per gioco, e per gioco alla fine siamo riusciti a trovare anche una grossa etichetta perché Lion Music devo dire che a livello europeo e nel genere annovera nomi fra…

Khaine: Ha un roster pazzesco.
Frank Caruso: Esatto: c’è Richie Kotzen, Tony MacAlpine... per noi è un onore essere presenti. La nostra poi è una storia semplice, di chitarristi semplici... certo, ciascuno ha la propria esperienza. Io con i miei Arachnes ho appena fatto uscire l’ottavo album, Gianluca Ferro suona con i Time Machine ecc... ma in questo senso abbiamo detto: proviamo, facciamo una cosa nuova, una cosa pazza.

Khaine: Ed è stata una gran figata, lo posso confermare!
Frank Caruso: Questa è la cosa che mi da più soddisfazione, il poter divertire e il poter fare qualcosa che faccia piacere. Se avessimo voluto fare qualcosa di commerciale credo che avremmo fatto un altro prodotto… oggi come oggi fare un disco strumentale credo che sia una cosa coraggiosa per cui se qualcuno vuole accusarmi di aver fatto una scelta commerciale, mi sento abbastanza tranquillo nel poter affermare di aver fatto una scelta artistica, e vado orgogliosissimo di averla fatta: la rifarei domani!

Khaine: Una cosa che volevo chiarire sul disco: si tratta di un album musicalmente profondo, nel senso che si trovano influenze di diverso tipo, e mi son chiesto quanto tempo vi è occorso per scrivere e arrangiare il materiale.
Frank Caruso: Allora, è una bellissima domanda, ti ringrazio. Il lavoro è iniziato nel dicembre del 2007, ed è iniziato scrivendo due/tre brani. Trovata la formula c’è stata un’accelerazione favolosa nel senso che se i primi tre brani sono stati scritti in un mese e mezzo (quindi diciamo con la cadenza di un brano ogni quindici giorni), in seguito è stato un crescendo di velocità. E’ successo così: ciascuno di noi aveva scritto dei fraseggi, li abbiamo messi insieme e arrangiati e ti giuro che ci sono cinque brani che sono già pronti anche se non li abbiamo messo sul cd; alla fine ci siamo trovati in una situazione per cui trovata una formula avremmo “aperto il rubinetto” per poi “erogare” a dismisura. Interessante la tua puntualizzazione: l’arrangiamento; ecco, questa è stata una fase particolarmente interessante perché si trattava di dare ad ogni musicista il proprio spazio, dando contemporaneamente l’essenza di un marchio, che doveva essere Strings 24, quindi trovare un suono che fosse il suono degli Strings 24 senza snaturare la natura artistica dei singoli musicisti. Questo ha richiesto non dico più tempo rispetto alla composizione però, se normalmente in altre produzioni discografiche finita la composizione si registra direttamente, qui c’è stata una seconda fase molto impegnativa. Sicuramente ci è venuto in aiuto il fatto che tutti e tre abbiamo uno studio di registrazione, per cui ciascuno ha lavorato nel proprio home recording scambiandosi i progetti; poi il tutto è stato finalizzato qui da me, però ciascuno di noi ha potuto lavorare nel proprio ambito, col proprio equipment. Grande valore aggiunto il favoloso Roberto Gualdi alla batteria (per intenderci, è il batterista della PFM, di Dolcenera, l’altra sera era ad X-Factor), che è sia un grandissimo amico che un grandissimo musicista, e lo ringrazio perché è un grande per la persona che è, non solo perché è un grande musicista: l’altro ieri era in televisione e il giorno dopo, quando bisognava fare i suoni delle batterie, mi dice “Guarda, vengo là da te perché le voglio risentire, magari c’è qualcosa da correggere”. Questo credo che insegna molto per cui ringrazio Roberto, perché è fantastico in questo senso, è stato bello lavorare con lui.

Khaine: Sempre parlando del disco mi avete fatto l’impressione di avere un approccio molto naturale, non costruito: un qualcosa di poco dipendente da quelli che possono essere i mainstream e quelli che sono stati i mainstream. Infatti anche i vari, se vogliamo chiamarli così, rinvii agli stendardi della musica rock strumentale degli ultimi venti/trent’anni sono dei rinviii ma non sono dei plagi. A me capita spessissimo di sentire dei chitarristi che tecnicamente sono preparati e sicuramente avranno anche una bella “testa musicale”, che però fondamentalmente propongono qualcosa che si è già sentito in tutte le salse. Nel vostro caso invece sembra quasi che ci sia da un lato una specie di tributo e dall’altro una voglia di approfondire...
Frank Caruso: Ti ringrazio, hai colto nel segno perché non rinnego e non rinneghiamo quelli che sono i nostri miti chitarristici, nè rinnego la passione che può averci portato in una certa direzione piuttosto che un’altra. Noi abbiamo cercato di mettere insieme queste cose e, pretenziosamente, di diffonderle: avremmo potuto pensare di mettere insieme i tre chitarristi e fare quattro brani per uno, ma non era quello che volevamo. Abbiamo detto: mettiamo insieme tre chitarristi in un grande pentolone e vediamo quello che viene fuori; questo perchè mettere insieme tre chitarristi per fare quattro brani per uno l’hanno già fatto grandi chitarristi molto più illustri di noi e Dio ci liberi dal volerli emulare, perché siamo sicuramente molto lontani da questo. L’idea era di fare una cosa completamente diversa: il fatto di aver trovato un editore importante come Lion Music e uno sponsor fantastico come Ibanez è stata la conferma che forse non era un’idea così sbagliata; alle volte osare conviene… devo dire la verità: forse non è un caso che lo sponsor e l’editore siano extra confini. Entro in un campo minato ma devo dirlo: le partnership che abbiamo trovato sono straniere.

Khaine: E’ una situazione in cui si sono trovati in molti, ma purtroppo in Italia non c’è granchè rispetto per la cultura... comunque sia, il disco è ormai uscito da qualche settimana: qual è la reazione di pubblico e critica, in che misura vi ritenete soddisfatti e soprattutto credete che la vostra musica, che non è un tipo di musica che può essere subito memorizzata, venga capita?
Frank Caruso: Ti ringrazio per le puntualizzazioni; vado per ordine: il feedback, a livello di critica, per ora è molto positivo; anche il responso che arriva dal web è molto positivo: lo è da un punto di vista di recensioni, di commenti, di contatti, di myspace… devo dire che sono molto contento. Vengo dalla serata di venerdì – che è stata la nostra “data zero”, in cui abbiamo suonato tutto il repertorio – in cui è arrivata tanta gente che ha chiesto autografi, ha comprato CD ed è uscita soddisfatta. Pensare che la nostra musica possa essere immediata? Questo sicuramente no, non è quello che vogliamo; di certo i nostri brani non saranno delle hit e non lo vogliono essere, perchè quello che abbiamo cercato musicalmente e artisticamente di fare è un qualcosa a volte anche complesso, articolato. Mi piacerebbe lasciare, nel mio piccolo, un segno: il segno di un esperimento ben riuscito, che probabilmente verrà digerito nel tempo quindi non mi aspetto grandi favori e grandi clamori momentanei… così come non mi aspetto grandi vendite. Io credo che ormai l’indice di popolarità non si misuri più col numero dei dischi venduti ma, casomai, col numero di pagine che ti vengono fuori quando digiti il tuo nome in google. Mi sono svincolato da tempo dall’idea del numero dei dischi venduti e questo faccio fatica a farlo capire ai discografici: quando i discografici dicono che una certa cosa vende poco non significa che quella cosa non sia popolare. Evidentemente se c’è una parte del mercato mondiale, io credo più del Vecchio Continente, che è legata al numero di copie vendute è perché non ha saputo impugnare il nuovo modo di fare musica; in realtà oggi come oggi si consuma molta più musica che in passato, semplicemente non vendendola su cd ma in altri ambiti… ma questo, comunque, è un problema loro (dei discografici, ndr). Per cui sono soddisfatto dei risultati: ovviamente è prematuro perché parliamo di un'uscita del 20 marzo (l’intervista è datata 6 aprile, ndr) ma vedo già un gran movimento, e questo mi fa piacere. Sicuramente ci stiamo muovendo anche sul mercato alternativo: internet è stato e sarà un mezzo di diffusione importante, di certo più della stampa cartacea.

Khaine: Cosa possiamo dire sul prossimo disco degli Strings 24? Prima hai detto che ci sono già dei brani pronti...
Frank Caruso: si, ci sono già dei brani pronti, ci sono già delle idee in campo; ora, non vorrei bruciarle, però ci sono delle idee particolari: sicuramente aver scritto dei brani inediti è stata l’esperienza più bella. Mi ha stuzzicato molto il riarrangiare: l’ultimo brano del cd è una versione di Peter Gun, che è un tema rifatto già dai Blues Brother di un tema degli anni ’50 di una serie televisiva poliziesca; questa cosa mi ha divertito un sacco: ho pensato che potrebbero esserci delle applicazioni infinite, e mi preoccupa il fatto che l’idea mi piaccia (risate generali, ndr)...

Khaine: E vabbè dai... ma ci sarà mai nei vostri piani anche la possibilità di inserire, oltre ai tre chitarristi, anche una voce? Certo che siamo un po’ fuori dal concetto shred, però...
Frank Caruso: Beh, all’interno di Strings 24 ne dubito. E' già accaduto che dei cantanti abbiano chiesto di utilizzare gli Strings 24 per degli arrangiamenti, per cui ti dico: io i cantanti non li vado a cercare, ma ho un po’ l’impressione che potrebbe succedere il contrario. Noi siamo pronti a tutto, a sperimentare, ma credo che ci siano talmente tante cose da dire ancora che prima di mettere una voce credo che ne passerà ancora un po’ di tempo...

Cari Lettori, è giunto il momento di salutarVi: continuate a leggere Metallized perchè domenica sarà online la seconda parte di quest'intervista!



Rob
Mercoledì 20 Maggio 2009, 0.05.31
3
Ora vado a leggermi la seconda parte!
Khaine
Giovedì 14 Maggio 2009, 11.55.49
2
Bravo Francè
Raven
Giovedì 14 Maggio 2009, 10.54.39
1
Ed io la leggerò con piacere
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