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27/04/25
THE LUMINEERS
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Thunderstorm - Witchunter Tales
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09/07/2016
( 1616 letture )
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Stereotipi e luoghi comuni, ovvero la banalizzazione eretta a sistema. Come in quasi tutti i campi dell’umana esperienza, anche la musica non è purtroppo immune dalla tentazione di semplificare oltremisura quadri generali che per definizione sono invece mossi e articolati e così non stupisce che il mondo tricolore delle sette note sia mediamente inchiodato all’immagine del Paese del sole e delle rime cuore/amore. Con simili premesse, è stato pressoché inevitabile assistere negli anni a una cronica sottovalutazione del movimento metal italiano preso nel suo complesso, ma, se il discorso può essere riferito all’insieme, a maggior ragione riguarda generi di (relativa) nicchia, condannati quasi a una sorta di nicodemismo “da lesa maestà” per aver osato sfidare l’italica tradizione melodica. Tra questi, un posto d’onore spetta al doom, a cui non sono bastati nomi di primissimo piano qualitativo (nonché in molti casi di profilo e rilievo internazionale) per scrollarsi di dosso l’immagine di brutto anatroccolo della compagnia. Eppure, a dispetto di una presenza numerica oggettivamente non trascendentale, la nostra scuola doom è riuscita non di rado a varcare i patri confini, riscuotendo quel consenso che troppo spesso è mancato al di qua delle Alpi, confermando l’antico adagio “nemo propheta in patria”.
Uno dei casi più eclatanti in materia è quello dei Thunderstorm, band nata all’inizio degli anni Novanta ma assurta agli onori delle cronache a cavallo del cambio di millennio, quando, risolta definitivamente la questione moniker dopo un biennio di temporaneo abbandono del marchio di fabbrica originario, Fabio Bellan e soci si rivelavano in tutta la loro magnificenza con lo splendido Sad Symphony, album capace di trasmettere brividi classici e suggestioni contemporanee amalgamando la lezione sabbathiana con la scuola Candlemass e le rotte My Dying Bride, il tutto avvolto da una patina heavy per una resa decisamente eccentrica rispetto ai canoni del genere (l’ascolto di un brano come Time vale più di mille elucubrazioni, per spiegare il concetto). E’ stata la scena tedesca ad “adottare” immediatamente il terzetto bergamasco, circondando di attesa spasmodica l’uscita del secondo full-length, datato 2002 e destinato a consolidare ulteriormente la fama dei Nostri.
Eccolo, allora, Witchunter Tales, vertice creativo della carriera della band e lavoro di valore assoluto soprattutto per maturità e “internazionalità” della proposta. Anche stavolta i Thunderstorm scelgono di avventurarsi su crinali di tutt’altro che semplice declinazione, sfidando rischi di plagio e scimmiottamento di modelli titanici ma riuscendo alla fine a regalare quarantacinque minuti ad alto tasso di personalità. In campo c’è, di nuovo, un doom asciutto, essenziale, perfettamente equidistante sia dagli eccessi delle contaminazioni psichedeliche dello stoner che dalle tentazioni gothic o death, che negli stessi anni prendevano piede secondo i dettami della nascente scuola scandinava. Una scelta, per così dire, muscolare piuttosto che onirica, per un impasto che alle orecchie contemporanee risulterà non scevro di riflessi vintage e reminiscenze di decadi lontane, senza per questo cadere in una fredda celebrazione di gloriose epoche che furono. Sullo sfondo, ovviamente, continua a stagliarsi la sagoma monumentale dei Black Sabbath (in realtà più nei riff di “iommiana” ascendenza che nel cantato cantilenante di timbro Ozzy, da cui Bellan è sempre più distante), ma, al di là della cover di Electric Funeral che chiude la tracklist a mo’ di tributo filiale, la sensazione è che i Thunderstorm abbiano preso decisamente il largo verso orizzonti ben più ampi. La riprova di questo decollo multidirezionale sta tutta nella folla di echi e richiami che sembrano affastellarsi nei singoli pezzi senza che si riesca mai a definire una vera “gerarchia delle fonti”, lasciando piuttosto all’ascoltatore il compito di scegliere da quale versante apprezzare l’album. Ecco allora l’epic doom dei Candlemass e dei Solitudine Aeturnus ma anche qualche rivolo dark di scuola Saint Vitus che esalta quell’alternanza tra ipnosi ed esplosioni di energia che ha fatto la fortuna dei Trouble a inizio carriera. Il vero centro di gravità attorno a cui ruota tutta l'ispirazione è però la prova vocale di Fabio Bellan, alle prese con un clean pulitissimo ma dagli esiti devastanti, grazie a un timbro unico che rimanda ai nomi più altisonanti del classic heavy di stampo ottantiano, in un tentativo sulla carta proibitivo ma nei fatti perfettamente riuscito di innestare riflessi NWOBHM sulle radici doom. Così, tra Biff Byford e Bruce Dickinson, passando per i rivoli power del miglior Kiske alle prese coi due gloriosi Keeper, Bellan realizza quello che non è mai davvero riuscito in casa Trouble (mi si perdoni l'alto contenuto eretico dell'affermazione), vale a dire la trasformazione completa del microfono in uno strumento aggiuntivo capace di regalare colori e sfumature inavvicinabili per buona parte delle band che si sono avventurate nelle correnti più oscure del metal. A proposito di oscurità, peraltro, nel caleidoscopio dei bergamaschi non potevano mancare inserti occult, come del resto ampiamente annunciato dalla scelta dell'artwork, un dipinto del pittore barocco Salvator Rosa dall'evocativo titolo “Streghe e incantesimi”, in cui emergono visivamente tutti i tormenti di un'epoca ancora alle prese con le possibili manifestazioni concrete del Maligno nell'esperienza quotidiana.
Bastano i due minuti (appena) abbondanti dell'opener Reality per rendersi conto della natura sfuggente e allo stesso tempo suggestiva di questo Witchunter Tales, tra la densità dell'apertura e l'improvvisa svolta melodica che a metà traccia trasporta in territorio quasi liquido. Si torna a una narrazione decisamente più “ granitica” coi rintocchi di campane che aprono la titletrack, ma anche qui non passa molto prima di una sorpresa, che si materializza stavolta sotto forma di una virata tellurica che, se può far storcere il naso ai puristi del genere, non mancherà di solleticare la curiosità dei devoti del power di antica concezione (a proposito, non sottovalutiamo il fatto che alle pelli sia stato chiamato un ospite come Christian Fiorani, direttamente dal seggiolino dei gloriosi Drakkar). Altra mano, altro rimescolamento di carte con Parallel Universe; il ritmo si fa compassato e i Thuderstorm si dedicano alla lenta edificazione di una cattedrale monolitica, dalle cui vetrate filtrano a tratti raggi di luce a metà strada tra devozione e inquietudine. Tocca alla veloce Inside Me la palma di brano più esotico del lotto, con la sua andatura a strappi e uno splendido assolo di Sandro Mazzoleni che pesca a piene mani nella tradizione hard rock settantiana. Un sottile strato di sabbia stoner si posa invece sulla successiva Unchanging Words, ma anche in questo caso è bene non dare nulla per scontato, pena venire travolti dall'improvviso cambio di registro che spacca letteralmente in due il pezzo, offrendo un inserto in territorio speed prima che i granelli sollevati tornino a posarsi placidamente sull'ossatura doom. Fumo e lampi popolano invece Star Secret, per un effetto stroboscopico che sfocia se vogliamo “atipicamente” (non nell'accezione floydiana del termine, per intenderci) in una resa psichedelica in pura distorsione dei colori. Ce ne sarebbe già abbastanza, per far gridare al miracolo, ma i Thunderstorm hanno ancora un asso nella manica, calato con Glory and Sadness, splendida doom ballad dalla disarmante semplicità architettonica ma capace di disegnare atmosfere ora delicate, ora imponenti, fino al trionfo quasi melodicamente struggente del finale.
Un gioiello finito troppo presto in fondo a troppi cassetti, un raro esempio di equilibrio in presenza di ispirazioni così apparentemente inconciliabili, un invito a varcare le soglie più spesso mentali che reali tra i generi, Witchunter Tales è un album che merita un posto di primissimo piano nella storia del doom tricolore. Se qualcuno ci dovesse mai chiamare davanti a un giudice per giustificare la tesi di una musica italiana ben oltre i limiti tracciati dall'immaginario collettivo, ricordiamoci di citarli, i Thunderstorm, tra i testimoni più importanti.
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4
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La discografia di questi eroi dimenticati del doom italico, nel genere non teme confronti anche con band più blasonate. Dal vivo poi erano ancora più possenti e mi piace ricordare il loro bassista Omar che, novello Geezer Butler, scriveva tutti i loro testi! Questo è il loro lavoro che mi piace di più, ma anche gli altri sono dischi di ottimo livello e prodotti molto bene. Mitici! Doom or be doomed! |
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3
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Parlavo giusto l'altro giorno con amici di alcune band sottovalutate e quasi finite nell'oblio. I Thunderstorm sono purtroppo uno degli esempi più lampanti. Album che rispolvere sempre con piacere. |
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2
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Ho i primi due cd della band, veramente ottimi, soprattutto questo non ha nulla da invidiare a tante band internazionali. Grande la voce di Bellan e ottime canzoni, taluni più doom altre più heavy. Bella recensione e voto giusto (e commenti molto radi, come al solito, sigh) |
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1
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Molto bello, ha ottenuto meno di quello che avrebbe meritato...Voto importante ma ci sta, almeno per me. Buona recensione che riporta alla luce un signor disco. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Reality 2. Witchunter Tales 3. Parallel Universe 4. Edge of Insanity 5. Inside Me 6. Unchanging Words 7. Star Secret 8. Glory and Sadness 9. Electric Funeral
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Line Up
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abio “Thunder” Bellan (Voce, Chitarra) Sandro Mazzoleni (Chitarra) Omar Roncalli (Basso)
Musicisti Ospiti Christian Fiorani (Batteria)
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