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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Bombus - Repeat Until Death
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04/05/2016
( 2815 letture )
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Dr. Stein grows funny creatures lets them run into the night they become great rock musicians and their time is right
Sono passati ormai quasi trent'anni da quando un quintetto di Amburgo, all'epoca in pieno decollo artistico, metteva in musica la storia di uno scienziato dedito a esperimenti in equilibrio precario tra genio e follia. Estratta come primo singolo da quel Keeper of the Seven Keys Part II che è universalmente riconosciuto come uno dei vertici dell'epoca pionieristica del power metal, Dr. Stein ha rappresentato per molti puristi del genere una sorta di intruso nella tracklist, poco più di un divertissement per chi si era abbeverato con avidità alle frequenze muscolari di Walls of Jericho. E così, mentre gli Helloween riprendevano la rotta di un percorso destinato all'immortalità, nell'immaginario dei fans rimaneva l'icona di questa figura intenta a mischiare DNA, pelle e un certo spray per dare vita a bizzarre creature, destinate ovviamente a materializzarsi nella notte di Ognissanti. A dare nuova veste alla trama provvedono ora quattro ragazzi di Göteborg che, giunti al loro terzo full-length, decidono di cimentarsi in un esperimento al termine del quale si ritroveranno, contemporaneamente, nei panni degli scienziati e dei grandi musicisti rock figli di quel rimestare di alambicchi. Loro sono i Bombus e la loro carriera aveva per la verità già lanciato segnali inequivocabili fin dal debut omonimo del 2010. Sempre in equilibrio tra una solida base heavy classica e frequenti divagazioni in territorio punk core ad alto tasso melodico, i Bombus hanno vissuto il loro primo quarto d'ora di celebrità col predecessore The Poet and The Parrot, in cui una critica perennemente a caccia di iperboli ha trovato tracce di almeno una decina di generi diversi ad alternarsi sotto la guida di due singer dagli spiccati tratti di scuola Motorhead. A uno sguardo appena più pacato, in realtà, ai Nostri era riuscita semplicemente (si fa per dire) l'impresa di innestare senza strappi lo spirito dei migliori Bad Religion in strutture hard rock, anche se non sono mancate “sporcature” nell'ispirazione che si sono spinte a lambire le lande Black Sabbath.
Ed eccoli, i quattro, alle prese già a partire dalla cover con un antro magico, tra mescite di beveroni dai dubbi contenuti e creazioni plasticamente più o meno informi (senza dimenticare un'aura vagamente mistica, da Cenacolo vinciano declinato molto laicamente). E il contenuto di questo Repeat Until Death rispecchia alla perfezione il disordine creativo illustrato in copertina, suggerendo l'idea di una convergenza di materiali apparentemente inconciliabili per sconvolgere convinzioni graniticamente inveterate. La base, ancora una volta, è un heavy di diretta filiazione ottantiana, reso però stavolta ancora più immediato con la rinuncia all'articolazione delle strutture che si era qua e là affacciata in diverse tracce del predecessore (dimentichiamoci gli spunti di Liars o Into The Fire, per intenderci). Nove brani per poco più di mezz'ora complessiva d'ascolto rendono perfettamente l'idea di cosa aspettarsi, una sorta di sequenza ininterrotta di anthem già pronti per una resa live ad alto tasso di coinvolgimento, un metal party trascinante senza rischi di comparsa sulla scena di ombre a intralciare la narrazione. Di nuovo, sono i richiami ai Motorhead quelli più immediatamente fruibili anche da un orecchio distratto, ma sotto la linea di galleggiamento c'è ben altro, a cominciare dalla “coralità” di stampo Accept o Def Leppard, passando per refoli Primal Fear e atterrando sulle piste hardcore raffinate di derivazione Ignite. Sono chiaramente due, le possibili trappole poste sulla rotta dei Bombus, innanzitutto un rischio frullato (brillantemente superato grazie a una scrittura che non indugia sulle singole componenti a caccia di cammei ma si limita a carotarne i tratti fondamentali) e, non secondariamente, l'indulgere in una ruffianeria stucchevole e accattivante. Ma è proprio qui che i Nostri danno il meglio di sé, trasformando gli ammiccamenti in un delizioso gusto kitsch che rende il tutto fruibilissimo, quasi sfidando l'ascoltatore a frugare nel proprio database per cogliere ascendenze e rimandi, il tutto gestito con una leggerezza che non fa mai venir meno la base di birra, sudore & benzina che deve restare alla base del party. Fuoco alle polveri immediato, allora, fin dall’opener Eyes on the Price, dove la coppia d’ugole Berglund/Jacobsson lavora di ruvide abrasioni su una base dalla semplicità disarmante, ripristinando in quattro minuti l’antico fascino della sequenza strofe/ritornelli/chorus, con l’immancabile assolo della sei corde a incendiare il finale. Del tutto simile negli aspetti “formali” ma decisamente più articolata è la successiva Rust, animata da un ritmo marziale che si stempera in un ritornello ad altissima orecchiabilità e pari scorrevolezza in cui si respirano suggestioni alternative rock di scuola Shinedown. Alto il rischio di assistere alla tracimazione di elementi pop che pure si affacciano sullo sfondo, facile virare verso comodi approdi easy listening, ma a Göteborg sanno perfettamente come tenere la barra dritta sul rock e a riportare l’ordine provvede il miglior riff dell’intero album, scaraventando sul campo echi di antichi lignaggi. Le radici core della band vengono rispolverate con Deadweight, scelta tra l’altro come singolo di lancio dell’album, ma stavolta a guidare l’ispirazione non è la scuola punk angloamericana bensì la più recente corrente scandinava, con band come i Kvelertak a dettare ritmi e prospettive. Trasuda anni ’80 da ogni solco, invece, Head of Flies, tutta headbanging e boccali levati per buona parte del percorso, ma attenzione però, perché, mentre ci si aspetta un finale di altrettanto potente monumentalità, spunta a sorpresa un coretto assassino che minaccia di ripresentarsi ossessivo anche ad ore di distanza dall’ascolto (eccolo, il vertice del kitsch a cui si accennava, gestito da ciarlatani questa sarebbe stata la caduta fatale dell’intero platter, nelle mani dei Bombus ne diventa probabilmente la vetta qualitativa assoluta). Non poteva mancare, a questi livelli di ottantiana euforia, una sana ballad, e i Nostri provvedono con un'altra perla intrisa di magniloquenza e ostentata teatralità, I Call You Over (Hairy Teeth, Pt. II) , a navigare tra Alice Cooper e una Home Sweet Home di motleycrueiana memoria. E anche stavolta funziona quasi tutto alla perfezione, laddove il “quasi” concentra qualche dubbio sul finale, un po’ troppo a spegnersi laddove sarebbe stato lecito attendersi soluzioni pirotecniche per farlo crollare davvero, il loggione. Dopo la pausa e ripreso il dovuto fiato, la macchina dei giochi si rimette in moto con la coppia Repeat Until Teeth e Shake Them for What They’re Worth; immaginiamo un ipotetico ibrido tra Tesla e At The Drive In, supponiamo che le coppie Keith/Hannon e Bixler Zavala/Rodriguez-Lopez non si adombrino per l’azzardo e avremo un’idea del centauro (mitologicamente e non motoristicamente parlando) che ci attende. Ci si avvia a fine corsa con You The Man, probabilmente la traccia più fuori dal coro del lotto, contraddistinta da un’andatura hard rock quasi settantiana che, allo stesso tempo, per una volta sacrifica la linearità sull’altare di venature darkeggianti che scorrono sottotraccia, sempre rimandando però ad aulici modelli (l’Ozzy di Fearless, tanto per riportarci allo spirito di The Poet and The Parrot). I fuochi d’artificio si spengono su Get Your Cuts, eccellente gioiellino di scuola Accept collocato tra l’altro in pari posizione di commiato rispetto ai leggendari saluti ai naviganti del quintetto di Solingen (pur a debita distanza da cotali modelli, le spire di Bound to Fail e Stand Tight lo attraversano eccome, il Kattegat, fino alla costa svedese), a chiudere un ipotetico cerchio di teutonici rimandi.
Galleria fotografica di nobili antenati ma con uno sguardo ben piantato sulla contemporaneità e lontanissimo da velleità nostalgiche o enciclopediche, tavolozza ideale in cui ritrovare i colori e le ragioni di metal militanze pluridecennali ma perfetto anche per trasmettere a eventuali neofiti germi seminali per la loro evoluzione pentagrammatica, Repeat Until Death è un album che ha nella durata contenuta l’unico limite che gli impedisce di varcare la soglia dell’imperdibilità. Ed è un peccato, perché la cambusa dei Bombus ha tutti gli ingredienti per dissetarle a lungo, le orde di avventori che si trovino ad affollare il loro bancone rock….
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4
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Non li conoscevo, li ho ascoltati e devo dire che sono veramente notevoli. Bell'album |
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3
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oh bella roba, non conoscevo questa band. Bellissimo disco. |
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1
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Che dire… la rece mi incuriosisce e non poco! Gli ingredienti del composto sono davvero speciali e, a questo punto, non mi resta che iniziare l’assaggio. Grazie Red |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Eyes on the Price 2. Rust 3. Deadweight 4. Head of Flies 5. I Call You Over (Hairy Teeth, Pt. II) 6. Repeat Until teeth 7. Shake Them for What They’re Worth 8. You the Man 9. Get Your Cuts
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Line Up
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Fredrik Berglund (Voce, Chitarre) Matias Jacobsson (Voce, Chitarre) Jonas Rydberg (Basso) Peter Asp (Batteria)
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RECENSIONI |
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