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Saturnus - Veronika Decides to Die
05/03/2016
( 4044 letture )
Dalla Roma imperiale a quella dei Papi, dalle corti delle grandi casate nobiliari del Rinascimento ai circoli che affiancavano i sovrani nell’edificazione degli stati nazionali, per secoli la storia della cultura è stata indissolubilmente legata alla volontà di autocelebrazione e all’altrettanto spasmodica ricerca di prestigio messa in campo dal potente di turno. Augusto, Lorenzo de’ Medici, Giulio II, la dinastia Tudor, sono stati legione i mecenati che hanno protetto e finanziato artisti con finalità non sempre limpide, indipendentemente dai capolavori immortali tramandati ai posteri. Focalizzando l’attenzione sul mondo delle sette note, si può dire che per avere il primo esempio di musicista completamente “professionista” e svincolato dai lacci della committenza bisogna aspettare l’avvento sulla scena di sua maestà Wolfgang Amadeus Mozart che, abbandonando la corte dell’arcivescovo di Salisburgo e proponendosi di vivere della propria arte, preparerà la strada alla moderna concezione dell’artista come individualista romantico. Così, last but not least tra i già sufficientemente sconfinati meriti da attribuire all’autore del Requiem, va aggiunta anche questa sorta di emancipazione definitiva della creatività, in grado di librarsi ora secondo le sole spinte generate dall’animo dell’autore.

Tra i più seri candidati a innalzare monumenti equestri alla memoria del salisburghese, un posto di primo piano spetta indubbiamente a uno dei frontman che più hanno impreziosito la scena metal danese a cavallo del cambio di millennio. Difficile immaginare un musicista altrettanto ipoteticamente alieno agli antichi concetti di committenza, che necessariamente contemplano certezza dei tempi di produzione e chiarezza nella scelta della squadra, così come è altrettanto difficile immaginare un artefice altrettanto ostinatamente devoto solo alla propria musa, al punto da trasformare in “storia dell’anima” qualsiasi album prodotto in una carriera ormai ventennale. Stiamo parlando di quel Thomas AG Jensen che, alla guida del progetto Saturnus, aveva già regalato perle indimenticabili destinate a scrivere la storia della nascente scuola doom scandinava, debitrice della lezione My Dying Bride ma contemporaneamente destinata a trascenderla col suo carico di oscurità e visionarietà figlie delle interminabili notti del Grande Nord.
L’uscita di questo Veronika Decides To Die (evidente il richiamo nel titolo al romanzo di Paulo Coelho), conferma le due caratteristiche a cui si faceva riferimento, a cominciare da una estrema dilatazione dei tempi di composizione (sono trascorsi ben sei anni dal predecessore Martyre), per passare a una altrettanto spinta volatilità della line up (la metà dei componenti è al debutto), ma ancora una volta niente riesce a frapporsi tra il sestetto di Copenaghen e la dimensione del capolavoro. L’asse portante dell’album, anche in questo caso, è l’innesto di un impianto ad alto tasso melodico su strutture che non perdono mai, per questo, un solo grammo di potenza ed evocatività, regalando esiti in perenne equilibrio tra struggimento e inquietudine.
Ma la vera chiave di volta per entrare in sintonia con la musica dei Saturnus rimane la disponibilità di chi ascolta a farsi avvolgere dalle atmosfere nebbiose e dense sprigionate dagli interminabili passaggi strumentali che separano le incursioni vocali di Thomas AG. Così, i tappeti di tastiere e pianoforte, dispiegati da un Anders Ro Nielsen come sempre imprescindibile sul versante della resa emozionale, incontrano le evoluzioni della coppia di sei corde Poulsen/Pedersen, perfettamente a loro agio tra riff e arpeggi così come nei lenti giri di edificazione di architetture dalle ampie volute, che tolgono il fiato per l’arditezza della “verticalità” raggiunta. Su tutto, come sempre, brilla la prova di Thomas AG al microfono, col suo caratteristico growl catacombale che, però, con gli anni, si è arricchito di sfumature e componenti di registri diversi, che gli consentono ora di cimentarsi con esiti parimenti devastanti in scream laceranti e oniriche aperture in clean, senza dimenticare le parti in “whispered” che aggiungono tocchi di inattesa delicatezza.
La tracklist, otto brani per un’ora complessiva di viaggio, si apre con I Long, brano destinato a diventare un anthem irrinunciabile nei loro concerti ma soprattutto sorta di pietra miliare dell’intero movimento doom, vergato da un ritmo lentamente oppressivo su cui la chitarra apre voragini di malinconia, per un approdo che si trattiene mirabilmente alle soglie della disperazione, sull’ultimo lembo di tristezza prima dell’abisso. Il registro muta radicalmente con Pretend, per larghi tratti solidissima prova delle capacità squisitamente metal dei Saturnus (lo scream qui dominante agevola sconfinamenti in territorio death) ma che passa alla storia per un finale che va oltre qualsiasi possibilità di catalogazione per genere, grazie a un riff clamoroso articolato per “gemmazioni” successive in cui ogni piccolo dettaglio di una traiettoria morente serve da base per una nuova ripartenza. La tensione accumulata si stempera improvvisamente nella successiva Descending, complice una sorprendente virata nella resa delle sei corde, che fanno da controcanto a un growl mai così profondo e gutturale prima di sciogliersi in un assolo dai tratti malinconicamente blues. Un duetto e un sottile gioco di rimandi tra chitarra e pianoforte marchiano a fuoco Rain Wash Me, altra perla velata da un grigio autunnale che toglie il respiro, segnata stavolta dal ritorno di quel growl “sabbioso” che aveva contraddistinto il debut Paradise Belongs To You.
La seconda metà di Veronika Decides To Die si apre sulle note del brano probabilmente più toccante dell’intera discografia dei danesi, All Alone, poetica e disperatissima riflessione sul destino dell’uomo, che sprofonda inesorabilmente verso un epilogo di solitudine. Non c’è rivolta, non c’è presa di coscienza titanica che preluda a scelte tragiche, niente grida scomposte di dolore, solo una rassegnazione leopardiana che segue la presa d’atto della nostra condizione, perché:

Holding hands with myself
Sharing life with myself
Reaping the loneliness I've sown
In these fields I've always grown
Digging blackness from my mind
I will die all alone


A riportare i viandanti sulla terra provvede Embraced By Darkness, di gran lunga il pezzo più canonicamente doom del lotto, che si limita (eufemisticamente parlando, dato che si parla comunque di quasi sette minuti dalla resa qualitativa impressionante) a evocare le spire lentamente nere che accompagnano le evoluzioni dei My Dying Bride, filtrate da una lente che proietta sullo sfondo suggestioni di marca Katatonia. Detto di una To The Dreams dalla magnifica natura anfibia tra il ritmo della prima parte, la melodia del corpo centrale e la chiusura eterea affidata a una chitarra acustica che vaga da sola sulla scena, il gran finale è tutto nei fuochi d’artificio di Murky Waters, che richiama lo schema metal classico già sperimentato in Pretend ma, avventurandosi stavolta su crinali epici, innalza un terrificante grido di guerra a invocare la pioggia pura della primavera per diluire le acque torbide e limacciose che trascinano con sé morte e oscurità.

Terzo capitolo e terza opera d’arte di una carriera che non ha conosciuto momenti di sbandamento o cali di tensione, Veronika Decides To Die è una pozione magica che riassume in sé ed evoca tutti gli spiriti incontrati dalla nostra specie nella sua storia millenaria. Commuovere, emozionare, trascinare, solcare gli anfratti dell’anima in un ipotetico itinerario fino alla sorgente delle lacrime, non c’è una sola componente che rimandi all’esperienza umana più trascendente che sia estranea alle corde narrative dei Saturnus. In ogni campo, in tutti i tempi e a tutte le latitudini li chiamano semplicemente capolavori.



VOTO RECENSORE
88
VOTO LETTORI
95.11 su 18 voti [ VOTA]
Uomo Tigre
Martedì 27 Dicembre 2022, 17.23.48
7
Una delle vette più alte della musica tutta. Come tutti i loro dischi. Per me è 100.
Valar Morghulis
Martedì 8 Marzo 2016, 11.54.34
6
L'album che me li ha fatti conoscere; bellissimo. Devo dire che quando mi capita mi trovo più spesso ad ascoltare Saturn in Ascension, ma pezzi come le prime due tracce, All Alone e Murky Waters sono imbattibili. Grandissima band e bellissima musica. Straziante, ma bellissima. Tra l'altro live sono veramente un portento, oltre a essere persone umili e disponibilissime.
gamba.
Lunedì 7 Marzo 2016, 23.21.57
5
beh visto che siamo su questa recensione parti da qua, no? album verso cui nutro un grande affetto, ringrazio per la apprezzatissima recensione!
d.r.i.
Lunedì 7 Marzo 2016, 20.41.37
4
@simo: tutti! Comunque paradise (il primo) é spettacolare
simo
Lunedì 7 Marzo 2016, 20.16.29
3
Qualcuno può consigliarmi i lavori migliori di questo gruppo?
Armo
Sabato 5 Marzo 2016, 20.54.50
2
L’ascolto di questo capolavoro mi porta sempre a vivere una profonda emozione che tu, Red Rainbow, hai saputo esprimere a parole in modo splendido … mi ci sono “ritrovata” appena le ho lette. Non volermene se l’unica critica che ti muovo è il numerino in fondo alla recensione, per me è molto più alto!!
Aske
Sabato 5 Marzo 2016, 13.18.37
1
Bellissimo, straziante, è un'opera che trasuda emozioni e che le suscita in me anche nei momenti di maggiore apatia...
INFORMAZIONI
2006
Firebox Records
Doom
Tracklist
1. I Long
2. Pretend
3. Descending
4. Rain Wash Me
5. All Alone
6. Embraced by Darkness
7. To The Dreams
8. Murky Waters
Line Up
Thomas AG Jensen (Voce)
Tais Pedersen (Chitarre)
Peter Poulsen (Chitarre)
Anders Ro Nielsen (Tastiere)
Lennart Jacobsen (Basso)
Nikolaj Borg (Batteria)
 
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