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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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13/01/2016
( 11031 letture )
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UNA PREMESSA MOLTO DOLOROSA Domenica pomeriggio mi è arriva la meravigliosa notizia che per inaugurare questo 2016 avrei avuto l’onore di recensire l’opera ultima, appena pubblicata, di David Bowie, Blackstar. Non serve che vi illustri la mia felicità: si tratta di un artista che ho imparato ad amare sin da piccolissimo, grazie soprattutto ad una figura paterna che lo ha sempre venerato alla follia, trasmettendomi questa gigantesca passione sia verso di lui che verso altre centinaia di band. Al momento della bella notizia mi trovavo a Roma, per una passeggiata domenicale in compagnia della mia dolce metà. Dopo i vari giri nella Città Eterna abbiamo deciso di fermarci nel grande negozio della Feltrinelli, per cercare vari libri/film/dischi e appena entrati abbiamo piacevolmente notato che Blackstar risuonava dalle varie casse. Bellissimo, a dir poco. Tutto nella norma quindi. Avevo in progetto di iniziare la recensione sin dalla mattina del giorno seguente e proprio per questo avevo cominciato a mettere in ordine le idee riguardo il nuovo, complesso, lavoro di David, che unisce sonorità molto difficili ed estreme, soprattutto se accostate alla figura del Duca Bianco che, nonostante sia un noto sperimentatore, è arrivato a spingersi dove non aveva ancora mai osato. Il lavoro risulta complicato sotto ogni aspetto: musiche ai limiti con la fusion, influenze fra le più disparate, testi decisamente criptici. Non si tratta di un compito semplice, ma del resto non lo è mai quando si va a toccare un mostro sacro di questo tipo ma ero davvero contento di avere la possibilità di poter recensire un disco di un artista così amato.
Ecco, ora come ora vorrei non dover avere il “fardello” di questa recensione, vorrei non dover scrivere le parole che stanno per seguire, vorrei poter starmene da solo a riflettere su come la musica sia parte integrante della mia vita, come mi abbia aiutato nei momenti peggiori e supportato in quelli migliori e come sia strano stare così male per qualcuno che viene a mancare, nonostante questo qualcuno non sapesse minimamente della nostra esistenza e non ci conoscesse. Stare male per qualcuno a cui non si è mai nemmeno potuto stringere la mano, strano e sciocco, no?! Per molti, probabilmente, ma sta di fatto che per tanti altri la musica rappresenta molto di più che un semplice passatempo, più di un sottofondo da tenere tanto per avere qualcosa da fare. Per molti la musica è vita, è sangue che scorre nelle vene, che ci spinge a tirare avanti anche nelle situazioni dove magari altri ci hanno abbandonato. Per questo e tanti altri motivi mi ritrovo a piangere David Robert Jones, un qualcuno che non mai conosciuto ma che mi è stato affianco, come molti altri musicisti, più di molte altre persone. Quando, dopo appena dieci minuti dalla pubblicazione del comunicato della pagina Facebook ho letto che David risultava essere venuto a mancare durante la notte non riuscivo davvero a crederci. Era surreale, impossibile, soprattutto a così breve distanza da altri tre giganteschi lutti avvenuti nel mondo della musica nell’ultimo periodo, ovvero la morte di Scott Weiland, Philty Animal e Lemmy. Ho subito pensato ad una bufala, a qualche scherzo di cattivo gusto da parte di hacker che avessero preso possesso della pagina scrivendo così questo post impossibile da vedere. Purtroppo, dopo che inizialmente la tragica notizia pareva essere una bufala di cattivo gusto, l'account Twitter di Duncan Jones, regista figlio di David e della ex moglie Angie, ha confermato la triste verità.
BLACKSTAR: L'INSOSPETTATO TESTAMENTO Chiusa questa dolorosissima premessa passiamo doverosamente ad analizzare questo nuovo e, per assurdo, ultimo lavoro del Duca che però, dopo quanto successo, va completamente ricontestualizzato: nell'immediato, Blackstar appariva come la nuova, estrema sperimentazione di uno dei più grandi geni musicali che siano mai esistiti, a dire il vero risultando di difficile decifrazione; guardato oggi appare come l’epitaffio finale, il testamento, la chiusura irrequieta, turbolenta, sofferta, probabilmente accettata ma comunque troppo spaventosa di un qualcosa cheDavid sapeva stesse arrivando: la sua morte. Ed è così che Blackstar diviene un album che possiede gli stessi presupposti di qualche giorno fa, ma anche molti altri, mentre tutto il simbolismo al suo interno sembra assumere un significato ben preciso, ponendosi come opera d’arte somma. Un canto del cigno così non si era mai visto e solo David Bowie poteva riuscire a rendere la propria morte un’opera d’arte. Il lavoro esce a quasi tre anni dal precedente The Next Day che aveva segnato il ritorno dell’artista con materiale inedito dopo circa nove anni, cioè dal lontano 2003, periodo in cui venne pubblicato Reality, considerato da molti, sin dall’uscita, un grande scivolone. The Next Day aveva invece riportato il fu Ziggy Stardust sotto i riflettori con un lavoro che univa tinte classiche alla giusta modernità, mista -ovviamente- a quella malinconia che sembrava aleggiare in tutti i brani del disco, proponendo un rock vero e proprio, con venature pop, contornate da una leggera ricerca elettronica che riusciva a fare la differenza. Il disco ha così trovato riscontro praticamente ovunque, facendo quasi gridare al miracolo e al ritorno di uno dei più grandi artisti di cui il mondo della musica sentiva la mancanza. Ma realmente parlando The Next Day risultava essere soprattutto un esercizio di stile, esaltante ma non al livello della sperimentazione che ci si può aspettare da un Bowie ritrovato. Il nuovo lavoro del biondo e poliedrico artista è stato annunciato sul sito ufficiale nella giornata del 25 ottobre e nell’articolo correlato veniva specificato che il primo singolo sarebbe stato rilasciato a poco meno di un mese di distanza: il nuovo album avrebbe visto la luce in maniera analoga al singolo che aveva riportato sulle scene il Duca Bianco, ovvero pubblicato nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno -Were Are We Now? era sta pubblicata l’8 Gennaio di due anni prima. La notizia ha lasciato abbastanza esterrefatti in quanto tra l’annuncio e la pubblicazione il tempo era davvero poco e l’attesa spasmodica per questo nuovo lavoro è cominciata immediatamente. Inutile dire che la prima traccia resa disponibile, ovvero la titletrack Blackstar, ha spiazzato fin da subito con delle musiche, ritmiche ed influenze che sconvolgono completamente quanto fatto appena due anni prima. Il Duca Bianco riesce così a spiazzare di nuovo, arrivando oltretutto quasi ad eguagliare la traccia più lunga della sua carriera -superandola ad onor del vero, in quanto il brano toccava gli 11 minuti, editato poi per poter essere pubblicato su Itunes- , ovvero Station To Station, canzone ed album dove era proprio venuta a delinearsi la figura del Duca Bianco e con cui presenta diverse affinità. Con i suoi nove minuti e cinquantotto secondi Blackstar si classifica come pura avanguardia, pregna di citazioni, dal significato quantomeno ermetico e, sembrerebbe, esoterico, del miglior Bowie -ovviamente se non guardata con la consapevolezza degli avvenimenti odierni. Blackstar è rock suonato da musicisti jazz, fatto che in molti ad oggi hanno voluto sottolineare, ed anche giustamente c’è da dire. Si tratta di una lunga composizione di matrice prettamente jazzista, che spesso arriva a sfociare quasi in una jam, su cui si vanno a creare dei veri e propri microcosmi che coesistono in un'unica sontuosa suite, la quale a tratti sembra slegarsi non perdendo però mai di coesione, risultando estremamente coerente ed affascinante. Ma cos’è che David cerca di dire precisamente? Si tratta solamente di un testo che analizza gli aspetti di questa “Stella Nera” che sembra essere un messia profano, sottoposto a straziante dolore ed infine morente? Forse si tratta dell’ultima incarnazione dell’artista londinese, della finale e sottile maschera che si è voluto cucire addosso per non esporsi completamente, mettendosi si a nudo ma con qualche riserbo del caso come ha sempre voluto fare. David è questa “Blackstar” alla fine dei suoi giorni e non intende più nasconderlo al suo pubblico, lascia grandi indizi, se non interi testi/testamento che risultano decisamente mirati.
Something happened on the day he died Spirit rose a metre and stepped aside
David sembra voler sottolineare soggetti sicuramente autobiografici quando dice di non essere una stella del cinema o una pop star, va a scomporre parti di se stesso per lasciare spazio solo e solamente a quello che sente essere in questo momento, una Stella Nera. Ancora più criptico ed evocativo risulta un verso successivo:
I’m a blackstar, way up, on money, I’ve got game I see right, so wide, so open-hearted pain I want eagles in my daydreams, diamonds in my eyes
Questo dolore sembra tangibile e presente nonostante nel momento esatto in cui le parole vengono pronunciate la voce del Duca sia pulita, senza filtri vocali, tranquilla, calma e soprattutto dolce. La visione della strofa seguente sembra inoltre eterea e surreale, simile ad una descrizione funeraria vicina alla mitologia classica greca e romana. Bisogna ovviamente prendere in considerazione anche il meraviglioso video realizzato per il brano da John Renck: esso presenta sfumature davvero singolari con un Bowie che prima si mostra bendato e sincopante per poi passare ad impersonare un simil predicatore. Mentre tra le varie scene si possono trovare eclissi solari, crocifissioni ed esseri di dubbia natura, la cosa che immediatamente balza all’occhio è la tuta da astronauta che viene fatta vedere sin dalla prima inquadratura. Questa tuta sarà successivamente aperta ed al suo interno trovato un teschio intarsiato che sembrerebbe un -nemmeno troppo velato- riferimento a Space Oddity. La seconda traccia, ’Tis A Pity She Was A Whore, era già stata rilasciata in versione di singolo per il box Nothing Has Changed, del 2014, al pari di Sue (Or In A Season of Crime); la versione di Blackstar, tuttavia, presenta una veste molto più jazz dove viene messa maggiormente in risalto la parte vocale, a differenza dell’incisione originale; altro elemento in aggiunta che caratterizza il brano è la sezione di fiati che domina per la durata della canzone, in una maniera che non può far altro che lasciare l’ascoltatore a bocca aperta grazie alla bellezza scaturita da un solo strumento. Le atmosfere che si respirano qui sono sempre molto intense, sicuramente meno ermetiche, ma con fraseggi semplicemente perfetti. Con Lazarus si apre un capitolo a parte e si ritorna nella vorticosa spirale che avvolge tutto il disco come fosse una fagocitante ombra nera che si estende ovunque. Ciò non toglie che Lazarus sia uno dei più bei brani del disco -se non il più bello- e, più in generale, uno dei migliori dell’ultimo Bowie. Lazarus è il testamento di un uomo che è morto come era nato, facendo musica, regalando -molto spesso- cose meravigliose ad un pubblico che non sempre ha saputo apprezzarle. Questo Blackstar, come ha tenuto a sottolineare Tony Visconti è il suo ultimo regalo per i fan e per questo mondo, pensato per essere così sin dall’inizio, calcolato dal Duca Bianco in ogni suo minimo dettaglio -servito magari anche per esorcizzare la morte, cercando di averne più controllo possibile, almeno nel limite del consentito-. Lazarus, come dicevo, è un testamento che si apre con un intro alla Joy Division, per poi lasciare spazio alla sezione di fiati che creano tanta dell’atmosfera e del pregno sentimento scaturito dal brano.
Look up here, I'm in heaven I've got scars that can't be seen I've got drama, can't be stolen Everybody knows me now
Look up here, man, I'm in danger I've got nothing left to lose I'm so high it makes my brain whirl
Con queste parole David Robert Jones ci offre tutto se stesso, la sua realtà, la sua vita, la sua parte più intima e privata. Ci rivela fra le righe ciò che stava accadendo e che di li a poco ci avrebbe straziati. In questo modo, che sembrava così strano fino a poco fa, ci dà il suo ultimo saluto, con una teatralità unica, quella che lo ha sempre contraddistinto, in ogni suo singolo lavoro; con una classe innata che lo accompagna sin da quando si ha memoria. Lazarus è l’ultimo singolo, corredato di un ultimo straziante video che ci mostra il nostro trasformista su di un letto, che potrebbe essere ospedaliero ma anche psichiatrico, per poi tornare ad indossare un costume conosciuto, che riporta alla mente tanti ricordi, in quanto è estremamente simile a quello utilizzato per un photo set del ’76, proprio in occasione dell’uscita di Station to Station. Successivamente il Duca ci regala qualche movimento che fa tornare indietro nel tempo, perché alla fine è proprio grazie a questo che David Bowie risulterà essere sempre immortale. La sua musica, la sua scrittura, la sua classe, il suo trasformismo, le sue movenze, le sue sperimentazioni, tutto questo rende immortale l’anima anche quando il corpo cede. Sul finire troviamo il biondo londinese scrivere freneticamente un diario tra movenze al limite del disarmante e facce semplicemente spaventose -come se sottolineasse lo sforzo compiuto nello scrivere quest’opera somma, nel riuscire a portare a termine tutto nel tempo e nel modo giusto-, qualcosa che lascia a bocca aperta, tanto risulti empatico e perfetto. Per finire, il Duca si ritira in un armadio fino a scomparire, con l’ennesimo simbolismo e bisogna ammettere che è quasi impossibile trattenere la commozione mentre questo brano e questo video scorrono.
Oh I'll be free Just like that bluebird Oh I'll be free Ain't that just like me?
Troviamo, tra il doloroso incedere del basso e del sassofono, scandito da un acido riff di chitarra, anche una sentenza non indifferente: David sarà libero ora, proprio come un pettirosso -possibile e probabile riferimento a Charles Bukowski, che ora potrà “far uscire”. Non possiamo, oltretutto, che essere d’accordo sul fatto che questo sarebbe assolutamente da lui. Sue (Or In A Season Of Crime) è l’altro brano già precedentemente inciso e successivamente re-arrangiato per Blackstar. Anche in questo caso le differenze con la precedente versione si fanno sentire: viene meno l’arrangiamento orchestrale per lasciare spazio ad una parte ritmica più incisiva e sincopante, sicuramente la più vicina agli stilemi “rock” ma comunque basata sull’inconfondibile impronta jazz a cui il disco ci ha abituato. In questo caso il testo è molto nebuloso e di ispirazione prettamente noir, sembra quasi di avere davanti un qualcosa di matrice hitchockiana. Non mancano riferimenti alla morte, ed altri che potrebbero essere interpretati come autobiografici, quali l’accenno ad una clinica e ad un responso di una radiografia, ma non vogliamo trovare significati nascosti laddove potrebbero semplicemente non esserci. Con Girl Loves Me sentiamo quella che dovrebbe essere l’influenza dei Death Grips e Kendrick Lamar, in entrambi i casi esponenti della scena alternative rap che, a quanto detto da McCaslin e Visconti avrebbero molto ispirato David in fase di registrazione. Ascoltando il brano ci si può facilmente rendere conto che tale affermazione non sembra affatto improbabile, risultando, anzi, molto plausibile sia per la struttura cadenzata e volutamente scarna del brano, dove basso e batteria la fanno da padrone, che per il modo di cantare che l’artista adotta in gran parte del pezzo. Dollar Days presenta un’impostazione più vicina ad una malinconica ballata, aperta da dolci note di pianoforte ed accompagnata da una sezione acustica semplicemente stupenda, con un incedere maggiormente sostenuto nelle strofe e più calmo durante i ritornelli. Ancora una volta a farla da padrone è il sassofono che in questo disco non sbaglia davvero un intervento, ponendosi quasi come controparte di Bowie nei momenti di maggiore empatia. Da sottolineare il meraviglioso solo chitarristico che chiude il brano con lo sfumare della voce. Anche in questo caso il testo sembra decisamente difficile da decifrare, ma sentir scandire determinate frasi non può non riportarci alla convinzione -come già confermato in precedenza- che questi testi siano stati scritti per girare intorno ad un solo senso comune, con più o meno verve, a seconda del brano e del significato rappresentato.
It’s all gone wrong but on and on The bitter nerve ends never end I’m falling down Don’t believe for just one second I’m forgetting you I’m trying to I’m dying to
Abbiamo già ascoltato il Duca Bianco parlare di morte e della sua personale visione, ma mai è sembrato così sentito tale argomento… così vicino e palpabile. In chiusura troviamo I Can’t Give Everything Away, dal titolo quantomeno evocativo. La composizione continua sulla linea vagamente più classica, già impostata nel pezzo precedente, con una voce naturale e piena di pathos che pone finemente l’accento sulle parti testuali più importanti. Il nostro poliedrico artista ci dà un esempio ultimo di alienazione e senso di smarrimento ma che, come sempre, continua a non arrendersi mai, perché in fondo non è pronto a farlo. Si tratta di un brano fortemente umano che, nuovamente, trasmette un sentimento così potente da descrivere delle vibrazioni in maniera semplicemente unica. Nuovamente strepitosa la chitarra che interviene su tutta la parte finale, con una sezione quasi sognante ed eterea che accompagna la voce di Bowie nel ripetere incessantemente questo ritornello dal significato così pregno.
Seeing more and feeling less Saying no but meaning yes This is all I ever meant That's the message that I sent I can't give everything I can't give everything away
DAVID BOWIE: LA ROCKSTAR DEFINITIVA Ed è così che finisce Blackstar, una delle opere più avanguardistiche che mi sia capitato di analizzare ultimamente. Un disco che fonde art rock, avant-garde jazz e musica elettronica in una fusione unica che ci riporta il Duca di un tempo, quello perennemente incline all’innovazione ed alla sperimentazione. Si tratta ovviamente di un disco semplicemente singolare, l’opera d’arte finale che questo immenso artista ha voluto lasciarci, realizzando tutto mentre combatteva la più difficile delle sue battaglie e, quando ha compreso che non ci sarebbe stato nulla da fare, ha deciso da solo come andar via, in modo meravigliosamente sontuoso e poetico, con le sue regole e le sue decisioni. Proprio in queste ore le notizie cominciano ad emergere e si dice che David durante tale periodo abbia avuto ben sei attacchi di cuore, ma che li abbia comunque superati grazie ad una tenacia e forza di volontà unica. Molti altri si sarebbero crogiolati nel dolore del momento, forse abbandonandosi completamente a questo, lasciando che tutto facesse il suo corso e che la realtà scivolasse via pian piano. Beh, signori miei, David Bowie non è tra questi, non è mai stato qualcuno che si faceva scorrere gli eventi addosso; lui, con una carisma così unico, era quello che prendeva in mano la situazione ed anche in questo caso ha scelto di non tirarsi indietro. A 69 anni ha scelto di creare dell’arte anche nel momento più impensabile, di dare una sfaccettatura poetica anche a ciò; di rendere la propria morte l’opera finale. Mai nessun altro sarebbe stato in grado di creare tutto questo. Blackstar è unico nel suo genere, un lavoro che entrerà nella storia sia per la sua musica, che per il profondo significato ed intento che porta con sé. Un disco inclassificabile in cui ci viene detto addio in una maniera personale, molto più di quanto nessun altro abbia mai fatto prima, anche più di un altro mostro sacro scomparso troppo presto, come Freddie Mercury. Wendy Leigh, scrittrice della biografia pubblicata ad inizio 2014, sostiene che David abbia organizzato tutto nei minimi dettagli, facendo le cose in modo suo e non dandola vinta ad un’ignobile malattia.
David made sure he died on a Monday morning so that people in England, the England he loved, found out first.
Alla fine è stato il Duca Bianco a beffare la Morte e non il contrario. Dopo questa così lunga -ma necessaria- e sofferta recensione non posso far altro che unirmi al coro di ringraziamenti fatti in questi giorni ad un artista che ha influito così tanto sulla mia formazione, grazie alla sua meravigliosa musica che, come dimostrato, sarà sempre immortale.
Grazie David, questo tuo ultimo regalo è il più grande che potessi farci.
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Vorrei ringraziare il duca bianco per questo ultimo album bellissimo anche se ci sono poche song purtroppo con la malattia la portato via grazie David sei stato un mito. |
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Certo, lisablack, che i Queen hanno scritto qualche valido brano(un intero album no). Ho estremizzato al fine di rendere l'idea. Sono stanco di vedere e sentire Mercury accostato al Duca -con tanto di Under Pressure(ottimo pezzo, che purtroppo ho imparato a detestare) in sottofondo. |
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Non condivido..Bowie per me era un genio, Mercury come frontman è inarrivabile, in ambito rock, in ambito metal è un'altro discorso. I Queen di album eccellenti ne hanno scritti eccome..altro che Moccia |
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Per me è una bestemmia, drammaticamente di moda. Mettere sullo stesso piano Bowie e i Queen corrisponde a considerare vicini, per spessore e valore, Dostoevskij e Moccia. |
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@LostHighway78 davvero l'unica cosa che ti ha colpito di tutta l'analisi è l'aver citato Mercury in chiusura? |
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Sempre 'sto freddi mercuri tra le palle, regolarmente buttato lì accanto a un vero grande Artista
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All'altezza della sua migliore produzione. |
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Complimenti davvero una recensione stupenda ed emozionante proprio come l'ultimo lavoro che il nostro "camaleonte" ha voluto regalarci uscendo di scena in una maniera come solo lui poteva fare. Ammetto che anche se molto bello ho fatto fatica agli inizi ad ascoltare questo album, partivano le note di lazarus e immancabilmente mi saliva quel senso di angoscia e tristezza facendomi ricordare ogni volta il senso di vuoto che aveva lasciato... poi continuando a riascoltarlo e pensando comunque che lui ha voluto farlo come suo ultimo regalo nei nostri confronti è diventato uno dei miei album preferiti insieme a molti altri che ci ha lasciato in 50 anni di carriera. Grazie David la tua musica girerà in eterno sulla terra e chissà su quale altro pianeta. |
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Una delle più belle recensioni che ho letto in questo sito e in altri. Album profondo, straziante, il degno commiato di uno dei migliori artisti di sempre. |
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Album e recensione commoventi. Bravissimi |
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A distanza di quasi un anno dalla morte e con l'onda emotiva un po' scemata si può certamente affermare che questo sia un album veramente molto bello. Black Star, poi, è meritevole di entrare in ogni futura Raccolta/Best of/Greatest hits. Di poco inferiore Dollar days e Sue in cui lo spettro di Scott Walker emerge prepotentemente (sul chi ha influenzato chi e quando ci sarebbe da scrivere un libro). La cosa che più mi ha stupito è l'uso del sax: lo strumento solista del cd che mi riporta alle atmosfere malate di Outside 1. 80 |
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Grande duca bianco! Ultimo grande disco! Il mio preferito però rimane earthling del 97.. Molto rock industrial.. Seven years in Tibet la mia preferita chissà spero in una rece futura! Grazie.. A questo do 85 come musica 100 x il grande ultimo regalo che ci ha fatto |
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Sto ascoltando per la prima volta "Blackstar": è un album di rara bellezza! Veramente un'opera straordinaria di un artista che ho riscoperto grazie a "The Next Day", altro album bellissimo. Molto bella e accurata la recensione, complimenti. |
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Una gemma nera. Da avere |
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Bravissimo!!! Davvero una recensione toccante e convincente, traboccante di emozioni e sentimenti e di amore puro per David Bowie; il suo essere spirito, materia, musica.....complimenti Lorenzo!!! |
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Recensione superba !!! |
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Bellissima recensione,complimenti. Disco fuori parametro,frutto di una mente superiore. |
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Recensione Eccellente. Grazie per aver fatto entrare nei nostri cuori,queste parole,ognuno di noi,dovra' asciugare le lacrime che solcheranno inesorabilmente i nostri volti.Grazie di questi bellissimi minuti di Toccante e Profonda lettura. |
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Freddie Mercury, David Bowie. Under Pressure, una canzone spettacolare, un duetto in cui anche due voci così diverse riuscivano a fondersi perfettamente. Ecco, per me Blackstar è l'Innuendo di Bowie e, come l'addio di Freddie, anche quello di Bowie è un discone (anche se va beh, amando i Queen preferisco il loro); giusto per ricordare chi sono stati e chi saranno, perchè un loro erede non si vede ancora. |
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Davvero una bellissima recensione. Ho acquistato il cd venerdì scorso, il giorno della sua uscita e fin da subito ho capito che eravamo di fronte a qualcosa di clamorosamente avanti rispetto ad altro. Pensavo: cazzo Bowie a 69 anni ha ancora le palle di sperimentare e di sorprenderci. Poi, però, con l'inaspettata notizia della morte l'album ha raggiunto un nuovo status che va al di là della clamorosa classe e qualità ivi contenute. Inizi a vederlo ed ascoltarlo sotto un'ottica completamente differente; a valutare i testi parola per parola e rabbrividisci se ti metti a pensare che il disco è stato concepito con la consapevolezza (e la precarietà di salute) di chi sa che sta per morire. E' musica magnetica, io non sto riuscendo (o non sto avendo il coraggio) di smettere di ascoltarlo, e ormai siamo al settimo giorno, gli ascolti si ripetono a profusione, la noia dell'ascolto non si scorge all'orizzonte. Forse è perché finchè suonerà nei miei stereo sarà come se la sua morte non sia sopraggiunta, bhu. Quando, invece, lo conserverò la sensazione sarà davvero di aver chiuso un capitolo. |
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Neanche io sono mai stato un fruitore massivo della sua musica , alcune cose mi piacciono molto altre no sulla sua musica e sul suo cantato in alcuni suoi album, e solo da 8 mesi che stavo approfondendendolo attraverso la sua discografia che devo ancora terminare di analizzare, ma i suoi classici piu' famosi li ascoltavo volentieri nei miei viaggi in macchina ed erano una buona compagnia musicale, si può amare o non amare, ed anche in questa sua ultima opera dove ci sono tratti di cantato dissonanti, distorti e un po atipici rispetto al suo solito, farà discutere se non altro per i sui riferimenti esoterici e simbolismi occulti, veri e propri messaggi dal significato interpretativo profondo e al contempo polisenso(ed è quello che voleva di proposito) come in Lazarus e Black Star, si può apprezzarlo o meno, come tutti gli artisti del resto, e insomma di lui tutto si può dire tranne che non sia stato un grande iniziataore, comunicatore musicale e sperimentatore di messaggi e di stile musicale unici nel suo genere, un personaggio criptico, ermetico ma anche stravagante , eccentrico ed eclettico, in poche parole...David Bowie appunto.Bella analisi Lorenzo.R.I.P |
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Non sono mai stato un fan di Bowie, ma mi pare tu sia stato abbastanza esaustivo nell' esaltare la sua carriera daglli inzi fino a BLACKSTAR . Non ho nulla da aggiungere a parte che dirti bravo Lorenzo. |
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Grande artista ! Un mito ... |
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Bravo Lorenzo. Ho letto la tua recensione tutta di un fiato ed è stato una continua giostra emotiva. La morte di David Bowie è stata un evento che ha colpito tutti come un macigno emotivo, anche chi come me, lo ha sempre seguito un po' a distanza (ma sempre con il giusto rispetto). Da due mesi a questa parte con un'inquietante coincidenza, avevo cominciato a recuperare in cd tutti i suoi dischi, e li stavo ascoltando uno ad uno in macchina ogni giorno mentre venivo in ufficio. Il giorno della sua morte stavo ascoltando "Aladin Sane", e pur sentendomi distante da quel tipo di sonorità, non potevo far a meno che ascoltare il tutto con un'attenzione e rispetto degni al personaggio. La mattina dopo mi sono procurato "Blackstar" (in attesa che la copia fisica arrivi a casa) e l'ho ascoltato in cuffia. Brivid, emozioni e incredulità. Un disco magnetico, inquietante, oscuro, magnifico in tutto. Bowie ha reso la sua morte un'opera d'arte, e ci è riuscito. |
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Recensione decisamente strappalacrime, bravissimo! Il disco lo devo ancora ascoltare, ma sono un po' intimorito dato che anche io sono legato a Bowie in modo quasi viscerale.. Ho paura di quello che potrei provare in questo momento. |
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Lorenzo,mi hai fatto commuovere... Bravissimo come sempre ad interpretare il pensiero comune,le emozioni che non hanno parole ma che ti scombussolano la quotidianita'. Grazie ancora |
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Stupefacente e per tratti commovente.Complimenti. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Blackstar 2. ‘Tis a Pity She Was a Whore 3. Lazarus 4. Sue (Or In a Season of Crime) 5. Girl Loves Me 6. Dollar Days 7. I Can't Give Everything Away
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Line Up
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David Bowie (Voce, Chitarra Acustica) Ben Monder (Chitarra) Jason Lindner (Pianoforte, Organo, Tastiere) Tim Lefebvre (Basso) Mark Guiliana (Batteria, Percussioni) Donny McCaslin (Sassofono, Flauto, Legni)
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